KATA, TORNEI ED ONESTA’ PERSONALE
Intervista con Tsutomu Ohshima, studente del Maestro Funakoshi
Impaginazione&Grafica  a cura di Davide Rizzo

ImgMolte parole descrivono Tsutomu Ohshima (uno studente diretto del fondatore del Karate Gichin Funakoshi) caloroso, onesto ed amichevole. Ma, Ohshima potrebbe essere considerato semplicemente come una leggenda vivente delle arti marziali. Egli arrivò negli Stati Uniti dal Giappone nel 1955.

Studiò Karate Shotokan con Funakoshi dal 1948 al 1953 e fu capitano della squadra di Karate dell’Università di Waseda. Fondò lo SKA (Shotokan Karate of America) ed iniziò ad insegnare Karate all’Istituto di Tecnologia della California nel 1957. Durante gli anni, Ohshima ha tentato di mantenere la sua versione – la versione di Funakoshi - del Karate Shotokan (il modo in cui veniva originariamente insegnato). Ancora oggi, i membri dello SKA raggiungono uno dei tre livelli: bianco, marrone e nero. Anche se Ohshima ha praticato il Karate per oltre 40 anni, non ha mai accettato un livello più alto del 5° dan di cintura nera, semplicemente perché questo fu il massimo grado che il Maestro Funakoshi concesse. Ohshima tradusse in inglese una pietra miliare: il libro di arti marziali del Maestro Funakoshi intitolato “Karate-do Kyohan: Il Testo del Maestro” (sotto espressa richiesta di Shigeru Egami & Shotokai).

Il testo insegna solo i 19 kata che si trovano nel libro. In questa intervista, Ohshima parla di molte cose importanti per lui ed per il suo Karate. La più ovvia lezione che si può imparare da quest’ uomo in comune con altre leggende viventi è che per prima cosa egli è soprattutto accessibile come essere umano.

(Domanda) Karate/Kung Fu illustrated (KKI): Iniziamo con i tornei. Anche se molti dichiarano di aver creato il concetto di torneo (di competizione), non fu forse lei ad essere il primo ad utilizzare i tornei?

Tsutomu Ohshima: Si. I tornei che ho creato usavano due arbitri e quattro giudici. La cosa più importante è il perché iniziammo il Karate competitivo. Jiyu kumite (libero con compagno) diventò competizione. Quando arrivai in questo paese per iniziare una organizzazione del Karate, non ne esistevano altre. C’erano alcuni maestri qui, ma non attraevano il pubblico. Nel 1951-52 i miei compagni in Giappone scelsero sport diversi come il baseball, la pallavolo – tutti gli sport provenienti dall’Occidente li attraevano. Il grande pubblico impazziva letteralmente per il baseball. Non riuscivi mai ad arrivare in tempo per comperare i biglietti per le partite. Io stesso andai a vedere le partite e lì era pieno di belle ragazze. Pensai tra me e me: “Caspita, nessuno viene a vedere la nostra pratica del Karate”. A quel tempo molte persone volevano iscriversi ai club di Karate – in uno di essi presso un’università avevamo più di 150 membri. Ma i più vecchi li buttavano fuori perché non c’era abbastanza spazio per allenarsi.
Odiavo quel tipo di atmosfera. Non trattavano gli studenti universitari nel modo giusto, li sbattevano semplicemente fuori. Dissi ai miei compagni che se volevamo preservare le arti marziali dovevamo attrarre il pubblico, così, forse un giorno, sarebbero venute delle giovani donne a vedere gli incontri. Allora, come realizzare tutto ciò? Ebbene, potevamo creare delle regole come negli altri sport. Avremmo potuto formalizzare il Karate e poi pubblicizzarlo. Al tempo, quando creai le competizioni, non lo feci per tutti i livelli – niente principianti, cinture marroni e niente shodan (cinture nere di primo livello). Non mi fidavo della loro maturità mentale o del loro completo controllo delle tecniche. Così feci una dimostrazione con il mio rivale anch’egli terzo grado cintura nera. A quel tempo, i sandan (ovvero coloro che avevano raggiunto il terzo grado di cintura nera) erano al massimo livello in tutto il Giappone.

