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Intervista al Maestro Bernardo Contarelli
Karate-do - Foto di Federica Achilli
Praticare karate per passione

Intervista a cuore aperto al maestro Bernardo Contarelli, presidente della commissione tecnica nazionale della FIKTA e uno dei tre maestri promossi al grado di nera cintura nera 8° dan. Domande e risposte su una disciplina, come quella della mano vuota, che continua ad essere la sua ragione di vita .
Pratica karate dal lontano 1966, ma questa arte marziale continua ancora oggi a essere per lui una ragione di vita. Classe 1949, il maestro Bernardo Contarelli è, fra gli altri incarichi, presidente della commissione tecnica nazionale della Fikta ed è uno delle tre neo cinture nere 8° dan, grado consegnato direttamente e per mano di Sensei Hiroshi Shirai, “una grande emozione”, durante l’ultimo stage di aggiornamento per i tecnici della Fikta al Pala Liabel di Salsomaggiore Terme. Con lui i maestri Carlo Fugazza e Giuseppe Perlati.

Maestro, quando ha cominciato a praticare karate? Un breve excursus della sua carriera. “Ho cominciato l’apprendimento del Karate nel 1966. Ho acquisito il grado di cintura nera 1° dan nel 1970 e dopo un’esperienza agonistica di breve durata, ma formativa e di grande soddisfazione, mi sono dedicato alla pratica in modo continuativo. I miei successi agonistici sono pochi, ma nonostante ciò non ne ricordo le date e per questo ritengo di essere un privilegiato. Sparsi qua e là sono rimasti impressi nella memoria ricordi senza tempo di luoghi e di incontri con persone speciali, che custodisco gelosamente dentro di me come un patrimonio di impagabile valore.

Ci parli un po’ di sé?
“Sono orgogliosamente nonno di Giulio, Michele, Gaia e Marco. Da quando ho lasciato l’insegnamento nella scuola faccio il contadino e mi dedico con convinzione alla coltivazione biologica per avere prodotti di qualità per la mia famiglia e i miei amici. Per passione pratico Karate perché sono convinto di avere ancora spazi di miglioramento”.

E’ il karate che l’ha conquistata o è lei che ha conquistato il karate? Il suo rapporto con “la via della mano vuota”. “Non so chi è stato il conquistatore. Di sicuro il Karate è stato determinante per la mia formazione e continua ad essere una ragione di vita. Esso mi dà una carica formidabile e mi spinge alla continua ricerca di un qualche cosa di speciale che non saprei definire con esattezza. Il mio rapporto con il Karate-Do è di grande riconoscenza per avermi fatto scoprire un mondo che permette alle persone di camminare “sollevati 10 centimetri da terra” (Maestro Kase) senza diventare presuntuosi e arroganti. Limpidi esempi di ciò vediamo nei Maestri Fugazza e Perlati.

Il karate del 2012 è uguale a quello che si praticava negli anni ’70? Cosa c’è di nuovo e cosa invece è rimasto immutato da allora? “Il karate è il Karate, tutto dipende dallo spirito del praticante e lo spirito rimane immutato nel tempo. Per quanto riguarda l’agonismo possono cambiare i regolamenti e questi si adeguano alle esigenze dei tempi e, molto spesso, agli interessi degli uomini. E’ noto che i regolamenti condizionano la tecnica, non il karate”.

Raggiungere il grado di cintura nera 8° dan è il sogno di tanti, ma è un privilegio per pochi. Cosa ha significato per lei ricevere proprio dalle mani di Sensei Hiroshi Shirai questo importante riconoscimento? “Non so se è il sogno di tanti, di sicuro non era tra i miei sogni più ricorrenti. Per me essere nella Fikta è un privilegio e ciò supera di molto la più grande delle mie ambizioni. Sono molto contento inoltre di condividere questo privilegio con migliaia di amici praticanti. Se dicessi che ricevere un riconoscimento dalle mani del maestro Shirai mi ha lasciato indifferente, sarei un ipocrita. In oltre 40 anni ho condiviso con il Maestro grandi momenti e ormai anche le pietre sanno che Gli voglio un bene sincero, riconoscente, rispettoso, ma soprattutto disinteressato. Mi preme però aggiungere che nel ricevere un riconoscimento datomi dalla Fikta mi sono emozionato per altri due motivi: il primo per l’affetto dimostratomi dai miei due amici Carlo e Beppe, il secondo per l’affetto dimostrato a noi tre da tutti i presenti, e cioè dalla Fikta. Mi permetto di osservare che questo è un atto “politico“ di grande rilevanza che, se ce ne fosse stato bisogno, ci dice che la FIKTA c’è ed ha una grande forza nei suoi tecnici.

