Logo

Intestazione


Shirai Ryu
Menu verticale jQuery con effetto fisarmonica | MaiNick Web
KUJIKERUNA Non Mollate MAI!


KUJIKERUNA

Non cedere, non mollare mai
Andare oltre
I testi sono degli autori
CeolinMONICA“Andare Oltre, essere esplosivi, tirare fuori l’istinto, far scattare la molla” sono frasi che in questi, pochi ma intensi, anni di pratica del Karate-Do ho sentito spesso dire dal mio Maestro. All’inizio mi chiedevo che cosa volessero dire, ora invece la domanda che mi pongo è “come si fa a  fare ciò?”.
Non credo sia qualcosa che impari in poco tempo, anzi non la impari proprio. Penso sia uno stato d’animo, una emozione che provi e dalla quale esplode una sorta di liberazione, lasci tutti i comportamenti convenzionali a cui sei legato fin da piccoli, non pensi se qualcuno ti guarda  e/o giudica, vai e basta.
La magia dell’attimo e l’emozione che in quel momento provi sono tutto quello che hai. Il mondo che ti circonda non partecipa a quella festa interiore che stai vivendo.

Ci sono momenti unici nella vita di ogni persona, e sono propri, non si possono condividere, si cerca di spiegarli, si cerca di far capire cosa c’è nel proprio cuore, ma restano propri e gli altri possono immaginare cosa siano ma non provare la stessa emozione.
“Andare oltre” penso sia questo, sia provare qualcosa che nessuno potrà mai capire e che tu vivrai solo una volta e sarà con te per sempre. Superare se stessi, liberare mente e anima, lasciar entrare qualcosa di diverso da ciò che si vive quotidianamente intriso di convenzioni e status quo imposti dalla società.
Sperimentare e sperimentarsi in un contesto diverso, dove pochi sono chiamati a esserci o vogliono stare.
Non è facile seguire chi ci chiede di andare contro anni di educazione e contro quello che siamo diventati, ma se ci provi davvero arriva il momento in cui stai bene, trovi un tuo spazio “privato” all’interno del quale sei solo col Maestro, cercherai quella condizione perché li sei te stesso anche solo una frazione di secondo.
L’educazione, le regole, e ogni altra “convenzione” vanno bene per poter vivere tra la massa, ma non per sentirsi sempre bene con se stessi, ed è allora che si deve saper fare il salto nel vuoto e far uscire la nostra parte istintiva.
La diplomazia con il proprio IO è una bugia che spesso ci raccontiamo, ma che non serve sempre, bisogna imparare ad aver il coraggio di dirsi le cose come sono e col tempo questa personale sincerità uscirà anche col mondo esterno e quando si è messi nella condizione di dover scegliere “se essere onesti o finti diplomatici” sarà la nuova natura ad emergere: l’onestà. Non penseremo più, non dovremo più prendere tempo per trovare le parole che si sembrano più adatte e meno aggressive, diremo e faremo la cosa per noi più vera con naturalezza e serenità.

Cosa vuol dire fare qualcosa di reale? E fare qualcosa di finto? Fare una cosa REALE vuol dire fare qualcosa che sentiamo essere efficace ed efficiente, fare qualcosa che ti porta ad un risultato valido. Se quando fai qualcosa non senti niente di tutto ciò, significa che ciò è FINTO, ossia ci si è ingannati, e che senso ha avuto allora farlo? Nessuno.
L’esempio che mi viene subito in mente: un bambino piccolo dopo aver litigato con l’amichetto è indotto dalla mamma a chiedergli scusa, ma lo fa solo perché glielo dice lei e non perché ci crede, così dopo rifà la stesse cose. Solo quando cresce saprà chieder scusa veramente e lo farà quando e con chi ritiene che ciò sia davvero da farsi.
La realtà di un sentimento e di un gesto nasce dalla consapevolezza di ciò a cui esso porta, e non dalla sistematicità asettica con cui lo si pratica, sennò si rende questo solo forte e fine a se stesso.