Forse, ogni anno, solo due o tre atleti riuscivano ad ottenere il terzo grado di cintura nera. L’anno in cui io stesso ottenni tale grado, solo otto, in tutto il Giappone orientale, lo ottennero ugualmente. Uno di questi otto fu il Maestro Teruyuki Okazaki di Filadelfia. Dissi  che dovevamo stare attenti, perché questa era pubblicità per il pubblico. I tornei erano solo per il pubblico, perché gli studenti che diventano esperti – alle volte si dice “veri uomini del Karate” – non ne parlano. Per esempio, non ho mai parlato di questo con la mia famiglia. Per molti anni nessuno seppe che io praticavo il Karate. I membri della mia famiglia non videro mai nulla, e così neppure i miei amici. Cercavamo di sembrare normali, persone ordinarie, e non parlavamo mai della nostra pratica personale. Ma quando iniziammo i tornei, sapevamo che la gente li avrebbe visti e pensato “Ah! È interessante!”. Così, decidemmo di avere solo atleti al top, in grado di eseguire tecniche pulite con il massimo del controllo – non tecniche da strada.

I capitani della squadra dell’università non combattevano. Erano lì per essere sicuri che si creasse una bella atmosfera. Se gli atleti erano troppo veloci o iniziavano un brutto combattimento intervenivamo e li separavamo. Prima di tutto questo, i nostri combattimenti erano molto fisici – spesso c’era sangue nel pavimento – ma per queste occasioni volevamo che tutto apparisse bello. Tutti eravamo consci del fatto che l’essenza delle arti marziali non era la competizione. Essa serviva solo per mostrare le arti marziali al grande pubblico, in modo tale da poter avere più iscritti nel futuro.

(Domanda) KKI: Quando raggiunse l’America, come reagirono gli americani alle sue arti marziali?

Ohshima
:
Dopo la Guerra, e per tutti gli anni ’50, tutti in Giappone pensavano che i beni materiali americani fossero i migliori, per esempio la Coca-Cola o la musica Jazz. Arrivai qui e l’America aveva così tanti sport – il rugby, il baseball, il basketball. Qualsiasi persona poteva farli e sapevano come divertirsi. Così, pensai: “Perché dovrebbero venire da me ad imparare le arti marziali?” Non si spettavano d’imparare un altro sport da me. Gli americani avevano centinaia di sport con cui divertirsi. Alcuni miei amici mi dissero di trasformare le arti marziali in uno sport, ma io dissi di no.  Perché avremmo dovuto cambiare le arti marziali in un altro sport e perdere così la tradizionale mentalità e la comprensione delle tecniche? Dissi che era ridicolo, perché gli americani non avevano voglia d’imparare un altro sport. Dissi loro che dovevamo dimostrare agli americani, attraverso le arti marziali,  che la nostra cultura non era di seconda classe, né stupida, ma che eravamo persone normali, intellettuali, seri, persone che si allenavano con il Karate. Così l’inventore delle competizione diventò, nello stesso tempo, un artista marziale tradizionale.

(Domanda) KKI: Cosa ne pensa della situazione delle arti marziali oggi?
Ohshima: L’influenza individuale è molto limitata. Persino alcuni dei membri più stretti non sapevano che Nisei Week (la celebrazione annuale culturale giapponese a Los Angeles) era la prima dimostrazione pubblica all’aperto di arti marziali in questo paese. Così, non capiscono il perché del mio essere ortodosso ed il tentativo di insegnare nella società americana ciò che ho imparato dal Maestro Funakoshi. Ma, almeno, le mie cinture nere sanno che ciò che stanno imparando non è apparenza, o per un uso da strada, o per la competizione e le gare, ma per il loro spirito e per la loro vita. Dopo alcuni dei nostri speciali allenamenti (nota dell’editore: gli allenamenti speciali dello SKA sono maratone di arti marziali composte da migliaia di pugni e centinaia di kata) iniziano a realizzare: “Pensavamo di essere forti e buoni esseri umani, ma siamo molto immaturi, deboli e disonesti”.  Ma riconoscere questa debolezza o questa “bruttezza” è lo spirito umano, di cui bisogna essere fieri. In ogni campo abbiamo persone capaci e disonesti o persone nevrotiche. Ma, almeno, abbiamo anche persone che cercano di essere genuine, oneste e forti, che non si lasciano abbindolare dai truffatori di questo mondo. Una piccola pietra lanciata nell’acqua di un grande lago crea delle increspature circolari che si allargano per un lungo tratto; ed è proprio questo che cerchiamo di fare con le arti marziali. Il problema è che oggi la società riconosce qualcuno come una persona di successo solo se ha molti soldi o molte cose materiali, ma non c’è nessuna connessione tra il fatto di possedere molte cose materiali e la maturità mentale. E’ pieno di persone immature che hanno avuto grande successo. Ma cosa sono il paradiso e l’inferno? Il paradiso in terra è quando ci sono persone buone e capaci (persone mature) che hanno la guida e si occupano delle persone immature, malate e sole. L’inferno in terra è quando persone cattive ed incapaci (persone immature) hanno il potere di spingere le persone buone e capaci verso la sofferenza. Tutto ciò ha una connessione con le arti marziali. Dobbiamo renderci conto che per porre fine a questa bruttura e all’egoismo  dobbiamo eliminare la nostra stessa bruttura ed il nostro stesso egoismo.

