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Lettera Aperta
LETTERA APERTA
A Insegnanti, Direttori didattici e responsabili della Pubblica Istruzione -
A cura di Luciano Puricelli - I testi sono © dell'autore tutti i diritti riservati
È viva in tutti la consapevolezza che nella nostra civiltà il diritto di costruire e realizzare un proprio progetto esistenziale si esercita affrontando un processo arduo e difficilmente concludibile. Per far ciò il bambino deve poter strutturare il proprio rapporto con la realtà secondo modalità progressivamente più efficaci.

La capacità di acquisire senza sosta informazioni, strumenti e comportamenti, ovvero modelli operativi e modelli di pensiero adeguati e soprattutto aggiornati, che caratterizza il mondo moderno, è ciò che gli permetterà di conquistare un posto nella propria società, di inserirsi in modo attivo, e di incidervi positivamente. L'orientamento diviene così una iniziazione in senso antropologico alla cultura cui si appartiene, nella quale si interagisce; iniziazione, ai suoi criteri di riferimento e ai suoi valori.
L'istituzione educativa dovrebbe provvedere a questa iniziazione con programmi e strategie in grado di creare un "sistema uomo" ed un "sistema cultura".
Il destinatario di questa formazione non può essere lasciato a se stesso in un percorso per prove ed errori, non progettato o non assistito.
Gli indirizzi scolastici ed extra scolastici che fanno riferimento all'orientamento e alla formazione del bambino, grazie all'attività e all'educazione sportiva, sono indubbiamente un terreno di incontro significativo tra sistemi culturali ed individui in formazione.

Nel nostro caso viene da chiedersi perché proporre il karate-do tradizionale e che posto occupa in questo panorama questa disciplina che proviene da una cultura orientale?
E quanto avremo modo di approfondire in seguito, ma già da ora possiamo affermare che se il karate-do tradizionale esercita un fascino notevole sui giovani è perché quest'arte, nella sua essenza, è portatrice di valori capaci di colpire l'immaginario del bambino e che purtroppo e attuali strutture educative della nostra società hanno sottovalutato, indi perciò trascurato.
In ogni caso, una scelta di strategia formativa non è neutra ne indifferente; e allo stesso modo col quale un soggetto può indirizzarsi verso la futura professione di: avvocato, insegnante, ingegnere ecc., e dunque assumere una fisionomia ben precisa ed un ruolo specifico futuro nella società, parimenti, in ambito sportivo, avrà una valenza ed una diversa rilevanza, il tipo di disciplina praticata. Sarà diverso scegliere per esempio la formazione fornita dall'atletica, da quella del ciclismo, del tennis, del "karate sportivo" e da quella del karate-do tradizionale. Questo perché i contenuti, la metodologia di lavoro, e persino gli obiettivi sono differenti tra loro e peculiari ad ogni disciplina praticata.

Una scelta presuppone comunque un orientamento di contenuti e il possesso di requisiti psicofisici diversi, secondo le prestazioni, il livello della pratica, secondo le aspettative. Scegliere, decidere, significa indirizzare la sensibilità e la personalità, che lo si voglia o no, in una direzione piuttosto che in un'altra; significa promuovere abilità specifiche e/o polivalenze che non solo hanno efficacia maggiore o minore nel produrre apprendimenti, ma inducono ad interiorizzare e far propri come modelli regolativi del sapere, del fare, e dell'essere, le modalità cognitive e culturali più a lungo praticate. Se per analogia consideriamo ad esempio l'apprendimento della lingua italiana, vedremo che lo studio dell'italiano serve al bambino per imparare a parlare, esprimersi, scrivere e comunicare in questo idioma.
Non è ancora accaduto che, poiché le lingue del mondo sono tante, e bisogna avere una base per parlarle tutte, si sia deciso di inserire nel programma di studio della lingua italiana la comprensione dei fonemi per esempio cirillici o la grafia del sanscrito.

Questo sembra un paradosso eppure in ambito sportivo si è arrivati a proporre un modello di apprendimento e di approccio allo sport simile a quanto sopra.
Con la scusa della multimedialità e della non-specializzazione precoce viene proposto un modello di apprendimento dell'attività fisica generico, che non porta da nessuna parte.
Siamo d'accordo sulla necessità di formazione di capacità coordinative e condizionali, ma come una lingua ha le sue caratteristiche e specificità così ogni disciplina sportiva, (ancor più una disciplina psicofisica che si propone con le caratteristiche della globalità), ha la propria fisionomia, specificità, carattere orientamento e valenze formative.
Questo dovrebbe far riflettere coloro che in nome di una pretesa modernità si affrettano a liquidare come obsoleta o inattuale una disciplina come il karate-do tradizionale che, al contrario di altre, per parecchi secoli ha messo alla prova la propria consistenza e validità.

