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KUJIKERUNA

Non cedere, non mollare mai
Il dibattito prosegue - Federazioni un male necessario
A cura di Davide Rizzo
IL DIBATTITO PROSEGUE
Federazioni, un male necessario di Sergio  Roedner
(già apparso su KarateDo n. 18/2010)

Avvertenza: i riferimenti a gruppi e individui in questo articolo si riferiscono alla situazione del 2010 e non sono stati aggiornati. Lo spirito dello scritto resta però lo stesso.

Vorrei ringraziare Davide Rizzo e tutti coloro che, con maggiore o minore fair play, hanno partecipato su Internet al dibattito sulle recenti vicende in casa Fikta, perché mi danno l’opportunità di spostare l’enfasi del discorso su un piano più generale,  del quale spero sia possibile dibattere pacatamente, sine ira ac studio: i  rapporti che intercorrono, o dovrebbero intercorrere, tra un insegnante di karate (o più in generale qualsiasi praticante) e la sua federazione (o Organizzazione, con la O maiuscola, come la chiama Davide).

Mi sembra evidente, dal tono rispettoso delle sue parole, che  Davide, non a torto, considera la Federazione come una specie di longa manus, di prolungamento del  Maestro: mi ricorda che essa “si fa carico della mia  formazione tecnica”, afferma che “non ha mai deluso le aspettative dei suoi iscritti” e “si fida in pieno di quanti dirigono la sua federazione”.

Io rispetto la posizione di Davide e so che è condivisa da molti, forse moltissimi praticanti. Con sincerità pari al rispetto, vorrei però precisare che il mio punto di vista è diverso.
Il mio rapporto col karate passa, ed è sempre passato esclusivamente attraverso il mio legame con un maestro. Nei miei 42 anni di pratica ne ho seguiti tre: Rosario Capuana, Hiroshi Shirai e Carlo Fugazza e, pur trattandosi di tre personalità molto diverse tra di loro, ho nutrito per tutti e tre la stessa devozione, la stessa stima e la stessa fiducia. Tre modelli da imitare, non solo nella pratica ma nella vita: tutto ciò che si compendia nella parola “Shihan” che, come diceva il M° Nishiyama, in lingua giapponese che indica non solo il Maestro ma la bussola, che indica la rotta da seguire nel dojo e nella vita.

La federazione è invece per me “solo” una struttura associativa che riunisce sotto lo stesso ombrello società sportive, istruttori e dirigenti, ed eroga servizi in cambio del pagamento della quota associativa. Assicura gli atleti contro gli infortuni, organizza corsi di aggiornamento, sessioni di esami e competizioni, e dà un riconoscimento ufficiale al livello raggiunto dai praticanti vendendo loro diplomi che sono garantiti dal prestigio di chi li firma. Nel caso della Fikta o della J.K.A., il prestigio degli esaminatori è altissimo; nel caso  della Fijlkam, dietro quei diplomi c’è l’avallo  dell’organizzazione ufficiale dello sport italiano, il CONI.

Si dovrebbe comunque trattare di un rapporto  tra individui (fisici o giuridici) di PARI DIGNITA’: il mio club versa le quote di affiliazione, tesseramento e iscrizione a gare  ed esami, io sono un istruttore con qualche decennio di pratica e mi aspetto, credo a pieno diritto, di non essere maltrattato da un presidente di giuria o apostrofato come un bambino da un arbitro o da un segretario, che è pur sempre un funzionario stipendiato con le quote del mio e dagli altri club che compongono la federazione.

Tutto sommato giudico ogni federazione un “male necessario” se si desidera partecipare a iniziative ufficiali, gare, corsi di aggiornamento e vedere i progressi propri e degli allievi riconosciuti dalla firma del Caposcuola del proprio stile. Questa mia sostanziale indifferenza sull’argomento mi ha consentito, senza troppi mal di pancia, di seguire il Maestro Capuana dalla Fesika alla Fikda, e successivamente il Maestro Shirai dalla Fikteda alla Fikta: le sigle possono cambiare, purché il rapporto fiduciario col proprio insegnante resti immutato.

Aggiungo volentieri che la federazione alla quale sono tesserato e ho affiliato la società da me diretta emerge su gran parte della concorrenza per l’onestà, l’integrità morale e la dedizione disinteressata della stragrande maggioranza dei suoi dirigenti, che sono motivati soprattutto dagli interessi del karate-do e dalla devozione incondizionata per il loro maestro, che  è stato anche il mio: il Maestro Shirai. Sono persone che conosco da quasi quarant’anni, con le quali ho condiviso gran parte delle mie esperienze, e alle quali  affiderei la casa o il portafoglio senza pensarci due volte.
Non penso che facciano “manovre sulla mia testa”, per citare ancora Davide Rizzo.