Consapevolezza, una parola grande, ma dietro ad essa cosa si cela? La presa di coscienza di qualcosa, ossia conoscere fino in fondo ciò che si è e ciò che si fa. Ma quanti di noi si conoscono così bene?
Io, ad esempio, a volte mi trovo a dire o a fare cose che non sapevo nemmeno essere mie.
Provo emozioni che non sapevo di poter provare, siano esse belle o no, lasciandole correre.
Quando ho iniziato a praticare il karate-do ero molto legata alle convenzioni, pur pensando di essere libera da quello che la gente pensava, ora invece sono consapevole di essere mentalmente rigida, di non accettare con leggerezza quello che gli altri pensano o fanno quando entrano nella sfera della mia vita,vorrei che fossero come io li credo. Questa mia intransigenza si manifesta nel mio modo di praticare la disciplina, e risulto rigida. Di conseguenza di volta in volta il mio esercizio mira a lasciar fuori questo mio aspetto e accettare tutte le critiche che mi vengono fatte.
La domanda che faccio al Maestro è : “Quanto sono riuscita finora a migliorare in questo?” ( Risp.Il tuo miglioramento è talmente inpercettibile che si vede ad occhio nudo. Chiedi piuttosto cosa significa migliorare)

Martedì ho visto la lezione di Nicola, un uomo di circa 40 anni, altissimo, che si sta allenando per guadagnarsi la cintura nera.
Quando arriva agli allenamenti si precipita ad indossare il suo Karategi, poi con molta costanza fa riscaldamento, palesa un buon atteggiamento mentale, fino a quando sale sul tatami. Da quel momento qualcosa si inceppa. Sembra quasi si sia messo in un posto che lo mette a disagio, lui ci prova, si applica, ma non fa il salto mentale.
Pensa a cosa deve fare e li  quando pensi perdi l’attimo, ma ancora di più si giudica e il nostro peggior giudice siamo noi stessi perché siamo spietati quando sbagliamo e non ci perdoniamo facilmente l’errore. Lui è talmente tanto limpido che lascia spazio a questi freni, così ogni sua tecnica è rigida.

C’è una frase nel film Top Gun recitata da Tom Cruise che dice” Li in alto non c’è tempo per pensare, se pensi sei morto”.

Martedì il  Maestro ha messo Nicola sotto sia fisicamente che mentalmente ed ha fatto emergere ancora di più questo suo lato. Nicola ha fatto una serie di tecniche e combinazioni, ad un certo punto si è fermato perché non ricordava la sequenza. Ecco ha pensato! Ecco la rigidità di cui tanto sento parlare. Domanda del Maestro  “questa tecnica è reale o è finta?”, ad ogni pugno ed a ogni calcio gli chiedeva ciò, la risposta non è immediata, e il Maestro insiste, gli brillano gli occhi e poi “mi stò divertendo, si vede vero?”. Si, si vede, si sente, lo puoi percepire nell’aria che si diverte a portare quell’uomo altissimo e rigido a sperimentarsi su un piano diverso.

Nicola esce sempre grondante dall’allenamento, il karategi è zuppo, fa dei Kiai continui ma strozzati, di solito divide lo spazio con altri, ma stavolta è solo col Maestro, è faccia a faccia col nemico del suo “essere un pensatore cronico”. Al Maestro piace questa situazione, a lui diverte portare l’allievo allo stato animale, far scattare la molla che ti toglie l’inibizione, quindi  si applica su questo allievo con maggiore entusiasmo e lo mette sotto. E’ un bel vedere, uno spinge e l’altro arranca, uno libera e l’altro pensa, a cosa poi non ci è dato di saperlo – sei sul tatami e le tecniche le fai di continuo, che c’hai da pensare -.
Nicola è una sorta di specchio per me, anch’io sono un po’ come lui, mi freno spesso, per cui credo di potermi permettere un po’ queste righe.
Nei giorni scorsi sono stata un po’ bugiarda con me stessa, ossia mi ero promessa di liberarmi di un peso mentale attraverso l’allenamento. Parto convinta, entro in palestra, pronta – partenza- ……… pensiero funesto. Il mio EGO ha avuto la meglio.
Ho mancato l’obbiettivo, scommessa persa.

La cosa mi è andata di traverso, così mi faccio la stessa promessa per la volta successiva. Sono consapevole che quello è il mio lato debole, porta a giudicarmi e a non essere mai contenta di quanto sto dando. Così cerco di lavorarci ogni volta di più.
Su Nicola vedo la medesima cosa, voglia di dare di più, ma il pensare è predominante.
 
