Quando Kase superò l’esame di terzo Dan nel 1949 lo fece davanti a una commissione formata dagli istruttori anziani di tutte le università, e lo superò assieme a Jogaro Tagaki di Chuo e Shimamura di Takushoku. Le cose sembravano andare abbastanza bene, ma naturalmente c’erano differenze tecniche tra i gruppi e anche tra coloro che erano rimasti in Giappone negli anni Trenta e Quaranta e quelli che erano stati via, facendo il servizio militare in Cina, Manciuria e altre parti dell’impero giapponese.
Nel 1981, per esempio, Kase mi aveva detto che quando Masatoshi Nakayama tornò in Giappone dopo la guerra vide gli studenti più giovani praticare yokogeri, mawashigeri e così via e disse: “Questo non è karate Shotokan!”
In Belgio, Kase, mi ha confermato questo racconto, spiegando che Nakayama aveva detto: “Non accetto, non accetto.” Naturalmente, a quel punto quelle tecniche si stavano ormai affermando e non molto tempo dopo lo stesso Nakayama includeva queste tecniche nelle sue dimostrazioni.
Negli anni 50 le diverse fazioni dello Shotokan cominciarono a dividersi, e Taiji Kase entrò nella JKA come membro anziano. Il modo in cui successe... Kase aveva lasciato l’università e abitava in un sobborgo di Tokyo. Hidetaka abitava nei paraggi e cercava spesso di persuadere Kase a unirsi al gruppo Jka. Kase era indeciso, perché aveva frequentato sia il gruppo di Yoshitaka Funakoshi sia quello di Hironishi, e mi disse in effetti che molti allievi di Hironishi avevano cercato di persuaderlo ad avere un dojo permanente dove potessero allenarsi e insegnare karate. Ma la faccenda non andò mai in porto e così Kase entrò nella JKA e questo gli diede la vita nel karate che aveva desiderato, diventare un istruttore di professione.
Ho fatto osservare al maestro Kase che la JKA di quei tempi, situata nel dojo di Yotsuya, era gestita prevalentemente da uomini della Takushoku; questo aveva provocato qualche problema a lui che veniva da Senshu? “No, disse, e questo soprattutto grazie a Masatoshi Nakayama. “Nakayama era di buon cuore e voleva che tutti collaborassero, così non ci furono problemi.”
In realtà Kase era un membro molto importante della JKA. Era uno dei direttori, e fu coinvolto nella formulazione delle prime regole di gara, ed era un istruttore anziano, il che significava che era uno dei responsabili della formazione della primissima generazione di istruttori internazionali, nomi come Hirokazu
Kanazawa, Keinosuke Enoeda e Hiroshi Shirai. Questi tre campioni della Jka fecero infatti un giro del mondo insieme al maestro Kase, dando dimostrazioni dovunque andassero. Terry O’Neill, ex-capitano della squadra di karate britannica, vide una di quelle prime dimostrazioni e mi disse che Kase era chiaramente il responsabile e spesso diceva a uno degli altri di alzarsi e lavorare in coppia con lui, occasionalmente
malmenandoli un po’. Allora consideravano Kase il loro superiore? Chiesi a Terry.”Oh sì”, rispose, “Senza dubbio!”
La JKA cominciò a inviare istruttori all’esterno verso il 1960, e Kase stesso si unì a quell’esodo alcuni anni più tardi. Insegnò in Sud Africa per qualche tempo e poi si stabilì con la moglie e le figlie in Francia, che è stata a sua base per circa quarant’anni.
Fu Henry Plee, il fondatore del karate francese, a chiamarlo, e in questo ci fu un elemento di casualità. Plee aveva organizzato il suo corso estivo a St. Raphael e aveva prenotato per insegnarvi Hiroshi Shirai. Ma Shirai non poteva venire e diede disposizioni per essere sostituito da qualcun altro, e quando Plee vide che era Kase...beh, in realtà si sentì deluso. Plee non aveva mai incontrato Kase ma aveva visto delle sue fotografie su “Karate”, un libro tascabile della vecchia serie ‘Marabout Flash!’ e non si era fatto una buona opinione della sua tecnica, m
a si rassegnò al cambio d’insegnante e poi, quando il corso cominciò, la sua opinione cambiò rapidamente. Kase aveva un buon rapporto con gli allievi e, in termini di karate, “un tecnico formidabile”. Alla fine del corso si accordarono che Kase sarebbe venuto a insegnare nel famoso dojo di Plee nel 5° Arrondissement di Parigi... e Plee scrisse un articolo per il ‘Budo Magazine Europe’ intitolato “Pericoli nel giudicare il karate dalle fotografie”.
