FEDERAZIONE SPORTIVA ITALIANA KARATE
Tokyo: Allenamento in comune, sotto la guida del Maestro Shirai, prima degli incontri tra la squadra italiana
(Bruno Baleotti, Bruno Demichelis, Luigi Zoja, Carlo Fugazza, Enzo Montanari, Pietro Zaupa) e le due squadre delle Università di Komazawa e Hirosaki
ITALY KARATEDO
Italy... Italy karatedo..., un solo fortissimo prorompente urlo, scandito da centinaia di voci, interrotto da lunghi applausi, ci ha sorpreso al nostro arrivo all'aeroporto di Tokyo.
Là in alto sulla terrazza dell'aeroporto, ornata di striscioni inneggianti all'Italia, più di 200 atleti giapponesi, accompagnati dalle autorità della Japan Karate Association, inneggiavano con forza, commozione ed entusiasmo al nostro arrivo.
Quell'urlo straziante, ma pieno di carica umana, ci parlò al cuore: eravamo i "Benvenuti in Giappone".
Ancora non ce ne rendevamo conto.
Partiti da Londra solo dieci ore prima, sorvolata la sterminata Siberia dopo una breve sosta a Mosca, avevamo ancora negli orecchi il rombo monotono dell'aereo, negli occhi il triste interminabile paesaggio siberiano, ed il disco infuocato dei sole che senza mai scendere la linea dell'orizzonte aveva illuminato per tutta la notte la cabina dell'aereo con i suoi raggi dorati. Poi improvvisamente sul mare aperto col sole già alto, diretti in Giappone. Grande la differenza fra la Siberia ed il suolo nipponico. Quest'ultimo si rivelo subito di estremo interesse, popolatissimo; dall'alto si ammiravano le intense coltivazioni estese sino ai piedi delle montagne. Appena a terra un'ondata di aria umida ed opprimente: il periodo dei monsoni. Ci vollero parecchi giorni perché ci abituassimo al nuovo clima e al cambiamento dei fusi orari. Ciononostante il giorno appresso già una gara contro due delle più forti università giapponesi: Komazawa ed Hirosaki.
Lo studente giapponese quando entra all'università, deve scegliere uno sport che spesso si rivela una disciplina marziale da praticarsi negli anni futuri, tutti i giorni per parecchie ore al giorno. Un gruppo di atleti "novizi", cinture bianche, era a riceverci alla stazione dei metrò, per accompagnarci, con profondi inchini, nella vicina sede univesitaria dove si sarebbero svolte le gare.
Quegli inchini a noi familiari, ci hanno rivelato la disciplina, la gerarchia e la subordinazione assoluta dell'iniziato verso il "Sempai" ovvero "anziano di palestra". Non poteva in quel momento non colpirci la serietà, la compunzione di quel gruppo di studenti universitari che a piedi scalzi, in kimono bianco di karate, in pieno Tokyo, ci accompagnava con rispetto per il nostro grado e con il massimo onore riservato all'ospite.
Il centro universitario di
Komazawa riunisce più di 20.000 giovani, che qui vivono, studiando e praticando arti marziali, accomunati tutti da un unico grande spirito e da un profondo reciproco rispetto. In questa, come in altre università, si comprende e si vive nello spirito delle arti marziali.
Noi stessi l'abbiamo sentito.
In quel momento si è fatta in noi netta la sensazione dei significato dei mistica giapponese. "
Kiai" l'urlo che prorompe spontaneo in combattimento, e chiaro il senso di "unione di corpo e di mente " non solo individuale ma anche collettiva.
Al piano terreno della moderna e attrezzata palestra dell'università si stavano svolgendo lezioni di judo e di kendo, al primo piano le nostre gare di karate. Ogni praticante sottolineava l'esecuzione delle tecniche con un urlo: si stava creando nell'immenso edificio un'atmosfera particolare, una carica psicologica, unita ad una esaltazione, che andava accentuando man mano che si accumulava fatica, provocando un centuplicarsi delle nostre forze, quasi che in noi convogliasse la potenza mentale e fisica di centinaia di individui. In quei momenti ci siamo sentiti tutt'uno con i nostri avversari ed ospiti, Un misticismo che trae non più estranei l'un l'altro, ma permeati da un unico spirito senza barriere di nazionalità e di lingua, accomunati nella stessa esperienza, nello stesso credo, nel medesimo ideale di questa meravigliosa disciplina.
