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Intervista a Gianfranco Bacchin
A cura di Davide Rizzo
Maestro, quando ha cominciato a praticare karate? Un breve excursus della sua carriera.
Ho iniziato nel settembre 1974 presso la Ren Bu Kan di Padova con il Maestro Maurizio Marangoni.

E’ il karate che l’ha conquistata o è lei che ha conquistato il karate? Il suo rapporto con la “nobile Arte dei Mari del Sud”.
Diciamo che è stato il Maestro che mi ha colpito. Già da prima a Padova avevo conosciuto, negli anni 70, altri Maestri di karate in varie gare e dimostrazioni che in quel momento erano in auge in città, ma non mi avevano attratto, non mi avevano  fatto fare il salto per entrare nel loro Dojo e iniziare la pratica, diciamo che erano due stili e due maestri, che poi ho conosciuto e che non mi attraevano. Poi un pomeriggio del luglio 1974 un mio amico, studente alla facoltà di lettere, mi invitò ad andare a vedere il suo allenamento di karate, e io chiedo subito se andava da questi due Maestri, mi risponde di no. Incuriosito, lo seguo e a mi avvio con lui in palestra, entro e mi trovo davanti il M° Maurizio Marangoni. Quell’ora mi è rimasta molto impressa sia per la tecnica, che era differente dagli altri due stili visti in precedenza e per la persona che insegnava. Posso dire che quel momento e per il modo con cui trasmetteva, sono rimasto affasciato e così, nel mese di settembre mi sono iscritto al Ren Bu Kan di Padova dove ho iniziato la pratica del karate Shotokan.

Il karate che pratichiamo oggi è uguale a quello che si praticava negli anni 65/70? Cosa c’è di nuovo e cosa invece è rimasto immutato da allora?
No, oggi si pratica un karate più tecnico, sofisticato, più interpretativo da parte dell’insegante per la parte agonistica, per quella esoterica ecco la nascita di tantissime varianti, ce ne sono una miriade dal cinese, all’ israeliano etc.….  ma poi tutto e molto simile perché la maggior parte di questi maestri vengono dal karate. L’unica cosa che non è cambiata è il Gi per noi che lo pratichiamo, per il resto diciamo che la fa da grande la parte agonistica.

Che valore hanno i Dan oggi? Ci racconta il suo primo esame da cintura nera?
Il valore dei Dan oggi sono per me, gli anni di pratica, il mio 1 dan l’ho vinto in gara, perche in quel periodo, dopo la fusione della FESIKA e FIK, solo in gara e i primi tre ricevevano la cintura nera 1 dan, quindi solo per agonismo. Avendo conquistato il terzo posto al Torneo Nazionale Cinture Marroni, che si svolse  a Cinisello Balsamo, nel 1981 portai a casa la cintura nera ma, il M° Maurizio Marangoni  il giorno che venne il M. Nakayama in Italia e presenziava gli esami JKA mi diede l’autorizzazione di poter svolgere  gli esami che superai e fu così che divenni I° dan JKA. Ricordo che la Commissione era formata dai Maestri Maestro Nakayama, Maestro Kase, Maestro Enoeda, Maestro Shirai e dal Maestro Naito, lascio immaginare a voi la soddisfazione che ebbi quel giorno non solo mia ma anche quella del mio Maestro.

Il karate oggi si appoggia sui giovanissimi atleti cosa ne pensa dei Baby corsi?
Certo, con il cambiare dei tempi, ed essendoci più stili e tecniche di difesa personale, il Karate tradizionale inizia ad avere meno affluenza di iscritti come adulti, ma noi tecnici, che venivamo dall’agonismo, abbiamo iniziato a identificare nei bambini e ragazzi le leve per poter iniziare nuovi percorsi tecnici , sia come forma disciplinare e formativa, ma anche quella agonistica, possiamo affermare oggi che tutto si impronta sui giovani.

Il karate e i ragazzi. Come era allora e come è adesso il rapporto fra il karate e i giovani praticanti? Di conseguenza, com’è il rapporto fra il maestro e il suo allievo?
Io sono un tradizionalista e sono stato educato secondo lo stile giapponese JKA, ma dopo tante vicissitudini si sono sviluppate varie metodologie per avvicinare e allenare i giovani per poi farli diventare degli agonisti, diciamo che molti maestri italiani non praticano più il percorso tradizionalista, ma se ne sono inventati uno modernista che è tutto funzionale alla preparazione atletica e poco a quella alla disciplina ecc. Comunque lo scopo sia dei modernisti che tradizionalisti è quello che, attraverso la competizione, si educhi la parete emotiva dei ragazzi, cosa molto importante al giorno d’oggi. Il rapporto allievo maestro, io sono nato e cresciuto con il M° Maurizio Marangoni e ho avuto un’impostazione giapponese perché in quegli anni la forma il rispetto e la crescita passavano attraverso il metodo giapponese, oggi chi segue i giapponesi ha ancora questa impronta chi segue gli europei e la parte modernista non vi è più questa impostazione loro la chiamano rigidità , ma comunque anche li i gradi e la gerarchia sono  rimaste

Il controllo una fantasia o una necessità di fronte alla mancanza di coraggio?
Il controllo e la base del karate, è la forma per migliorarsi. Il rispetto per il tuo compagno che si allena con te e ti serve per crescere nel combattimento, il compagno che ti mette in crisi emotivamente ti migliora. Io penso che qui nasca anche il coraggio la voglia di continuare.



Come spiegare, in poche parole, la frase: “il karate si pratica tutta la vita”? E’ ancora presente negli allievi e nei praticanti questo profondo concetto?
Io non ho ancora smesso lo pratico tutti i giorni dal 1974 domani non so.

Come vede il futuro del karate in Italia anche alla luce dell’evoluzione dei rapporti frale diverse realtà associative o federali?
Le Federazioni, io sono tornato  dopo trent’anni di FIKTA alla JKA , dopo essere stato in Giappone a vedere il Campionato del Mondo JKA svoltosi a Tokyo l’anno scorso, posso dire che l’esperienza mi ha fatto decidere per il cambiamento, di lasciare la Federazione del Maestro Shirai per la JKA.
Per le Olimpiadi che si svolgeranno in Giappone nel 2020, saranno i Giapponesi a decidere, vedremo chi la spunterà se i tradizionalisti o i modernisti, qualsiasi regolamento venga scelto o shobu ippon o il modernista l’importante che il karate vada alle Olimpiadi.

Gianfranco Bacchin

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