Detto questo, non sono infallibili come i cattolici  credono che sia il papa quando parla ex cathedra. Non essendo professionisti della politica sportiva
Ma persone comuni che hanno sacrificato tempo ed energia alla “causa” del  karate-do, penso che di errori ne abbiano fatti (ne fanno, e molti, anche i politici di mestiere). Penso che un grave errore sia stato lo scioglimento della Fesika nel 1978 per inseguire il  sogno del karate nel CONI e alle Olimpiadi: la controprova è stato il ritorno sostanziale allo status quo dodici anni dopo con la fondazione della Fikta: ma nel frattempo tanti amici se ne erano andati, disgustati dalla forzata convivenza coi “politici di mestiere” dell’ex Fik.

Non mi ha mai molto convinto (ma qui è questione di gusti) neppure il nuovo modello di agonismo ITKF introdotto per impulso del M° Nishiyama: le gare sono  diventate troppo complicate da preparare e da arbitrare, poco spettacolari, fatte apposta per allontanare il grande pubblico. Le dimostrazioni di difesa personale, quando vengono codificate  minuziosamente e trasformate in gare (“Embu”), sono  assai poco realistiche e troppo simili a kata. Nel fukugo, ideato per premiare gli atleti completi, è pur sempre il kata a fare la parte del leone, e lo spareggio si effettua sui fondamentali: mi sembra possa andare  bene per una garetta in palestra, non certo per un campionato italiano o europeo! Se si vogliono premiare gli atleti più completi, si veda chi si piazza meglio nelle gare di kata e kumite individuali e a  squadre: Fugazza, Marangoni, Citrelli, Acri, Cardinale e  Saffioti sono atleti che nel passato e nel presente  rispondono a questi requisiti.

Le regole del kumite ITKF sono peraltro macchinose e  rendono i nostri migliori esponenti lenti e poco  competitivi quando gareggiano in altri contesti. Con grande sincerità, preferisco di gran lunga il modo di combattere della JKA, e mi spiace che gli atleti della  Fikta non possano più partecipare alle sue competizioni.
Non mi piace neppure la proliferazione di associazioni e gruppi simili all’interno della stessa famiglia, che costringe il praticante interessato a varie esperienze a pagare vari balzelli invece che, come sarebbe più equo, la partecipazione a singoli eventi. Immaginiamo un allievo di Marchini che volesse studiare il goshindo con l’Hanshi Claudio Ceruti, praticare il kumite Jka con Naito, frequentare gli stage di preparazione agli esami di Dan e avere il proprio grado riconosciuto dalla Federazione: dovrebbe iscriversi alla Kokoro International (l’organizzazione di Marchini), all’Associazione Goshindo Italia, alla JKA Italia di Naito, all’Istituto Shotokan Italia oltre che, il va sans dire, alla Fikta. Trentacinque anni fa avrebbe potuto fare tutto questo in modo meno dispersivo e dispendioso, all’interno della sola Fesika. A questa moltiplicazione degli enti, a cui non corrisponde un’effettiva moltiplicazione di iscritti, applicherei volentieri il rasoio di Ockham: “Entia non sunt multiplicanda  praeter necessitatem” (non moltiplicare gli elementi più del necessario).

Forse il peccato originale, anche se credo inevitabile, del gruppo di amici e appassionati che nel 1965 diedero vita all’AIK, e successivamente alla Fesika e alla Fikta, è stato quello di concentrare nel loro leader carismatico non solo la direzione tecnica, ma di investirlo anche di responsabilità politiche, organizzative e dirigenziali. È stato un errore non perché il M° Shirai non fosse e non sia ancora all’altezza di gestire tutto questo, visto che al  contrario ha creato una struttura che resiste da 45 anni: ma perché è diventato e rimasto indispensabile, al punto che il suo prospettato ritiro ha colto tutti impreparati.
Sono certo anch’io che, come dice Davide, “il maestro Shirai è lungimirante e non ha mai dato segni di senilità”, ma non è eterno.

Penso che il gruppo dirigente della Fikta debba rinnovarsi nei suoi membri e nella sua mentalità, acquisire autonomia e iniziativa, cessare di considerarsi un “grande dojo” gestito secondo regole gerarchiche o una casta sacerdotale.

I più bravi allievi del Maestro Shirai che a calendimaggio del 2010 finalmente “prendono le redini nell’insegnamento” in uno stage federale hanno anch’essi sessant’anni: questo può dare l’idea della lentezza del ricambio generazionale nel karate-do, un’arte marziale che oggi attrae pochi giovani. Non dimentichiamo che quando Nakayama inviò in Europa i “moschettieri dello Shotokan”, si trattava di atleti e istruttori non ancora trentenni, che non predicavano la filosofia ma l’efficacia. In Italia non mancano atleti trentenni e maestri quarantenni ai quali vanno urgentemente delegate responsabilità e attinte nuove idee, pena l’estinzione.

Vorrei concludere dicendo che, causa il mio approccio piuttosto anarchico al concetto di federazione, ciò che mi lega alla Fikta è un sentimento molto più profondo dell’obbedienza e della disciplina. È il sentimento che in tedesco si chiama Treue: la lealtà e la fedeltà al mio Maestro, Carlo Fugazza, che seguirò dovunque andrà, ben sapendo che lo stesso legame lega lui al primo anello della catena, il Maestro Hiroshi Shirai.

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Sergio Roedner
Tabella testi Davide - Scritti da noi

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