Libertà, essere liberi, essere come gli animali, esplodere. Il non pensare porta a questo stato emotivo, il che non vuol dire che bisogna fare le cose a casaccio, ma se hai acquisito la conoscenza della tecnica la devi applicare e basta, lasciarla andare. Vivere il tutto per ciò che è, senza interferenze, tu e la tecnica.
Nel quotidiano facciamo migliaia di cose con sistematicità, non ci pensiamo – tralascio l’elenco -, fino a che un gesto di per sé banale si manifesta con una enfasi diversa ed entusiasmante, e ogni volta che fai quell’atto ricerchi quell’emozione allo stesso modo.

L’andar oltre, superarsi,
sembra quasi un qualcosa di extraterrestre, invece è solo un modo di essere, un modo di sentirsi nel momento in cui sei padrone di ciò che fai e non ti dai più giudizi. Vivi.

Essere vivo, esplodere, essere reali, onesti
. Tutte condizioni che non chiedono il Pensiero. Conoscenza senza applicazione non è utile. Se sai come fare ma non concretizzi l’opera, il sapere diventa un fardello inutile. Un peso che porta alla staticità del sapere, lo rende sterile.
La cognizione teorica è un’ouverture alla messa in opera di qualcosa di concreto, l’una senza l’altra lascia uno spazio vuoto che si rischia di riempire con una miriade di concetti vaghi e forse inutili.
E non parlo solo di opere materiali, questo lo estendo anche alla sfera metafisica.

Quando siamo piccoli il nostro istinto ci porta a voler curiosare ovunque ed ogni cosa, cresciamo e bombardiamo i grandi con mille domande, poi ci ritroviamo a creder di sapere tutto ed infine scopriamo di saper sempre meno cose rispetto al mondo che ci circonda.
Negli anni l’uomo perde la sua natura, l’istinto viene sempre più controllato, ogni cosa passa sotto la gogna del ragionamento, si deve dimostrare il perché di tutto – perché accade, perché 2+2 = 4, perché ci innamoriamo,……..-, si viene travolti da riviste e rubriche dove la parola chiave è “PERCHE’…….?” , così la nostra natura animale viene rarefatta fino a spegnersi.

A casa ho una cavia peruviana, l’ho tenuta in condizioni tali per cui non perdesse il suo essere animale. Per cause varie ora la devo tenere in casa, la mia bestia è diventata un essere viziato e capriccioso, quasi come un essere umano. Io non l’ho addestrata, ha imparato, ha sperimentato e il risultato è arrivato, d’istinto sa che ad una sua azione segue una mia reazione.
Questo significa che i risultati non sempre vanno ragionati, anzi meno  pensi più ottieni e con meno sforzo. L’importante è affinarsi nel come lavori. Se lavori di fino l’opera è più piacente.
E’ proprio della natura scoprire tramite la sperimentazione, cercare come sopravvivere nel mondo, portare a sé i risultati del lavoro. Questo è il filo che lega le varie epoche storiche, da sempre si è cercato di superare i risultati di chi ci ha preceduto, e la molla che fa partire il bisogno di ricercare è l’istinto, il sentire che manca qualcosa. Ora, se chi ricerca pilotasse l’origine del pensiero  - cioè non sentisse quel “quid” di partenza ma usasse il suo orgoglio per farsi bello - avrebbe uno stimolo reale per dedicarsi a quanto sta facendo, col rischio di accontentarsi di un risultato qualsiasi. Il suo lavoro potrà essere bello, potrà esser utile, ma magari non ben rifinito, se non addirittura lacunoso.

Accendersi, essere emozionati
da quanto si sta facendo dà il giusto valore ai risultati. L’emozione è basata sull’istinto, non la controlli, se stai male o se sei al colmo della gioia devi piangere, non è che vuoi farlo, vien da sé. Il pathos è un qualcosa di sopito dentro di noi, che si sveglia quando un evento ci travolge e tocca le corde del nostro animo.
L’essere umano è così disabituato a lasciarsi andare alle emozioni che talvolta si vergogna a mostrarle e/o si stupisce quando qualcuno le manifesta.
Quanta bellezza c’è negli occhi di coloro che si emozionano nel donare amore, e quanta paura proviamo davanti a chi manifesta rabbia ed aggressività. Queste sono emozioni vissute e fatte vivere. Non vi è intenzione di raggiungere e far provare qualcosa, si è acceso un interruttore emotivo e si è sprigionata una luce.