(Domanda) KKI: Lei tradusse il libro di arti marziali del Maestro Funakoshi intitolato “Karate-do Kyohan: Il Testo del Maestro”  e continua ad insegnare solo i kata inseriti al suo interno. Cosa ne pensa delle persone che inventano i loro personali kata. Lei ne ha mai creati?
Ohshima: Un tizio inventa un kata. Dopo 5 o dieci anni, i suoi studenti (10 studenti), inventano 10 kata. Durante la generazione successiva, una persona decide di voler studiare il Karate, e ci sono diecimila kata. Qual’ è quello autentico? Avranno sicuramente dei problemi. Immagina che un maestro in America faccia un kata. Esistono circa 100.000 maestri di Karate in America, così circa 100.000 nuovi kata vengono prodotti. E’ la peggiore delle situazioni che mi potrei immaginare. Prima che il Maestro Funakoshi si trasferisse da Okinawa a Tokyo, visitò degli esperti per imparare i loro kata.
Sapeva che il pubblico  avrebbe chiesto quanti kata aveva imparato. Forse ne sapeva 60 o 80 e forse fece ogni kata cento o duecento volte, ma questo bada bene non così tanto probabilmente. Se lui avesse fatto cento volte ogni kata allora il risultato sarebbe 6.000 volte. Così con solo uno o due anni di preparazione, non avrebbe potuto fare ogni kata 1.000 volte. Dopo una certa età, è ridicolo pensare di memorizzare tutte queste forme. Non me lo disse mai questo, e mai glielo chiesi, ma lo so. Quando arrivai qui nel 1955, le persone mi avrebbero chiesto “Quanti kata conosci?”, ed io avrei detto: “Forse 25”. Allora, loro avrebbero detto: “Solo 25, conosco uno che sa 30 kata”. Loro potrebbero pensare che la persona che sa 30 kata è più esperto di uno che ne sa 25. Ho scoperto che il pubblico fa questo tipo di domande – la loro idea si rivolge alla varietà, ai differenti tipi, al numero di kata. Per la persona che pratica le arti marziali invece, è esattamente l’opposto. Dobbiamo semplificare, semplificare ed ancora semplificare.

Se conosci 20 kata, ne devi fare dieci meglio. Se ne conosci 10, devi tagliare a 5. Si! 5 kata, ma fatti molto, molto bene. Persino 5 kata sono troppi. Bisogna farne 2. Ognuno ripetuto 50.000 volte. Falli 100.000 volte, e capisci che un kata è fatto meglio dell’altro. Allora, fai proprio quello, 50.000 volte in più. Quando si raggiungono le 150.000/200.000 volte, penso che il kata sia tuo. Il kata quindi si sposta verso questo tipo di direzione. Il fatto non è quello di memorizzare un numero di kata o di crearne altri dopo un certo periodo di esperienza. Io sono molto creativo. Potrei creare i miei kata, ma perché? Solo perché così potrei fare delle dimostrazioni e vedere la gente applaudire? No. Il kata è l’opposto di questo. Il kata è per il tuo spirito, la tua maturità. Se riesci a digerire un kata, allora diventi un’unità. Cosa vuol dire diventare un’unità? E’ presto detto. Il tuo inconscio ed il tuo conscio si connettono direttamente con i tuoi movimenti fisici. Il tuo inconscio e la tua mente concentrata si muovono con il tuo corpo, questo però richiede molto tempo. Diventare un’unità con un kata completo è qualcosa di cui puoi andare veramente fiero. Puoi dire: “Questo è il mio Karate, questo è il mio kata”. Puoi dire: “Oggi ho sentito che tutto era un’unità. Ora so che qualsiasi avversario affronterò, potrò esprimere il mio meglio, la mia energia migliore”. Il Karate va verso questa direzione. Il kata è fatto per questo. Tutti lo sappiamo. Almeno, questo era una volta. Non lo so adesso. Inventare un nuovo kata per impressionare un gruppo di persone non è Karate, è qualcosa che va bene per Hollywood.

