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KUJIKERUNA Non Mollate MAI!


KUJIKERUNA

Non cedere, non mollare mai
I segni dell'influenza Buddista nel karate
A cura di Davide Rizzo
108 bonno e altro
Ci sono altri segni che dimostrerebbero quanto meno l’influenza del Buddismo nel Karate: uno di questi è stato sottolineato dal monaco  Zenko Heshiki del Tempio Zen Daihonzan Chosenji e Kyoshi a Charles C. Goodin [1], autore di numerosi articoli sull’argomento.
Heshiki ha evidenziato che il nome del kata Gojushiho (cinquantaquattro) dello Shorin Ryu non richiama, come spesso si dice, i passi o i movimenti del kata stesso, che infatti non sono cinquantaquattro; questo numero, in realtà, farebbe riferimento al concetto dei 108 Bonno del Buddismo. E lo stesso varrebbe per il numero dei kata – 18 - nel Matsubayashi Ryu e al nome di uno di quei kata , Sepai (diciotto).
Nello stile Goju Ryu, il nome del kata sarebbe la pronuncia cinese, ma giapponesizzata, del numero 108. Altri kata, come Sanseru (36) e Sepai (18) sono ancora sottomultipli di 108.
Nel Tai Chi Chuan e in altre forme di kung fu ci sono forme che pare consistano di 108 movimenti e nelle arti terapeutiche cinesi si farebbe menzione di 108 punti energetici principali.
Ci sono molti richiami a questo numero nel mondo buddista: i 108 gradini che ascendono verso i templi o i 108 rintocchi delle campane dei templi alla vigilia di capodanno e in altre occasioni speciali, o ancora le 108 perle del juzu, il bracciale che certi monaci Zen indossano.
Ma nei gradini dei templi, ad esempio, le scalinate possono essere suddivise in parti di 54 o di 36 gradini.
Heshiki spiega che i 108 Bonno rappresentano le inclinazioni umane che portano verso l’errore e il male e tutto ciò che distoglie da una mente normale.
Cerchiamo di comprendere meglio: i Bonno sono l’argomento della seconda nobile verità dell’insegnamento del Budda, le cause della sofferenza. I Bonno sono quindi in realtà innumerevoli. Pare che il Maestro Zen Deshimaru ne fece una lista che poi distribuì ai suoi discepoli per incoraggiarli all’osservazione: avidità, brama, ciò che ci porta ad affermarci, a possedere per noi stessi, al di là del bisogno. Il Budda non condanna i bisogni, e dice di comprenderli e soddisfarli in modo giusto, equilibrato. I bisogni diventano Bonno quando si trasformano in  desideri compulsivi, desiderio di essere colmati, soddisfatti, che ci porta a desiderare sempre di più. Persino nell’ambito spirituale si può desiderare di ottenere dei meriti, o il satori, facendo diventare questo desiderio un Bonno, se diventa la ricerca di uno stato straordinario per noi, per il nostro ego[2].
E poi l’odio, l’ignoranza dei propri Bonno, l’orgoglio – che pone il nostro ego al di sopra di quello degli altri – l’arroganza, l’immodestia, lo scetticismo che impedisce di impegnarsi, la pigrizia, l’agitazione, l’impudicizia, la mancanza di coscienza morale. Ma l’elenco non è esaustivo, questi sono solo alcuni principali Bonno, non tutti.
Simbolicamente, i Bonno sono 108 e ognuno di essi è una porta di entrata nella Via, perché siamo disturbati da essi, e cerchiamo di liberarcene, attraverso la Via del Budda. <Se non riconosciamo l’esistenza dl Bonno, la Via del Budda non è per noi, non ha alcun senso, è inutile>[3]  L’osservazione dei Bonno è il punto di partenza del satori. E la concentrazione in Zazen consente di confrontarsi coi propri Bonno, attraversandoli, lasciandoli passare.
<In questo modo non abbiamo più bisogno di avere paura. Molti reprimono le loro passioni, i loro desideri, perché temono di non poter resistere: allora fuggono ancora più profondamente nel loro spirito. La concentrazione di Zazen ci permette al contrario di lasciarli risalire alla superficie e allora può intervenire l’osservazione.>[4].