Da cerebrale quale penso di essere, rimango spiazzata ogni volta che le persone a me vicine riescono a carpire ciò che non dico. E sempre da cerebrale mi arrovello la mente per riuscire a trovare il modo di essere meno trasparente - vorrei che le cose mie restassero tali -. Niente da fare, apro solo varchi nuovi. Ma è giusto che essi vi siano, è NATURALE, essi servono all’istinto, servono perché io mi accenda davanti al mio pathos, sennò vi è il rischio che il mio cuore diventi sterile di emozioni.
L’esser fertile alle emozioni è il nostro salvavita, l’istinto di sopravvivenza è un insieme di emozioni finalizzate a metterci a nostro agio nel territorio. Qualora percepiamo del disagio in noi subito corriamo ai ripari e ci togliamo da quella condizione. Abbiamo provato due emozioni fondamentali: essere a proprio agio ed essere a disagio.
 
Ma tutto questo cosa ha a che fare col KARATE-DO?
Bella domanda. Il karate-do è una disciplina e come tale il suo obbiettivo primario è formare, dare spessore al carattere, mettere l’allievo in condizione di essere ed agire con lealtà.
Tramite la pratica costante l’allievo rafforza ed affina delle tecniche che gli potrebbero servire qualora fosse in pericolo.
Il Maestro è il veicolo tramite cui passa il sapere, è colui che insegna come modificare l’uso del corpo, è il forgiatore di un’arma umana.
Il Maestro è colui che plasma l’allievo.
Ma se finora sono state scritte una miriade di parole di elogio all’istinto, alla natura e al tornare ai primordi, perché mettersi nelle mani di chi ci plasma? Perché il karate-do plasma il corpo, modella un involucro che sarà efficace solo se chi lo indossa lo lascia andare, lo lancia nella mischia con la voglia di portarlo a casa integro.
Tramite la disciplina impariamo a cogliere tutte le sfumature che ci sono nel mondo attorno a noi, impariamo a sentire e vivere le situazioni per quello che sono, a togliere i veli dell’ipocrisia da noi stessi.
 Se ti alleni a sentire la verità di te stesso e di quello che fai, impari a sentire lo stesso anche sugli altri, in quanto sei critico, acuto e non lasci più che sia la facciata a colpirti, ma vai a fondo delle cose. Cerchi la VERITA’ delle cose.
Non compri più a scatola chiusa, vuoi vedere il contenuto e se non è quello che volevi lo rimandi al mittente senza “ma” e senza “se”, non accetti a prescindere, trovi il coraggio di affrontare il nemico.
Se sai chi sei, fin dove puoi spingerti e sai quali armi possiedi, ti potrai preparare alla battaglia senza sottovalutare te stesso ma nemmeno chi hai davanti. E’ un nuovo atteggiamento mentale fatto di libertà, dove l’equazione è composta dall’IO e dall’incognita. Ma se l’elemento IO è libero da ogni pensiero, l’elemento X verrà subito smascherato e potrò assorbirlo e farlo mio. Lo porto dove voglio. Lo posso sentire e anticipare. Lo rendo quasi una mia appendice, al punto che potrò annientarlo in ogni momento.
Non è una cosa immediata, spesso anche dopo anni di pratica c’è chi fatica ancora per ottenere un pizzico di questa abilità, credo che il trucco stia tutto in una parola, ONESTA’.