Ritornando al tema principale appare evidente che la maggior forza orientativa consiste: nella coerenza e continuità dei metodi, nella consapevolezza dei fini nella scelta e organizzazione delle situazioni formative.
L'utopia che definisce il processo formativo come processo di orientamento si basa sulla fiducia che, lungo tutto il percorso della formazione, l'allievo possa confrontarsi con tale sistema di coerenze e consapevolezze.
Ebbene il karate-do tradizionale si integra pienamente nell'utopia del progetto formativo e ne rappresenta sicuramente una delle applicazioni concrete. Adolescenza e bisogni formativi.
Nella scuola elementare e nella scuola media, il bambino vive la propria fase di evoluzione protetta. È essenziale che superi questa fase avendo acquisito quei criteri e modalità di comportamento capaci di metterlo in grado di affrontare i molteplici rapporti con gli altri e le verifiche della propria identità spesso non facili.

L'uscita dall'onnipotenza infantile è accompagnata dalla necessità, per il bambino di cooperare, d'integrarsi e padroneggiare con competenze progettuali i propri limiti.
Questo significa che gli anni della formazione dovranno essere ricchi di esperienze capaci di alimentare la fiducia di base; esperienze in grado di insegnare a stabilire un rapporto positivo, non difensivo, con i propri limiti. Il bambino dovrà cioè interiorizzare l'esperienza di essere lui il soggetto costruttore (l'ho fatto io, ce l'ho fatta, ad esempio un passaggio di grado, ora sono capace di..., ho capito come..., sono riuscito a..., devo farlo io...).
L'accettazione di sé come perfettibile, l'orientamento alla ricerca, al risultato, alla qualità, rappresentano quelle abilità necessarie per stabilire il modo corretto di porsi di fronte alla realtà e affrontare gli ostacoli. La possibilità di errore e la capacità di operare un cambiamento saranno quindi vissute come istanze di progresso, che fondano la vita personale relazionale, affettiva del bambino.

Tra i bisogni formativi dell'adolescenza occorre dunque riconoscere l'importanza del bisogno di imparare a strutturare come parte della propria identità risposte ed iniziative nei confronti di una realtà non facilmente leggibile e praticabile. Tale realtà proprio perché complessa e multiforme abbisogna di apprendimenti significativi che possano orientare e veicolare altri apprendimenti e quindi ovviare ad una formazione "Babele".
In sostanza il giovane ha la necessità di essere immerso in situazioni formative nelle quali vi siano: problemi da risolvere, iniziative da sperimentare, istanze da interpretare, ed ha bisogno di essere assistito da Formatori, Istruttori, Maestri competenti che sappiano scegliere le strategie più adatte a generare competenze e che siano essi stessi portatori dei valori e dei modelli che propongono. Tutto ciò fa parte del patrimonio del karate-do tradizionale.

Il karate-do tradizionale educazione formazione e superamento.
La pratica regolare e costante del karate promuove l'acquisizione di abilità psicofisiche e di un sistema di valori basato sulla costante necessità di migliorarsi sul piano della lealtà, della correttezza e rettitudine; requisiti che sono iscritti e fanno parte integrante della pratica e della metodologia dell'allenamento e dell'insegnamento.
Con l'allenamento regolare e sincero tali abilità vengono saldamente consolidate, si acquisisce autonomia nell'attivarle correttamente, si ottiene la disposizione mentale per trasferirle ed applicarle in altri contesti.
Il karate-do tradizionale in quanto sistema capace di orientare la sensibilità del praticante sul piano fisico, emozionale e mentale, è in grado di rispondere a queste esigenze; inoltre in quanto sistema globale prevede un percorso formativo avente per scopo l'equilibrio di tutte le componenti del bambino/persona attorno ad un nucleo centrale solidamente costituito e messo ripetutamente alla prova. Per meglio giustificare queste affermazioni tenterò di descrivere la pratica del karate-do, sia pure limitatamente, mettendo in luce quegli aspetti che hanno attinenza con l'esposizione in corso.

Lasciando ad un altro contesto l'analisi della dialettica esistente tra il reale, l'astratto ed il simbolico, cercheremo di descrivere il karate evidenziano la globalità della doppia articolazione auto-formazione ed etero - formazione che caratterizza ogni forma di consapevolezza e quindi l'uomo.
Il karate-do è un'arte (per alcuni) ed una tecnica marziale che proviene dal Giappone, originatasi nelle isole del sud: le Ryu Kyu, in particolare ad Okinawa. E' quindi il prodotto di una cultura orientale diversa da quella occidentale. E qui troviamo la prima vera difficoltà: vale a dire quella di stabilire la possibilità di incontro tra cultura occidentale e orientale.Tale possibilità non risiede tanto in un problema etnologico (razze diverse), ma, semplificando, in un atteggiamento interiore nei confronti della vita proprio delle due culture.
Per noi occidentali, generalmente l'esercizio fisico rappresenta l'acquisizione di abilità tecniche, di prestazione, eccetera. Per il giapponese, anche quando il risultato è una certa abilità pratica e concreta, l'esercizio rappresenta sempre una via ( un Do, un percorso formativo) verso la propria maturazione interiore.

