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KUJIKERUNA Non Mollate MAI!


KUJIKERUNA

Non cedere, non mollare mai
Una fortuna inaspettata
I testi sono degli autori
E' stata una fortuna inaspettata per me, aver cominciato a praticare il karate. iniziato per lo scopo di fare "qualche attività sportiva", dopo che erano passati troppi anni in cui il mio pensarmi "sportivo" si era allontanato sempre più dalla realtà, ho scoperto soltanto man mano e a mia sorpresa, l'ampia portata del karate-do. Portata che ha fatto sì che durante un periodo difficile l'apprendimento e la pratica del karate diventassero un riferimento importante nella mia vita e continuano ad esserlo.

Durante gli ultimi 12 mesi in cui ho iniziato a praticare il karate c'erano molti momenti significativi che mi facevano riflettere su situazioni, atteggiamenti e comportamenti fuori dal dojo, che mi rimanevano impressi e che mi sono annotato. Metto insieme qui alcuni di questi raggruppandoli in tre parti per cercare di dare loro un ordine.

Insegnamento e apprendimento
Mi è difficile pensare come avrebbe potuto essere il mio incontro con il karate con un maestro diverso da Davide Rizzo. Tra i molti meriti del maestro mi continua a colpire il modo in cui riesce a mantenere le lezioni saldamento sulla cresta tra i gli aspetti fisici e atletici e quelli caratteriali e mentali del karate.
E' un equilibrio difficile perché è chiaro che con facilità si può scivolare nel prediligere l'aspetto di ginnastica e esercizio fisico o invece vedersi prevalere discorsi sullo sviluppo del carattere, entrambe direzioni con rischi di esagerazioni patetici e poco interessanti in un gruppo. Invece, appunto, è un piacere aver trovato un'atmosfera e un atteggiamento nell'associazione in cui viene curato una salda integrazione e complementarietà tra questi due ambiti in modo tale che ciascuno rafforzi l'altro e uno trova nell'altro immediato riscontro.

Fiducia nell'essere picchiati.
Il maestro picchia, colpisce. Durante l'allenamento può capitare che il maestro ti picchia. Testa se sei attento, se sei pronto. Picchia e fa male. Anzi può fare davvero tanto male. Non ero mai stato colpito forte in vita mia, è stata una nuova esperienza. Ma la cosa che mi continua a sorprendere è che il colpo del maestro, per quanto possa fare male, non distrugge. c'è la consapevolezza che in ogni momento il maestro possa colpire e che può fare un male più grande rispetto ogni altro male in passato, e nello stesso momento c'è fiducia. Fiducia che il maestro non distrugge. Il maestro non picchia per dimostrarti quanto è forte lui, ti fa capire le tue debolezze e ti fa capire i tuoi limiti. Picchia diversamente forte i diversi allievi. Poi, alcuni li picchia un po' più degli altri.
Probabilmente nei primi di maggio 2009 un ragazzo di cintura nera ha partecipato al nostro allenamento e così vidi per la prima volta Donato - per motivi linguistici non capivo subito che questo era il suo nome, pensavo il maestro lo considerava particolarmente "donato" appunto, forse anche per questo l'episodio mi è rimasto bene in memoria.
Il maestro chiedeva a Donato di fare un oitsuki. gli diceva che era un allievo molto bravo e che al maestro piaceva molto il modo in cui faceva oitsuki. però questa volta voleva che Donato facesse un oitsuki come non l'aveva ancora mai fatto, doveva sorprendere il maestro e se stesso.
Donato quindi fa il primo colpo e il maestro gli dice che era un ottimo colpo, come appunto lo conosceva già da lui; che invece voleva vedere quel colpo come non l'aveva ancora visto da lui. Donato fa il secondo colpo e il maestro, nuovamente, e come avrebbe anche fatto dopo il terzo colpo, gli risponde come al primo.
Allora, Donato fa il quarto colpo. Lo fa in una forma un po' diversa. Il maestro allora gli dice che quello non era il colpo che gli aveva chiesto di fare, che quello era stato proprio un altro colpo e che no, non voleva un colpo diverso. Gli chiedeva di fare un oitsuki come non l'aveva mai fatto, di farlo di più del solito.
Donato, forse un po' seccato, forse un po' non sapendo più come uscirne, si abbandona, non ci pensa, e colpisce. il maestro sorride ed è soddisfatto.
Questa era una grande lezione. Come fare un gesto grande senza fare una cosa diversa. Dare una qualità nuova ad un gesto conosciuto.