Quella gara, vinta dalla nostra squadra, ci servì moltissimo per caricarci psicologicamente per la grande esperienza del 19-20 giugno: i Campionati mondiali Stile Shotokan, organizzati dalla Japan Karate Association, la più importante associazione di karate in Giappone che estende la sua influenza ed il suo insegnamento in tutto il mondo e dalla quale, unici in Italia, siamo riconosciuti ufficialmente sia a livello federale sia a livello individuale come cinture nere.
Quelle giornate si stamparono indelebilmente nella mia mente. Combattemmo ininterrottamente per due giorni, difendendo il nome dell'Italia, quasi al limite della nostra resistenza psico-fisica, immersi nella snervante atmosfera dell'immenso
Budokan di Tokyo, centro di tutte le arti marziali.
Imponente il Budokan con i suoi 15.000 spettatori, ma ancora più impressionante e suggestiva la cerimonia di apertura delle gare con lo schieramento di 160 squadre e più di 1.500 atleti, rappresentanti 5 continenti.
Interminabile e maestosa la sfilata degli atleti: uscivano in fila indiana, lentamente, dai sotterranei, sembrava non dovessero finire più, e avrebbero combattuto tutti!
Il comportamento della squadra italiana fu brillante, suscitando entusiasmo nel pubblico giapponese che subito la prese in simpatia, sottolineando ogni sua apparizione al grido di "Italia-Italia".
Gli stessi maestri, gli istruttori ufficiali, gli atleti ci dimostrarono ammirazione, meravigliati dei nostro altissimo livello tecnico e dei nostro spirito combattivo.
Grande è stata la soddisfazione dei nostri dirigenti, che più volte hanno ricevuto i complimenti delle massime autorità nipponiche.
Seguirono, la settimana dopo i campionati, altri incontri internazionali a
Fukuoka e
Sendai, dove l'Italia si aggiudicò due terzi posti.
Nel ritorno ci siamo fermati a Kyoto, l'antica capitale del Giappone, per conoscere da vicino i luoghi dove prosperò la filosofia "zen" e tutta la mistica giapponese.
Fu a Kyoto che abbiamo rivissuto l'atmosfera dei vecchio Giappone, oramai andata perduta in altre città come Tokyo, dove imperano un progresso, un modernismo ed un'attività veramente impressionanti. Kyoto circondata da colline e montagne raccoglie nei suoi antichi boschi e nelle sue vallate un patrimonio artistico e culturale inestimabile.
Qui nella pace dei vecchi templi, a diretto contatto con la natura, che assume nella concezione di vita giapponese una importanza basilare, i monaci buddisti praticavano lo zen, creando alle arti marziali quella base mistica che noi ancora oggi abbiamo ritrovato.
Un misticismo che trae origine dall'equilibrio e dall'armonia della natura nella quale la semplicità ed il perfezionamento sono considerate mete finali.
E' stato nel giardino del tempio "Shorin" che ho potuto provare queste sensazioni.
In una superficie marina, rappresentata da piccoli ciotoli armoniosamente rastrellati, fuoriescono grossi massi che paiono messi a caso, ma che rivelano, all'occhio attento, uno studiato equilibrio di misure e di forme talmente perfetto da sembrare spontaneo, naturale.
In questo delicato equilibrio di masse pare racchiusa la spiegazione della vita e lo scopo della nostra missione.
Esso crea in chi si ferma in contemplazione un equilibrio interno ed una pace nei sensi e nello spirito molto riposante che fa svanire in noi anche le più grandi preoccupazioni.
Ma ciò che più mi ha sorpreso in Giappone è stato il provare certe sensazioni di fronte a fenomeni e ad oggetti di minime dimensioni spaziali, misurabili in metri o addirittura in centimetri.
E' il cercare e il dare uno scopo alla vita nelle semplici cose, in un rovesciamento o capovolgimento dei nostri valori tradizionali, questa la caratteristica più singolare che a mio avviso presenta questo paese.
E' qui che è nata l'idea che l'uomo più piccolo e debole può vincere il più forte.
E' in questo paese, dove la mistica invade qualunque azione umana, che, attraverso attività che non presentano a prima vista niente di immanente, il praticante raggiunge una elevazione spirituale e morale fuori dal comune. Ma a questa carica mistica, contenuta in tutti gli sport giapponesi, anche
noi possiamo accedere, sempre ché questi siano praticati secondo le regole dello spirito orientale.
Basterebbe una leggera mistificazione nel loro insegnamento e noi ci troveremmo in possesso non più di una disciplina dalla quale attingere forza morale e ricchezza interiore, ma solo di nude scheletriche tecniche senza anima.
Il Presidente della FE.S.I.KA.
Dr. Giacomo Zoja