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La storia della FESIKA a cura di Davide Rizzo
Un sogno lungo 40 anni: Io c'ero

Lettera a perta a Carlo Henke

Caro Henke,
avevo deciso, in accordo con i dirigenti FIKTA, di non lasciarmi trascinare nella polemica aperta con i tuoi articoli riguardanti la storia del karate in Italia pubblicati nei mesi scorsi su Samurai ed in particolare con l’articolo “La montagna incantata”.
Purtroppo sono costretto a farlo dopo la tua risposta alla lettera di Sergio Roedner.
Prima di entrare nel merito voglio fare alcune premesse.

PerlatiIo sono un modesto praticate, sono stato un modesto agonista, mi ritengo un buon insegnante visti i risultati con gli allievi, occupo anche delle cariche dirigenziali senza averne grandi capacità e sono uno di quelli che tu definisci “oss!  man”.
Mi sento comunque in buona compagnia, sia come praticante che come politico, visto che i risultati ottenuti da quanti si ritengono molto bravi in tutti i campi sono abbastanza deludenti.
In tanti vantano capacità ed esperienze a loro del tutto sconosciute al solo scopo di attirare proseliti e di rivestire cariche ai massimi livelli nelle loro Organizzazioni.

Tanti parlano del karate senza specificare di quale karate stanno parlando.

Io ho trascorso molti anni a chiedermi cosa c’è dietro alle tecniche, come potevo trasferire le conoscenze del karate nella vita quotidiana e finalmente l’ho capito ed è stato per me illuminante.
Ho capito che il karate è un mezzo e non uno scopo, ho capito cosa intendeva dire il Maestro Deshimaru con la frase “nello sport c’è il tempo, nell’arte marziale c’è l’istante”. Sicuramente altri l’avranno capito prima di me ma, quando leggo quello che scrivono, non ne sono tanto convinto.
Quando leggo che si possono inventare dei kata come se fossero una combinazione di kihon, che le gare di kumite si differenziano per uno o tre ippon, capisco che siamo su strade diverse. Il problema è: cos’è il kata, cos’è l’ippon.
A me interessa praticare il dojo kun, capire il ki e il kime, il sen, il sen no sen, il sen sen no sen, lo zanshin, lo shinkitai, il senso profondo di “karate ni sente nashi”, perché sono convinto che tutto quello che facciamo nella vita ha caratteristiche orizzontali e verticali, vale a dire approfondire poche cose o farne tante superficialmente, accontentarsi degli aspetti esteriori o cercare in profondità il vero senso delle cose.
Se mi guardo intorno vedo che tutti quelli che si sono realizzati erano, e sono, monotematici e sono andati in profondità, seguiti, a grande distanza, da una moltitudine di superficiali.
La sintesi di diverse esperienze è sicuramente importante se avviene dopo anni di approfondimento delle esperienze stesse ma è una strada insidiosa che può portare all’illusione di avere scoperto il meglio mentre si è rimasti limitati alla banalità e superficialità:  un po’ di vino bianco e un po’ di vino rosso non fanno un buon rosé.

La mia è una scelta, rispettabile come le altre ma non sento molto rispetto da parte tua quando leggo che non capiamo di essere sulla strada sbagliata perché siamo degli “oss! man”.
Ma tu davvero pensi che tanti siano così ottusi? La persona che tu chiami shogun (e le varie organizzazioni sono piene di falsi shogun: un po’ di invidia non guasta, vero?) io lo chiamo “maestro” e il rapporto maestro/allievo è imprescindibile nelle arti marziali che tutti dicono di praticare, per accogliere allievi, ma poi fanno tutt’altra cosa. Anche quelli che lo denigrano non perdono occasione per vantarsi di averlo conosciuto, di avere seguito i suoi insegnamenti, di avere avuto da lui la cintura nera.
Un po’ di rispetto e di riconoscenza per una persona che, tra l’altro, ha dato uno scopo e opportunità di lavoro a tanti italiani non guasterebbe.
Ti posso assicurare che alla bella età di 64 anni e dopo oltre 40 di pratica vicino al mio maestro sono ben felice della scelta, ponderata e sempre verificata, e ho solo il rammarico di non avere fatto di più.
Però non ho dimenticato lo spirito del principiante convinto che un buon praticante ne deve mantenere le caratteristiche: curiosità, determinazione, disponibilità, pazienza, coraggio, umiltà, costanza.
Tutti le abbiamo avute quando abbiamo iniziato a praticare ma qualcuno le ha dimenticate.
E’ una questione di scelta.