(Domanda) KKI: In una precedente intervista lei disse che “la persona con il grado più alto ed il potere maggiore dovrebbe sacrificarsi per il beneficio degli altri”. Potrebbe parlarci di questo?
Ohshima: Penso che ognuno abbia il diritto di vivere sulla terra. Ma ci sono differenti livelli. Alcuni sono maturi ed altri immaturi. Solitamente la generazione più vecchia è più matura e quella più giovane meno matura. Questo è ciò che accade solitamente. Tuttavia, alcune volte, per cattiva educazione o per una vita sbagliata, diventando vecchi si diventa immaturi. Il vero problema è quando una persona cresce e diventa molto egoista ed avida (non si preoccupa del resto delle persone). Questo tipo di persone prendono il tempo, i soldi e qualsiasi altra cosa per il loro esclusivo lusso, per avere una vita facile. Ognuno sa che esistono persone di questo tipo. Esiste un eroe che piace, arriva all’apice e poi improvvisamente cade nel più profondo egoismo. Solo per una cosa penso che le arti marziali possano contribuire alla società umana. Bisogna essere rigorosi ed onesti con se stessi.

Questo era l’originario ideale delle arti marziali.  Molte persone non riescono a recepire questa cosa nella società americana. Ma, originariamente questa era la cosa più importante nelle arti marziali – raggiungere un più alto livello, diventare un essere umano forte. Forte non vuol dire avere le braccia grosse e muscolose. Vuol dire colui il quale può essere più rigoroso con se stesso. Questo è l’ideale delle arti marziali. La seconda cosa molto importate è una sistema educativo. Noi non viziamo la generazione più giovane. Sento dire dalle persone: “La persona al top deve scarificarsi.

Tutte le altre persone lavorano duramente e io mi prendo tutto”. Questo è il grande problema della società americana, perché non si allena la generazione più giovane a diventare leader. Leader significa diventare un essere umano di prima classe. Un soggetto che può stare in piedi da solo, che lavora duro, ma non per se stesso ma per le altre persone. Ognuno deve capire che quando si praticano le arti marziali, la direzione che si prende è quella dell’essere il più rigorosi possibile con se stessi. Il leader non può solo parlare. Deve provarlo e gli americani non credono a questi “paroloni” che uso. Credo che i miei studenti più anziani ora riescano a capire questo – che devono essere rigorosi con se stessi. Per esempio, durante gli anni ’50, quando finivamo di allenarci, pulivo io stesso il dojo. Ognuno stava lì a guardare ma io non ho mai chiesto loro di farlo. Alcuni studenti americani mi dicevano: “Hey, Maestro Ohshima, le piace pulire, eh?”. Ed io rispondevo: “Si!”. Non chiedevo nulla e continuavo a pulire. Dissi: “Abbiamo l’abitudine di pulire, perché significa che apprezziamo il luogo che ci dà la possibilità di praticare”. Pulire  il pavimento significa pulire la mia mente. Ciò, è quello che ho imparato e pensai che questi ragazzi avrebbero capito. Dopo alcuni mesi, gli studenti americani sapevano che avrebbero dovuto, ma non volevano lavorare. Tuttavia, iniziarono a seguirmi. Dopo due o tre anni, ognuno di loro voleva pulire. Dopo aver finito la pratica, le cinture nere correvano a pulire e le cinture bianche vedendo questo comportamento cominciano a pensare: “Le cinture nere puliscono, beh, forse, allora, dovrei farlo anch’io”. Questo è molto differente dal dire: “Hey, cinture bianche, pulite!!”. Non abbiamo schiavi in questo paese. La persona al top deve lavorare sodo. E’ per questo che le persone lo rispetteranno e lo seguiranno. Una persona che non può dimostrarlo non dovrebbe essere rispettato per la posizione che ha solo per la grossezza delle sue braccia. Solo alcune volte bisogna essere duri con la generazione più giovane. Devono infatti imparare.

Se una persona crede veramente nella generazione futura e se ne vuole prendere cura, la generazione più giovane dirà: “Non ci sta pressando per un suo interesse, ci sta pressando per noi stessi”.

Questo è l’ideale delle arti marziali.

Interviste ai Maestri
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