Un'altra volta il maestro raccontava di uno stage che lui stesso aveva seguito con il suo maestro. Durante tutto lo stage il suo maestro non aveva mai commentato niente. Alla fine lui lo chiedeva il perché e il maestro gli risponde che era ciascuno a dover decidere per se stesso di imparare.
Di comprendere quindi, che non si fanno esercizi per far piacere a qualcun altro.
Ti stai allenando per te stesso. Se lo vuoi, deciderai tu stesso se imparare o meno e quello che tu devi imparare, quello che devi studiare, in che cosa ti devi allenare.
Io propongo degli esercizi, diceva il maestro, ma io non ti posso far imparare.
Devi essere tu stesso a decidere di imparare.

Stare al mondo
In questo ho trovato uno degli aspetti più interessanti del karate per me. Il modo in cui tutte le tematiche che si affrontano nel karate hanno una portata che si estende oltre al contesto concreto del dojo e le pratiche che lì si svolgono. Lì, al dojo comunque, nelle pratiche fisiche di karate si ha un'opportunità eccellente per afferrare queste tematiche in maniera chiara e concreta e per praticare appunto in maniera toccabile la loro implementazione.
Nella pratica del karate aspetti difficili e vasti come il "definire un proprio spazio", il "concentrarsi", il "essere qui e ora" o il "andare incontro all'altro", si manifestano in modo chiaro, leggibile, tangibile e afferrabile: se non difendi il tuo spazio, ti picchia l'altro…, se non ti concentri, l'altro ti picchia o tu fai male all'altro,… questo riscontro così tangibile e immediato è un grosso aiuto nell'apprendere ed affrontare la portata più ampia di questi concetti.

In questo senso mi ha colpito anche il concetto del "essere liberi" per poter andare avanti. quando si vuole fare un colpo concentrarsi su quel colpo, fare il passo e il colpo concentrando l'energia e il corpo e subito dopo essere liberi per affrontare la prossima situazione. non restare attaccati alla mossa precedente. Spesso noto come dopo un colpo resto ancora teso nella posizione del colpo appena fatto e la concentrazione è più su quel colpo appena fatto, evitando il concentrarsi sul prossimo passo. è come un pensare il colpo appena fatto, restarci attaccati, mentre si fa il prossimo colpo.
Non pensare! dice spesso il maestro. non pensare mentre si pratica.
L'attaccamento è una brutta cosa nella vita. Il restare attaccati ad una cosa che è passata ancora di più. Non c'entra il prestare attenzione al passato, il farsi tesoro dei ricordi, è diverso. quando un attaccamento pervade il qui e ora è difficile fare il prossimo passo. come nel karate, dove dopo ogni passo occorre essere pronti e liberi per il prossimo passo, così occorre che sia nella vita, e nel karate ho trovato una buona pratica per questo.

Boston
RamshiDurante la permanenza di due mesi a Boston nell'estate 2009 ho voluto continuare con la pratica del karate e ho mandato una email ad una associazione, la SKA (shotokan karate of america), che mi sembrava interessante e sulla quale mi ero scambiato pareri con Davide Rizzo.
Dopo alcuni giorni senza risposta, il giorno in cui facevano pratica e alla quale volevo comunque andare per presentarmi mi è arrivata una email piuttosto secca in cui Jesse mi consigliava di individuare un'associazione affiliata con la mia (mi diceva dopo che pensava che FIKTA fosse un'associazione americana della quale non aveva mai sentito parlare). Io avevo già messo in borsa il mio GI, sandali e asciugamano e decisi di ignorare questa email e di andarci lo stesso. Non sono solito ad ignorare gli email e ancora meno a fingere che non siano arrivati - in quel caso mi sembrava la scelta giusta invece.
Alla lezione non c'era poi il maestro Jesse che mi aveva risposto per email, invece era Rashmi Dayalu, che alcuni di voi hanno conosciuto allo stage di novembre 2009 a Venezia, a tenere la lezione e che diceva che non c'erano problemi per allenarmi con loro. Questa prima lezione era la lezione fisicamente più massacrante che io abbia mai fatto. Mi imposi di resistere anche perché non volevo cedere essendo appena arrivato, ma che male.

Una bella lezione teneva il maestro Johnson Chung. faceva fare un esercizio muovendosi a passi larghi da destra a sinistra puntando lontano con il dito. Metteva l'enfasi sul fare un movimento grande. Non sembrava aver a che fare con un passo di karate. invece di seguito lui trasformava quel movimento grande in una sequenza di gedan barai e oitsuki a sinistra e poi una a destra, mantenendo la grandezza del gesto ma nella forma corretta. Era un buon esercizio per sentire la grandezza del gesto. Occorre fare gesti grandi diceva lui.

In un'altra lezione, essendo tutti già molto stanchi dopo gli esercizi e alcuni kata, Jesse Winch ci chiedeva di farne ancora un kata. Vedendoci tutti esauriti diceva che un buon kata si fa quando si è davvero stanchi. Mi sembrava interessante come osservazione.
La stanchezza come uno stato strumentale al fare bene, all'abbandonarsi alla pratica.

Kristian Kloeckl


Tabella testi Davide - Scritti da noi

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