Io, come tanti altri, ho scelto un tipo di pratica che mi soddisfa pienamente, se anche tu sei soddisfatto qual è il problema?
Non ho mai cercato lo scontro ma sempre il confronto perché non mi interessa essere migliore di nessuno ma solo di me stesso e ti assicuro che è già un bell’impegno.
Sarò egoista ma a me importa poco se altri seguono strade diverse, cerco di percorrere meglio che posso la mia e sono contento se altri mi fanno compagnia, spero solo che tutti siano onesti e coerenti con sé stessi e con gli allievi non mescolando il karate agonistico con quello amatoriale, l’arte marziale con lo sport, le gare con l’autodifesa e così via.

Ed ora vengo al merito.
Confermo che tutto quello scritto da Sergio Roedner è vero, salvo il particolare dello stile al quale Aschieri avrebbe indirizzato gli atleti per i kata che non era il goju-ryu ma lo shito-ryu, anche se non ho mai capito il perché visto che con lo shotokan vincevamo sempre!
E’ interessante quando sottolinei che per dare una visione esaustiva degli avvenimenti occorre essere stati presenti per poi contraddirti quando riferisci che ti è stato raccontato personalmente come si è svolta la Coppa Funakoshi di Bologna ma che tu non c’eri: le tue fonti sono ufficiali mentre quelle di Roedner sono solo racconti di persone di parte? Non farti illusioni, non sono io la persona che avrebbe condizionato Roedner con racconti di parte anche perché non ci siamo mai frequentati e Sergio è intelligente e capace di valutare da solo gli eventi.
Si dà il caso che non solo io c’ero alla Coppa Funakoshi ma che ne sono stato l’organizzatore e ti posso assicurare che lo scopo era completamente diverso da quello da te indicato, sicuramente, comunque, non era quello di una sfida tra ex FIK ed ex FESIKA.

Uso il tuo stesso tono omertoso e se vuoi posso raccontarti personalmente come si sono svolti i fatti senza dovere cercare lontano da casa tua.
Anche per quanto riguarda il “disagio degli atleti ex FESIKA”, al quale fai riferimento, confermo che non ci siamo adattati alla metodologia di Aschieri, della quale, tra l’altro, non abbiamo avuto il piacere di essere informati se non durante gli stages per tecnici che si tenevano annualmente, con brevi e banali indicazioni, ma semplicemente abbiamo tenuto conto del regolamento arbitrale che premiava anche tecniche che per il regolamento FESIKA non erano valide.
Ti faccio notare che in poco tempo anche le squadre maschili ex FESIKA, se si escludono i militari, hanno raggiunto ottimi piazzamenti e che quelle femminili sono sempre state ai primi posti nonostante arbitraggi scandalosi dovuti alla regola dei punteggi che venivano assegnati alle Società in funzione dei risultati agonistici.
Non solo, nel 1982, a meno di due anni dall’unificazione FIK – FESIKA, le ragazze selezionate per i campionati mondiali ed europei di kumite erano quasi tutte di provenienza ex FESIKA: non avrebbero avuto nemmeno il tempo per adattarsi ad eventuali metodologie diverse.

Per quanto riguarda gli avvenimenti degli anni 80, tra FILPJ – FIKTEDA – FITAK, a parte le chiacchiere, le opinioni e le imprecisioni, visto che io c’ero in prima persona essendo stato vice presidente della FIKTEDA e consigliere federale FITAK, mi ricordo bene di tutto, anche dei tuoi rapporti con Basile e Aschieri, di quello che dicevi a proposito del karate proposto da Aschieri il quale, coerentemente, proponeva un karate esclusivamente sportivo e della sua presa di potere all’interno della Federazione: sicuramente lo ricorda anche lui.
Mi ricordo bene anche di quando, coraggiosamente, sei scappato dalla barca della FIKTEDA per entrare nella FITAK alle prime difficoltà con la FILPJ, ancora prima delle squadre militari che ci rispettavano e stimavano (De Luca e Di Luigi ne sono testimoni).
Confermo che il gruppo delle Società ex FESIKA ha sempre operato per l’unione del karate; la dimostrazione è che è sempre ENTRATO in quelle che risultavano le Federazioni ufficiali ed è uscito una sola volta, quando ha costituito la FIKTA.
Penso di sapere meglio di te perché abbiamo fatto certe scelte o tu credi di conoscere anche i nostri pensieri?
Pensi che noi, poveri ottusi, abbiamo seguito come le processionarie il nostro shogun senza un valido motivo ma con la mente ottenebrata dal fanatismo che ci contraddistingue?
Potrei farti tanti esempi, concreti e dimostrabili, di avvenimenti all’interno della FITAK che ci hanno “costretto” a prendere altre strade e di quale “democrazia” vigeva nella stessa FITAK ma non voglio tediarti, se sei interessato te li posso ricordare tutti.