Sostanzialmente, durante tutto l'arco della sua esistenza, l'uomo si esercita si dalla nascita a sviluppare talenti multipli: da principio quelli indispensabili alla sopravvivenza come mangiare, bere, camminare eccetera; per arrivare in un secondo tempo ad organizzare il mondo esterno: con il lavoro, uno sport eccetera; talenti la cui acquisizione presuppone un apprendimento. Ora noi sappiamo che la ripetizione costante di una pratica determinata, più qualcos'altro, porta alla formazione di una capacità che non esisteva in precedenza. In questo senso possiamo dire che ogni esercizio si compone di due elementi:

Uno oggettivo, che produce una modifica del mondo esteriore;
L'altro soggettivo, che produce una trasformazione del soggetto.
Per un orientale non si tratta per esempio di compiere una certa performance fine a se stessa, quanto di sviluppare le funzioni psichiche e fisiche che rendono possibile questa prestazione. Vista in quest'ottica la pratica del karate e un modo concreto e reale in grado di contribuire al progresso generale dell'individuo.
Oltre alla riuscita sul piano tecnico e al formazione dell'individuo in generale,l'esercizio possiede una terza possibilità, essa consente cioè l'evoluzione della propria attitudine interiore e della propria maturità spirituale. A questa esperienza si può accedere solamente impegnandosi in una via: un DO.

Fra l'apparizione di questa esperienza fino alla prima riuscita e l'affermarsi dei quelle condizioni psichiche che ne fanno un atteggiamento spirituale, vi è un lungo cammino.

Per l'oriente dunque, lo scopo dell'esercizio è il conseguimento della maturità dell'uomo. In effetti uno dei segreti sta nell'attenzione che si presta alla propria esperienza formativa (qualità dell'atteggiamento mentale nell'allenamento, all'aspetto cognitivo intrinseco e alle conoscenze consapevolmente attivate) al proprio ideale (motivazione, progetto culturale), alla consapevolezza che viene messa in ogni gesto (efficacia, armonia, completezza sul piano estetico).

L'efficacia che si ottiene in palestra comporta una efficacia sul piano formativo ovvero nella vita interiore del praticante e di conseguenza nel quotidiano. Scopo sottile della pratica del Karate-do tradizionale è quello di migliorare il comportamento, nella vita, di chi seriamente vi si dedica e si allena. Secondo questo punto di vista, cioè quello di colui che vede questa disciplina come un mezzo capace di veicolare il proprio sviluppo interiore piuttosto che una pratica fine a se stessa, utilitaristica e strumentale, l'insegnamento del karate-do conduce ad un'apertura dello spirito, vale a dire ad una presa di coscienza del lato non visibile degli avvenimenti. Si prende contatto, col mondo interiore dei comportamenti, si scopre come si fa a caricare il proprio corpo di energia positiva necessaria per far fronte a qualunque situazione la vita ci metta davanti.

A seguito di esperienze ripetute inesaustivamente si scopriranno i rapporti che regolano coscienza, consapevolezza ed energia. Per riuscire occorrono competenza ed efficacia. Il percorso è strutturato per punti essenziali ed esperienze, prove con le quali occorrerà necessariamente misurarsi. Concludendo possiamo sintetizzare la pratica del karate-do tradizionale come segue:
  • Il karateka inizia col padroneggiare l'aspetto fisico dell'arte;
    E' questo un lavoro che tende a creare le basi e a rafforzare e consolidare la personalità. Con i primi successi l'ego prende forza.
  • Una volta acquisiti i rudimenti si affronta l'approfondimento della tecnica.
    Si entra nella vera ricerca, si comincia a conoscere se stessi, i propri limiti, i propri progressi.
    Il karateka scopre le proprie illusioni, la consistenza del proprio immaginario e del cammino che gli resta da percorrere per operare il salto di qualità. Si concentrerà allora sulla maestria della tecnica, e cercherà di divenire prima un buon esecutore, poi un tecnico della materia e infine un maestro. In questo percorso imparerà a conoscersi meglio ritrovando sincerità ed umiltà. Il proprio ego progressivamente perde forza.

  • Proseguendo, egli svilupperà le proprie intuizioni, scoprirà il senso dell'unità e troverà forse sul piano del vissuto il senso profondo della prima massima della filosofia del karate: "Karate Ni Sente nashi" il karate non è mezzo di offesa e danno, ma è una via di pace che permette all'uomo di sondare le proprie profondità e scovare laggiù "chi è" veramente.

Da quanto sopra esposto sommariamente affermiamo, con convinzione ed un po' di orgoglio, che il karate-do tradizionale possiede inequivocabilmente, al pari di altre discipline storicamente canonizzate, i requisiti necessari per inserirsi a pieno diritto nei programmi educativo - formativi dei giovani d'oggi.
Oss
Luciano Puricelli

Shinjtzu - Interviste - Storia


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