La causa di tutti i Bonno è l’attaccamento al nostro ego. L’insoddisfazione che spesso si prova è dovuta al continuo tentativo di soddisfare i propri desideri, che però rinascono continuamente. E la continua insoddisfazione determina i sentimenti deteriori verso gli altri, che genera a sua volta una continua concatenazione dei Bonno. E non è neppure efficace tentare di eliminare i Bonno con uno sforzo di volontà: <E’ come cercare di tagliare le erbe infestanti che rispuntano sempre più vigorosamente. Il metodo del bodhisattva è quello che insegna Kannon, il bodhisattva della compassione nell’Hannya Shingyo: praticando shoken, l’osservazione giusta. Quando pratichiamo l’osservazione giusta in Zazen, possiamo osservare che tutto quanto costituisce il nostro sedicente ego sono solo cinque aggregati: il corpo, che è del tutto impermanente; le nostre sensazioni, che cambiano continuamente; le percezioni, che sono in interdipendenza con l’ambiente circostante; le costruzioni mentali e la coscienza, che dipende sempre da un oggetto. Quando osserviamo ciò, osserviamo le vacuità e possiamo realizzare che l’autentico ego è non-ego, senza sostanza. Cosicché la natura dei nostri Bonnoè vacuità e i nostri stessi Bonno sono senza sostanza. A partire da questa osservazione perdono progressivamente la loro sostanza e il loro oggetto diviene anche meno attraente. Non c’è più bisogno di avere paura, tutti gli ostacoli che si presentano nella nostra vita possono essere superati e possiamo diventare veramente liberi, senza rifiutare i Bonno, perché la loro radice si purifica attraverso la visione di ku, della vacuità. Possiamo così continuare a vivere tra i fenomeni senza essere trascinati da essi, non c’è più bisogno di temere il samsara, né di ricercare un annientamento nel nirvana, ed è in questo modo che i Bonno si trasformano nel satori, così come la neve che in primavera si scioglie e si trasforma in acqua corrente, acqua libera, che può rendere fertile la terra. Quest’acqua corrente è la saggezza, che appare quando osserviamo profondamente i Bonno dal punto di vista di zazen, dal punto di vista della vacuità. Il concatenamento dei Bonno che provoca il cattivo karma, la sofferenza, nuovi Bonno, può essere interrotto. La pratica del bodhisattva significa sperimentare tutto ciò, sperimentare questa liberazione possibile qui ed ora, aiutando anche gli altri a liberarsi.>[5]
Il Monaco Carol Homaka del Tempio Buddista di Enmanji spiega[6] che moltiplicando i sei organi sensoriali dell’uomo – occhi, naso, orecchie, bocca, pelle e mente – per i sei “sensi della consapevolezza” (vista, olfatto, udito ecc.) si ottiene il numero 36. il contatto con il mondo esterno comporta una sensazione piacevole, una sensazione spiacevole e una neutra. Queste 3 moltiplicate per 36 da 108.
I Bonno sono distinti in tre manifestazioni (regni): desiderio, forma e non-forma.
Trentasei tipi di Bonno si trovano nel regno del desiderio, trentuno in quello della forma e altrettanti in quello della non-forma. Ci sono infine 10 Bonno secondari che portano il totale a 108.
Ma ciò che pare costituire il nesso tra Bonno e karate è questo: che i Bonno, cioè i nostri attaccamenti, cioè tutto ciò che disturba lo spirito e provoca sofferenza, possono esaurirsi o essere eliminati attraverso lo shugyo, cioè attraverso una pratica austera che trascende mente e corpo; tale pratica porta all’illuminazione.
E’ quindi chiaro il significato simbolico dei 108 gradini delle scalinate che salgono ai tempi buddisti: è un’ascesa simbolica verso l’illuminazione, e ogni scalino rappresenta un Bonno che l’uomo affronta e supera nell’ascesa al Tempio.
Lo stesso può dirsi del karate-do come shugyo, come dura attività che consente l’eliminazione dei Bonno. Secondo Heshiki, i kata rappresentano i gradini per eliminare i 108 Bonno, portando così allo stato di illuminazione.
Dice Heshiki che ‘attraverso l’intensa e ininterrotta pratica dei kata, il praticante letteralmente sale i gradini o colpisce la campana del tempio del proprio sé.