Il karate e i ragazzi. Come era allora e come è adesso il rapporto fra il karate e i giovani praticanti? Di conseguenza, come è il rapporto fra il maestro e il suo allievo?
“Al tempo in cui iniziai la pratica, il Karate aveva il fascino di una cultura poco conosciuta, per cui noi giovani eravamo attratti dalla novità, oltre che dalle aspettative che questa disciplina creava. Attualmente con tutti i mezzi di comunicazione che hanno invaso, nel bene e nel male, le nostro vite, gli adolescenti, ma anche i pre-adolescenti e i bambini, sono bersagliati da un’infinità di informazioni e le realtà virtuali fanno perdere il gusto di provare a mettersi in gioco, tutte le sensazioni passano attraverso l’immaginazione e non attraverso il vissuto.
La situazione attuale è molto più vantaggiosa per chi vuole iniziare la pratica del Karate perché, pur essendosi ridotto il fascino di una cultura misteriosa, è notevolmente migliorata l’offerta formativa per effetto della ricerca e per una miglior preparazione degli insegnanti.
Riguardo al secondo punto, io sono convinto che il rapporto maestro-allievo passa attraverso le leggi che regolano la formazione della personalità dove, nel binomio, li Maestro è la componente forte e l’allievo quella debole un po’ come “tra padre e figlio”.
Nella prima fase l’allievo si affida completamente al Maestro e lo vede come colui che è in grado di risolvere tutti i problemi del mondo, anche quelli che esulano dalle sue competenze.
Con il tempo l’allievo prenderà coscienza dei propri miglioramenti, comincerà a rendersi conto che il Maestro non è il superuomo che credeva, passerà quindi da una totale ed acritica accettazione, ad avere dubbi ed esprimere critiche, anche feroci ( spesso ingiuste), quasi a voler compensare la dipendenza della fase precedente.
Se le cose seguiranno regolarmente il loro corso, si entrerà nella terza fase che è quella della consapevolezza.
L’allievo si renderà conto del grande dono che ha avuto dal Maestro ed il rapporto si metterà su un piano di riconoscenza , reciproco rispetto e fiducia”.

L’importanza dell’agonismo per i giovani.
“Cercherò di essere più breve possibile, anche se l’argomento non è affatto semplice. Per “giovani” bisogna sapere a chi ci si riferisce: Bambini da 3 a 6 anni; Bambini da 6 a 10 anni; Ragazzi da 10 a 13 anni; Pre adolescenti da 13 a 15 anni; Adolescenti da 15 a 18 anni e Giovani da 18 anni in poi.
Come accezione comune del termine, per agonismo si intende confronto. Tutti i favorevoli fanno giustamente notare che il gioco è confronto ed i bambini giocando inseriscono spesso forme di competizione. Il gioco inoltre è una delle attività più importanti e formative nel processo educativo. Và però osservato che nel gioco i bambini si fanno le regole a loro piacimento e non si attengono a regolamenti standard codificati dagli adulti. Inoltre la vittoria è priva di qualsiasi tensione, così come la sconfitta non crea affatto ansia.
Non tutti i bambini della stessa età hanno la stessa maturazione psico-fisica. Quindi l’agonismo, come noi lo intendiamo, può risultare molto complicato, per dirla in “parole semplici”. Considerato il fatto che dai 3 ai 6 anni, per ovvi motivi, non si può parlare di agonismo,e direi che fino ai 10 esso fa bene agli adulti, ma con determinate cautele si potrebbe accettare un “ gioco agonistico”.
Dai 10 ai 13 anni c’è l’età d’oro dell’apprendimento, dove più che l’agonismo vero e proprio potrebbe essere utile una buona preparazione all’agonismo, intervallata da prove di verifica con valutazioni di merito oltre che di classifica, preparando così i ragazzi a saper valutare i risultati come delle tappe della loro preparazione.
I pre-adolescenti possono trarre vantaggio da una buona preparazione fatta negli anni precedenti, ma l’attenzione degli adulti deve essere al massimo livello perché si potrebbero creare false aspettative, ed in questa età la gestione dell’insuccesso va considerata seriamente.
Gli adolescenti
devono essere in grado di mettersi in gioco, quindi anche se la maturazione fisica è incompleta, ed in futuro potrebbero cambiare molti parametri sia a livello fisico che psichico, con una buona preparazione generale l’agonismo può assumere una valenza formativa, così come lo può essere in tutti i giovani, purché ad un certo punto si ricordino di crescere.

Come spiegare, in poche parole, la frase: “il karate si pratica tutta la vita”?
E’ ancora presente negli allievi e nei praticanti questo profondo concetto?
“Come si possa spiegare non lo so, magari si può “vedere” e gli esempi, sia positivi che negativi, non mancano. Il Karate è un modo di essere e di rapportarsi alle cose ed alle persone. Colui che ha fatto proprio questo principio esprime la forza attraverso la gentilezza”.

Come vede il futuro del karate in Italia anche alla luce dell’evoluzione dei rapporti fra le diverse realtà associative o federali?
“Io credo che ormai i calci e i pugni siano fatti un po’ da tutti, se questo è considerato Karate ci saranno sempre persone attratte da questa forma di motricità, come ci saranno sempre persone che amano il modo di fare Karate della FIKTA e le gare ad esso connesse.
Io posso essere accusato di qualsiasi cosa, fuorché di ipocrisia e ritengo che l’agonismo possa essere fatto con le dovute cautele, dai praticanti di tutte le organizzazioni, credo che chi non conosce profondamente il Karate perda molto, ma credo anche che ognuno abbia il diritto di fare le proprie scelte.
Ritengo che la frammentazione del Karate sia un fatto fisiologico legato alle debolezze degli uomini, ma credo altrettanto giusto il tentativo di collaborare seriamente con organizzazioni disposte a rispettare l’identità altrui”.  
  Bernardo Contarelli

Interviste ai Maestri
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