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Shirai Ryu
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KUJIKERUNA Non Mollate MAI!


KUJIKERUNA

Non cedere, non mollare mai
La disciplina
Sette volte giu… otto volte su di Luigi Zoia
Di quei primi anni, a cavallo tra il 1968 e il '69, ricordo il Veneziano Bruno Demichelis, che allora rappresentava l'uomo da battere: era in nazionale, pesava 120 chili ed era alto 1 metro e 90. Aveva una forza fisica mostruosa, piedi di taglia 48, un gigante. In Giappone era finito addirittura in televisione.
Quella era stata la prima volta che si era recato in Giappone, anche se in realtà avrebbe dovuto essere la seconda.
Al primo campionato del mondo al quale avrebbe dovuto partecipare aveva dedicato tre anni di allenamento, ma aveva saltato la seduta una sola volta perché ammalato.

Tuttavia Shirai era stato inflessibile: «Non importa se sei ammalato, vieni qui lo stesso, stai seduto in fondo al dojo, e poi torni a Venezia».
Devi essere sempre focalizzato sul tuo obiettivo per tutti e tre gli anni che sono necessari. In questo modo è più facile che la tua mente, addestrata a non distrarsi mai, resti focalizzata per i tre minuti che dura il kumite, il combattimento. Se perdi anche una volta un allenamento, la tua mente ha un gap di discontinuità e puoi perdere una frazione di secondo di attenzione in gara. Una frazione sola ma importante in cui il tuo avversario, se è più concentrato di te, ti sconfigge.

Non era una disciplina arbitraria, da Full Metal Jacket. No, era un modo per formare il carattere: se sei fuori da questo percorso, vieni tenuto fuori. Senza eccezioni. E noi per questo motivo al campionato del mondo quell'anno lasciammo a casa l'uomo da battere, la nostra più grande risorsa.

Cominciai così a capire che bisogna fare. ogni cosa come se fosse quella che fa tutta la differenza. Cominciai a capire che non ci sono scorciatoie, bigliettini magici,. passaggi privilegiati, raccomandazioni, assunzioni a tempo indeterminato. Occorre un impegno totale ma organizzato: sia da un punto di vista mentale che fisico, emozionale e spirituale. Bisogna costruire se stessi con serietà, dall'interno, altrimenti si scherza, si fa per finta, non si va da nessuna parte.

Ero consapevole inoltre che non possedevo la brillantezza intellettuale dei migliori. Non l'ho mai avuta. Ma una cosa sapevo che mi distingueva dagli altri: la determinazione. Era la lezione appresa con il karate, ma che risaliva alla formazione dei miei genitori: rafforzata dalla convinzione che mi impressi a fuoco dentro la mente: dove c'è una volontà, lì c'è una strada; con la perseveranza e la determinazione si superano molti ostacoli. Il karate in questo senso era stato il mio banco di prova.

Un esempio era quando andavamo ai campionati mondiali in Giappone: c'era sicuramente grande emozione e attesa perché la squadra era allenata e la nostra percezione del distacco, della focalizzazione di obiettivi concreti, era messa a dura prova già durante il viaggio fino, all'aeroporto e poi il volo sino in Oriente, che all'epoca era particolarmente lungo e richiedeva più scali a causa della. ridotta autonomia degli aerei e dei due grandi ostacoli geopolitici che non potevano essere sorvolati, la Cina e l’Unione Sovietica.

Il Giappone all'inizio degli anni Settanta era un paese ancora fortemente segnato dalla guerra. Non rimanevano più tracce dei bombardamenti, ma Tokyo sembrava per molti versi sin troppo «nuova». L’economia stava decollando, ma i segni della modernità (che poi spesso erano incarnati dalle grandi macchine di importazione americana o dai vestiti di foggia occidentale degli impiegati che affollavano la metropolitana) erano stemperati dalla presenza di molti aspetti tradizionali oggi scomparsi. Era facile vedere signore con indosso eleganti kimono di seta camminare per la strada, o uomini con la bandana bianca in testa e ai piedi i sandali di legno, i geta, consegnare pacchi nei negozi. E il «colore», per le strade di una città in rapidissima espansione e costante ammodernamento, era dato dal numero inverosimile di banchetti ambulanti che vendevano i cibi più disparati, da mangiarsi rigorosamente camminando in strada.

Sono le poche impressioni rubate dal viaggio in autobus dall'aeroporto all'hotel e nei quotidiani trasferimenti, con la metropolitana dal nostro albergo alla sede del campionato mondiale. Per il resto, non avevamo certo tempo per dedicarci al turismo.

Tabella testi Davide - Scritti da noi

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