L’allievo deve bruciare sé stesso nel kata.
Attraverso gli anni di pratica il corpo allenato eseguirà ogni movimento con ininterrotta fluidità. Finchè non si riuscirà più a distinguere la divisione tra l’unità mente-corpo.
Per arrivare così lontano, ad una pratica spirituale, è richiesta una concentrazione di tutte le proprie forze fisiche e psichiche. Questo è l’atteggiamento generale del popolo orientale nell’approccio con qualsiasi arte. Essi hanno sviluppato arti come il Karate-do, il Kendo, lo Judo, il Kyudo e anche la composizione floreale e la cerimonia del Tè. Lo scopo di ogni artista è quello di raggiungere tale stato della mente, al punto da non dipendere più dalle tecniche che ha imparato, ma trascendere nel regno della natura e vivere completamente in armonia con il tutto della natura e con la realtà del tutto. Kata è shugyo, colpire di pugno e parare è shugyo, kumite è shugyo, praticato correttamente ogni aspetto del karate-do è shugyo’.
Heshiki ha evidenziato anche altri aspetti che illuminano sul simbolismo Buddista nel karate-do.
Abbiamo già detto in questo libro del termine kara, che può anche essere letto ku, che deriva da sunya o sunyata, termine sanscrito per ‘vuoto’, ‘assenza di dualità e di concettualizzazione’.
Nei kata Kanku Dai (Shotokan), Kusanku (Goju Ryu) si inizia con un movimento circolare delle braccia, che inizia con le mani basse unite (in modi diversi a seconda dei kata) poi si sollevano entrambe le mani sulla testa e le si riporta in basso sui due lati, disegnando nell’aria una grande circonferenza, che rappresenta il ‘vuoto’. E’ l’enso che il calligrafo shodoka dipinge con pennello e inchiostro, il cerchio che esprime l’energia e lo spirito dell’artista.
E poi ancora la simbologia che abbiamo chiamato all’inizio di questo libro “comportamentale”: l’inchino al momento dell’ingresso nel e dell’uscita dal Dojo o per salutare il Sensei, così come si fa nei Templi Buddisti e nei Dojo Zen; o la chiusura dei gi – la giacca del “kimono” – fatta sovrapponendo il lato sinistro sul destro come d’uso nella cultura giapponese eccetto che per i morti e i Budda.

NOTE:
[1] Tratto da “Hyaku Hachi No Bonno – L’influenza delle 108 Bonno e altri concetti Buddisti nella pratica e pensiero del Karate-do” di Charles C. Goodin (Avvocato e istruttore di Matsubayashi-Ryu all’Hikari Dojo di Honolulu, Hawaii).
[2] L’esempio è fatto dal Maestro Roland Yuno Rech nella Sesshin di Ghigo di Prali del 2001
[3] Dal Mondo tenuto dal Maestro Roland Yuno Rech nella Sesshin di Ghigo di Prali del 2001
[4] Vd. Nota 35 sopra
[5] Vd. Nota 35 sopra. Ho voluto riportare per intero questa parte del Mondo del Maestro Yuno Rech per il valore assoluto del suo contenuto.
[6] Tratto dall’articolo “Museum to ring in new year Asian Art ceremony, with new stand for bell, at Main Library, di Jesse Hamlin, San Francisco Chronicle, 30 Dicembre 2002


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Davide Rizzo
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