Ma tu, perché sei uscito dalla Federazione riconosciuta dal CONI?
E perché tante Società ti hanno seguito? Avranno avuto un motivo o hanno seguito il loro shogun?
E perché Basile non esiste più nella FIJLKAM, cosi come non esiste più Balzarro, rimasto all’interno per tanti anni per difendere, a sentire lui, i praticanti di karate tradizionale?
Anche quel galantuomo di Tabarroni, non solo gentiluomo come lo definisci tu, che è rimasto illudendosi di aiutare il karate italiano, alla prima occasione è stato allontanato: i fatti lo dimostrano.
Cosa è cambiato nella FIJLKAM, “sul serio e non a parole” (come sottolinei tu), dal 1999 ad oggi con la presenza di Tabarroni per diversi anni e di Balzarro fino a ieri?
Il karate tradizionale è ancora autorizzato, tollerato e non legittimato.
Nelle carte federali sono riconosciuti gli “stili tradizionali”?
Quello sì che rappresenterebbe un fatto concreto e non solo parole al vento.
A proposito della consistenza dei tradizionalisti all’interno della Fikteda sei male informato perché le Società erano circa 900, se togli circa 200 Società delle discipline associate (jujitzu, ecc) ne rimanevano circa 700 e le 450 che sono uscite per entrare nella FIKTA non rappresentavano solo il 30% come affermi tu ma oltre il 60%, senza contare quelle che sono rimaste nella FITAK grazie alla presenza di Tabarroni e Balzarro.

Per quanto riguarda l’andata a Okinawa del maestro Shirai non mi risulta che tu sia stato presente né che tu abbia chiesto al maestro qual’era lo scopo del suo viaggio mentre io lo so ed ho partecipato a tutti gli allenamenti successivi, con Fugazza, Marangoni, Contarelli, Ruffini e tanti altri,proprio per spaziare al di fuori del pianeta shotokan come tu suggerisci a Roedner, così come abbiamo fatto per anni col maestro Mabuni per lo shito-ryu.
Purtroppo siamo limitati e diventiamo “ottimi docenti di tradizionale” solo se usciamo dalla FIKTA per entrare nella tua Organizzazione tant’è che tu li contatti personalmente promettendo loro cariche o incarichi.

A questo proposito voglio tranquillizzare Lombardi su quello che chiama “l’esodo inarrestabile delle Società che lasciano il tradizionale”: non stiamo affatto attraversando un periodo buio come afferma perché a fronte di qualche Società che esce altrettante ne entrano e siamo sempre oltre 450 Società affiliate.
Il numero degli agonisti è sempre troppo grande e abbiamo dovuto studiare particolari regolamenti limitando la partecipazione alle gare per età e grado al fine di avere manifestazioni pulite, ben organizzate e di alto livello.
Anche Lombardi ciritiene degli ottusi che non hanno avuto la sua illuminazione: sarebbe meglio che chiarisse a se stesso che karate vuole fare perché il karate può spaziare a 360° e le gare ne sono solo una parte molto limitata, inoltre, prima di esprimere giudizi è bene che si informi visto che non sa nemmeno quanti incontri sono stati fatti in Veneto con la rappresentativa di Komazawa.
Gli sembrerà strano ma anche noi sappiamo che il karate è in continua evoluzione, si tratta di capire, come ho già scritto, di quale karate si tratta, quali sono gli obiettivi.
Del kumite shiai tra 2 atleti?  Del kumite contro due o più avversari? Della difesa da avversari armati o esperti in altre specialità (judo – aikido, ecc)? Del karate come parte del budo? Del karate-do?
Ho sempre pensato che il karate è uno solo, con un inizio ma senza una fine, con tanti rami che rappresentano le varie specialità o indirizzi, a me interessa prima di tutto la comprensione ed evoluzione del tronco principale e in seconda istanza, quella dei rami.

