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Le risposte di Cristina Rissone
A cura di Davide Rizzo
1) Maestro, quando ha cominciato a praticare karate? Un breve excursus della sua carriera.

Una qualifica non fa un Maestro e pertanto non mi ritengo tale.
L’incontro con il karate è nel 1972 presso lo storico C.S.K.S. di Asti, palestra di mio fratello Gianni, ma continuando a frequentare Judo iniziato nel 1964. Dopo un anno ho abbandonato definitivamente il judo, ed ho proseguito karate sotto l’insegnamento del Maestro Ramello di Ivrea e successivamente con mio fratello Gianni, qualificato Maestro A.I.K. nel 1975.

Ho avuto il privilegio di continuare il mio percorso sotto la guida del Maestro Shirai ed ad allenarmi ad Asti con il C.S.K.S. di Gianni.
Ho sospeso per motivi di famiglia nel 1993 ed ho ripreso nel 2010; dal  2014  il Maestro Mario Fanizza con molta pazienza sta cercando di colmare le mie lacune.

Ritengo che il mio miglior karate praticato è quello degli ultimi anni, con la consapevolezza del tempo passato ma con l’evoluzione che il Maestro Shirai  sapientemente porta avanti.
I risultati agonistici non sono rilevanti, sono solo una parte del mio percorso che ha contribuito alla mia formazione personale.

2) Ci parli un po’ di sé?

Amo immensamente la mia famiglia alla quale sono legata con un filo indistruttibile ed alla quale sono grata da sempre e per sempre. Ritengo di essere molto fortunata.
Ho tre fratelli Gianni, Luciano e Chicco che sono parte integrante e fondamentale della mia vita.

Sono iscritta all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Asti e sono Revisore dei Conti. Svolgo la libera professione di Commercialista.

Ho un figlio di 37 anni, Andrea, Laureato in Ingegneria con indirizzo Ambiente e Territorio e di cui vado molto fiera insieme ad una magnifica nuora, Costanza di professione Architetto.

Mi piace leggere libri thriller, ma anche tutto ciò che riguarda la cultura giapponese e della tradizione delle Arti Marziali; quando ho tempo mi piace cucinare.
Ho un carattere “spigoloso”, sono diretta, a volte fin troppo, ma nonostante questo mi ritengo una persona paziente, disponibile verso le persone in difficoltà e verso il prossimo. Mi disturbano gli opportunisti e le persone false che hanno due facce.
Saltuariamente, quando serve, partecipo alle gare Master di atletica nel giavellotto.

3) E’ il karate che l’ha conquistata o è lei che ha conquistato il karate? Il suo rapporto con la “nobile Arte dei Mari del Sud”.

Mi sono avvicinata alle arti marziali fin da piccola. Mio papà, Alberto, è stato uno dei soci fondatori del Judo Club Asti, dove siamo passati tutti noi quattro figli.
Dopo 8 anni e numerose gare giovanili, mio fratello Gianni mi ha “trascinato” a provare il karate.
Credo che l’amore definitivo per questa disciplina sia nato quando  partecipai agli stage, fin da cintura colorata, ed  incontrai i Maestri H. Shirai, T. Kase ed Enoeda.
Quindi, ovviamente, è il karate che ha conquistato me!

4) Il karate che pratichiamo oggi è uguale a quello che si praticava negli anni 65/70? Cosa c’è di nuovo e cosa invece è rimasto immutato da allora?

Molte cose sono cambiate. Agli inizi era un karate più “grezzo”, duro ed efficace; c’era un atteggiamento più forte e determinato rispetto ad ora. La tecnica, grazie al grande lavoro ed allo studio del Maestro Shirai, si è evoluta ma non stravolta. Chi ha praticato negli anni 65/70 ha una grande eredità tecnica, che oggi può “raffinare” proprio per mezzo degli insegnamenti del Maestro.

La mia considerazione ovviamente è rivolta al karate del Maestro Shirai.
A livello generale, salvo poche organizzazioni, il karate ha subito un grande grave declino e decadimento tecnico - culturale.

5) Che valore hanno i Dan oggi? Ci racconta il suo primo esame da cintura nera?

Oggi il valore dei Dan bisognerebbe misurarlo sul tatami, che non vuol dire a  livello agonistico.
Se così fosse,  tanti troverebbero altro posto nella fila del saluto.

Sostenni il mio “primo” esame da I Dan a Torino nella sessione con il Maestro Miura. Fui bocciata.
Tentai nuovamente l’esame a Maggio 1975 a Lignano Sabbiadoro, nella sessione d’esame con il Maestro Shirai.
Passai l’esame acquisendo anche il riconoscimento del grado JKA. (in quegli anni, se non si raggiungeva un punteggio stabilito, era necessario fare un secondo esame per avere anche il riconoscimento in giappone).