ONESTA’. Parola dai sinonimi importanti come retta, irreprensibile, incorruttibile. L’uomo oggi si sente offeso se i suoi simili non sono persone che attuano comportanti del genere, se essi si lasciano traviare al punto di tradire la fiducia che vi si ripone.
L’onestà è una dote rara, in pochi la sanno praticare con costanza e determinazione, si cerca la diplomazia, il compromesso così si pensa di fare e dire la cosa giusta senza fatica e senza dolore. E se ciò fosse solo una comoda via di fuga dalle responsabilità?
Il Karate-Do insegna ad essere onesti con se stessi e con il prossimo, insegna che devi fare ciò che sai sempre, devi praticare sempre ed ovunque, non ovviamente le tecniche ma il tuo sentire e il tuo percepire puro. Essere pronto a ogni situazione.
Come si fa? Ci si mette in una condizione di libertà emotiva.
Ciò significa che ognuno di noi innanzitutto deve conoscere le proprie sensazioni, sentirsi padrone di gestirle senza averne vergogna o paura,  sapere qual è il limite personale per affrontarlo così nel tempo le si possono far sfociare pure.
Ma come può l’onestà essere usata senza far del male gratuito?
Con il controllo ed il rispetto.
Se uno si conosce e sa quali sono le sue potenzialità è in grado di usare le sue doti e quanto ha imparato nella giusta misura, solo così può capire cosa c’è davanti a sé e potrà farvi fronte con efficacia ed efficienza, quindi controlla la situazione e la propria reazione.
Bisogna però innanzitutto essere in possesso della stima verso se stessi e il prossimo, non sottovalutare niente ne nessuno, se si possiede qualcosa in più vuol dire che lo si è guadagnato con costanza e fatica, con desiderio, va amato. 
Nel mettersi in gioco però si rischia di sopravalutare quello che si ha in più rispetto ad altri, e quindi si potrebbe considerare l’altro inferiore, se non addirittura non considerarlo per niente. E’ un errore, ogni persona ed ogni cosa nascondono un lato che non vediamo e non conosciamo, un punto di forza che si può ritorcerci contro quando viene fuori. Se invece si rispettano le proprie doti e l’avversario si è nella condizione perfetta per smascherare i punti deboli dell’altro e usare così la miglior strategia al massimo senza sprechi inutili ne con eccessi.
Il rispetto ed il controllo sono al vertice d un buon rapporto con il mondo esterno, ci permettono di essere in possesso di un sapere  diverso usandolo solo nella giusta situazione e nel miglior modo, così che esso non sia mai privo di spessore agli occhi altrui.
Attenzione, se il sapere di cui si parla è nato dall’allenare mente e corpo, cambia il nostro atteggiamento verso il mondo che ci circonda. Si tende a vedere tutto con una lente che filtra dentro la materia. Si và oltre, si fa un salto di qualità sulle scelte.
Questo non vuol dire che si schivano dolori e fregature, ma si ha una marcia in più, se essi arrivano si cade in piedi, si affrontano con lo spirito di un guerriero. “Si pensa a portar a casa la pelle”, magari anche un piccolo trofeo.

Questo è l’”andar oltre”, l’”essere esplosivi”, per me.
Significa essere in possesso di un dono enorme, la conoscenza di se stessi, avere una marcia in più sempre, poter vivere con serenità ogni cosa che ci viene incontro. Sai che puoi contare su te stesso perché ti puoi difendere senza nasconderti.
Difesa non è sinonimo di aggressività o cose simili. Spesso significa togliersi dalle situazioni di difficoltà.
Se poi si fa questa operazione anticipando l’attimo di criticità ossia lo si anticipa, si raggiunge il massimo della conoscenza.
Questo mi ha insegnato il Karate-do in questi anni di pratica, liberarsi, superare, sentire.
Il Maestro spesso dice che quando effettui la tecnica ed essa è reale esplode dentro una sensazione simile ad una magia.
Spero di provarla prima o poi, perché ciò vorrebbe dire che ho raggiunto un livello buono di apprendimento e di applicazione di quanto finora ho fatto.
 
Caro Maestro spero di aver racchiuso in queste righe il più possibile dei tuoi insegnamenti.
OSS
Monica Ceolin

Risposta del Maestro
Tabella testi Davide - Scritti da noi

| Back | Home | Stampa questa Pagina |
Albo Associazioni del Comune di Venezia n° 3187 - CF. 94084040271
Aics n°
104934 - Registro.Naz. Ass. e Societá Sportive Dilettantistiche del CONI n° 203909
Us-Acli n°
13069 - Registro.Naz. Ass. e Societá Sportive Dilettantistiche del CONI n° 205946
Affiliata a: FIKTA - Cod.Soc.
KVE 1206
- Note sul Copyright
Istituto Venezia Comunicazione e non solo