Voglio rassicurare anche quanti sono interessati alla nostra salute perché stiamo fisicamente molto bene e pieni di energia, energia che ci viene proprio dal nostro tipo di allenamento.
Quando nel 2001 ho subito l’artoprotesi ero anch’io preoccupato che fosse dovuto al karate.
L’ortopedico mi ha tranquillizzato dicendomi che ogni giorno opera giovani, anche di 30 anni, che non praticano karate, che ancora nessuno è in grado di stabilire come si origina l’artosi se non ipotizzando problemi ereditari, di alimentazione, di metabolismo, di traumi, di sovraccarico, ecc., ognuno probabile ma nessuno sicuro: io ne sono la dimostrazione.
Nel 1984, 23 anni fa, mi è stata diagnosticata una coxartrosi bilaterale ma, mentre l’anca destra è peggiorata, quella sinistra è ancora come nell’84 nonostante il sovraccarico che ha dovuto sopportare per i problemi della destra.
Anche la percentuale delle patologie in rapporto al numero dei praticanti è minimo: io, come tanti altri, ho degli allievi di oltre 65 anni che mi seguono da più di 35 anni e che continuano a praticare su questa “montagna incantata” perché stanno benissimo.

Mi dispiace e mi pesa parlare degli eventi passati, soprattutto del karate perché ritengo che sia un fiore delicato e prezioso sul quale si dicono tante sciocchezze, per ignoranza e superficialità, quando invece dovrebbe essere trattato con rispetto ed umiltà.
Concludo domandando agli interessati quanto sia opportuno, per un futuro che veda tutti i praticanti di karate italiani uniti nel rispetto reciproco, continuare queste contrapposizioni denigrando chi pratica in modo diverso.
Noi cerchiamo di fare meglio possibile quello in cui crediamo, se anche tutte le altre Organizzazioni fanno altrettanto è una cosa buona perché sarà possibile un giorno unire tutte le esperienze, conoscenze, energie positive in un unico grande corpo.
Sarà che non sono un politico illuminato ma ritengo difficile rimarginare le ferite passate se non cessano le polemiche: da parte mia avevo già chiuso e tornerò a non rispondere più alle provocazioni se non nelle sedi opportune per tutelare il buon nome della FIKTA e dell’Istituto Shotokan Italia.
Buon lavoro e … saluti sportivi

Beppe Perlati
Vice Presidente FIKTA con incarico di Segretario Generale
Consigliere Federale ex FESIKA
Vice Presidente ex FIKTEDA
Consigliere Federale ex FITAK

Al dottor Sun Jae Park, presidente federale Fitak, via Flaminia 366, 00196, Roma
Al consiglio federale Fitak, via Flaminia 366, 00196, Roma
Al dottor Matteo Pellicone, presidente Filpj, viale Tiziano 70, 00196, Roma
Al dottor Mario Pescante, segretario generale Coni, Foro italico, 00196, Roma
Bologna, 2 novembre 1989

Oggetto: dimissioni: La presente per rassegnare le dimissioni dalla Fitak e, in particolare, dalla carica di consigliere federale e dalla qualifica di maestro.

La decisione è motivata dalle seguenti ragioni:

1) gli accordi scritti e verbali che avevano portato allo scioglimento della Fikteda e alla confluenza di oltre 600 società nella Fitak sono stati completamente disattesi e, in alcuni casi, snaturati;
2) meno del 5% delle società determinano la politica della federazione (mi meraviglia come questo particolare sia sfuggito all’ufficio affari giuridici del Coni);
3) le carte federali vengono interpretate alla lettera o trascurate per opportunità di parte (per esempio: provvedimenti in merito a gravi irregolarità per elezioni regionali, che si riducono a una telefonata di biasimo (?) al presidente eletto;
4) l’attività federale è nelle mani di due persone: la segreteria al vice presidente e al commissario tecnico tutto il settore tecnico (corsi d’aggiornamento e di qualificazione, gradi, Cas, Cask, collaboratori federali, coordinatori didattici oltre, naturalmente, alle squadre nazionali); impedendo, di fatto, una gestione collegiale della federazione;
5) le società e i partecipanti sono continuamente sottoposti a richieste di quote o contributi per i più svariati motivi senza un ritorno che corrisponda alle richieste della periferia (per esempio: non si trovano i fondi per finanziare la sede di un comitato regionale ma si spendono decine di milioni per i “presenti natalizi” ai dirigenti;
6) il malcontento che viene manifestato da più parti dimostra il fallimento di quella che doveva essere l’unificazione del karate italiano, anche perché, alle richieste della base, più volte dal sottoscritto segnalate al consiglio, non si è voluto dare una risposta chiara e definitiva, ma continue promesse di soluzioni, puntualmente rimandate.

Distinti saluti.
Giuseppe Perlati,
consigliere federale Fitak

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