6) Il karate oggi si appoggia sui giovanissimi atleti cosa ne pensa dei Baby corsi?


Il karate per i bambini dovrebbe essere propedeutico alla dinamica del lavoro del corpo, ad aiutarli a coordinare i movimenti e soprattutto sviluppare la percezione al proprio spazio. Nella società attuale i bambini sono messi già sotto pressione da prestazioni scolastiche,  sportive e personali.

Il karate invece dovrebbe aiutarli a trovare una loro posizione nella vita quotidiana. Come già espresso, non sono d’accordo alle gare per bambini,  a meno che  non vengano eliminati i risultati. Il confronto con i propri compagni è giusto, ma senza spegnere in ognuno di loro l’entusiasmo di competere solo per una medaglia.

7) Il karate e i ragazzi. Come era allora e come è adesso il rapporto fra il karate e i giovani praticanti? Di conseguenza, come è il rapporto fra il maestro e il suo allievo?

Tutto è molto cambiato perché è cambiata la società.

I ragazzi sono cambiati. Le nuove generazioni di Maestri sono cambiate.
Ricordo la palestra come luogo che aiutava a socializzare ragazzi molto diversi tra loro.  

Il Maestro era figura fondamentale per queste aggregazioni, che andavano oltre la semplice pratica. C’era entusiasmo a partecipare agli stage di due, tre ed a volte anche cinque giorni, dove gli allenamenti erano duri, ma sempre con sorrisi e divertimento al di fuori delle lezioni.

Sono stati anni in cui i ragazzi crescevano in un ambiente sano e famigliare, i genitori erano tranquilli e spesso il “Maestro” intercedeva anche in situazioni scolastiche e rapporti difficili tra coetanei. Era spesso il tramite tra famiglia e ragazzi.

Mi ricordo che qualche giorno dopo il funerale di mio fratello Gianni, un suo allievo, ormai quasi sessantenne e chirurgo ortopedico a livello nazionale, mi disse che, se oggi è la persona che è, lo deve proprio al suo Maestro.
Personalmente, come insegnante, dico sempre ai miei  piccoli allievi, che non mi interessa avere in palestra un campione del mondo, ma un bambino che un domani sarà una persona vera, onesta e leale.
Mi piacerebbe sapere che a tutto ciò posso aver contribuito anch’io.

8) Il controllo, una fantasia o una necessità di fronte alla mancanza di coraggio?

Credo di essere la persona meno indicata a rispondere, avendo partecipato a competizioni dove all’inizio non esistevano protezioni di nessun genere.
Wazawai wa ketai ni seizu”  La disattenzione è causa di disgrazia.

Ricordo le parole di Gianni dopo la finale di un Campionato Italiano dove la mia avversaria mi aveva colpito ripetutamente sul naso: “La colpa è tua che non hai parato e non sei stata in grado di schivare: non ti sei allenata abbastanza”.  E tutto sommato aveva ragione.

9)
Come spiegare, in poche parole, la frase: “il karate si pratica tutta la vita”? E’ ancora presente negli allievi e nei praticanti questo profondo concetto?

Il concetto de “Il karate si pratica tutta la vita” è insito a chi ha iniziato negli anni 65/70 e che oggi pratica, nonostante l’età, ancora con dedizione e costanza, ricercando nella pratica la perfezione della tecnica. Ritengo che sia complementare a “Dojo nomino karate to omou na”  “il karate non si vive solo nel dojo” ma ce lo dimentichiamo spesso, purtroppo.
Oggi, la maggior parte dei praticanti, non sa nulla della meravigliosa cultura che c’è dietro alla pratica… il karate non è fatto solo di calci e pugni…

10) Come vede il futuro del karate in Italia anche alla luce dell’evoluzione dei rapporti fra le diverse realtà associative o federali?

“Cercare il vecchio, è capire il nuovo”

Se non c’è un ritorno al passato, non ci sarà futuro. Noi siamo fortunati, c’è il Maestro che con la sua presenza ci ricorda il valore della pratica e del karate-Do.

A livello generale, ci sono troppe persone che tendono a fare politica, ma poca pratica. Ci sono persone che praticano senza cultura… non c’è più interesse a crescere, a migliorare, a praticare, a fare fatica..

“Il rispetto” ed un obbiettivo comune potranno forse salvare il karate-do, dove l’obiettivo comune NON è la competizione. Ogni tipo di avvicinamento tra associazioni o enti, in passato, ha creato ulteriori frammentazioni. Non credo in queste scelte.

Fino a quando non applicheremo i principi che recitiamo a fine lezione, il karate continuerà ad essere di  tutti, ma non per tutti.

Grazie per l’attenzione

Cristina Rissone

Le interviste del Mushotoku