In effetti, Taiji Kase era severo nell’insegnare i kihon e i kata, ma nel kumite la sua tecnica era molto più libera – la cosa più importante era la scelta di tempo, il movimento, e applicare la potenza al momento giusto. Tommy Morris, il noto karateka scozzese che si è allenato nel dojo di Plee, mi disse che nel kumite Kase “sapeva veramente muoversi”. Sfortunatamente sembra che non ci siano molti suo filmati di questo periodo. Io ho una breve sua clip in cui si difende contro due attaccanti in un campionato inglese – sembra proiettarli facilmente – e un’esecuzione del kata Meikyo in un campionato IAKF alcuni anni più tardi. In contrasto coi kata che vediamo adesso, il Meikyo di Kase non è esagerato o teatrale; la tecnica è economica ma forte, e il movimento è fluido sia sulla materassina che nel passaggio da una tecnica all’altra; si potrebbe definire il kata di un karateka maturo.
Ho corrisposto per anni con Henry Plee e quando sono stato a Parigi un paio d’anni fa abbiamo parlato dei vari maestri giapponesi che ha portato a insegnare nel suo dojo negli anni 50 e 60 – Hiroo Mochizuki, Tetsuji Murakami, Tsutomu Ohshima, Mitsukude Harada, Taiji Kase. Henry mi ha detto che spesso metteva alla prova la forza di questi istruttori combattendo con loro poco dopo il loro arrivo. Per esempio aveva colpito Murakami con un pugno, lasciandogli sulla fronte un bernoccolo delle dimensioni di un piccolo uovo.
Aveva fatto kumite con Kase? “Oh, sì!” Henry aveva molti anni di pratica di judo alle spalle e dopo alcuni istanti si avvicinò e provò una proiezione di judo. Ma Kase non vacillò – “Era come una roccia” – e poi quando Henry lasciò la presa e provò ad arretrare fu colpito da un calcio laterale di Kase che lo fece piegare in due. “Okay,” disse a Kase, “Ora so chi è il più forte!”
Ho chiesto al maestro Kase di questo episodio e lui ha ridacchiato. “Sì, è successo.” Plee aveva fatto judo, ma
anche lui era un esperto judoka e “livello judo giapponese molto alto.”
Plee disse alla rivista francese ‘Bushido’: “Il maestro Kase è solo un ometto ma padroneggia il senso del combattimento. Il suo valore eccezionale risiede nella sua pratica di due forme di karate. Una basata sul combattimento, e l’altra sulla pratica dei fondamentali. Un altro vantaggio che possiede è una strategia
semplice: si adatta al suo avversario. Vede quell’apertura e aiutato dal suo senso del timing entra nella tua guardia. Ciò che sostiene la sua forza è la sua esperienza del combattimento reale.
Eccone un esempio, parecchie volte ho assistito agli allenamenti speciali tra lui, Shirai ed Enoeda, durante i quali lavoravano sul combattimento. Se l’allungo e la velocità degli altri due permettevano loro di impegnarlo al massimo, allora immediatamente il M° Kase cambiava marcia, e loro indietreggiavano. Quegli allenamenti, credetemi, erano qualcosa di straordinario! Mi hanno aiutato a capire che cos’è il combattimento nel karate, e il combattimento reale, anche se le regole vengono sempre rispettate.
Inoltre, mi sembra che la sua esperienza nel judo gli sia di aiuto. Ha imparato bene il modo in cui si sposta il peso del corpo. Sa quando l’avversario può o non può attaccare, vale a dire, quando l’avversario sta per trasferire il peso del corpo allora non può attaccare. Questo è il momento in cui il maestro Kase lancia il
suo famoso attacco in profondità. Io penso che il judo sia presente nel suo modo di combattere.
Ricordo che quando è arrivato in Francia, i karateka francesi erano influenzati dallo stile Shukokai, con una posizione di combattimento in cui il peso era molto sulla gamba anteriore, e naturalmente si divertiva a proiettare quei poveretti. Ma non provate a fare la stessa cosa con lui. Non può essere sradicato. Qualche volta mi allenavo con gli esperti che ho portato nel mio dojo. Avendo qualche esperienza di judo, qualche volta li sorprendevo e occasionalmente li proiettavo. Ma non sono mai riuscito a farlo con lui. E’ fatto di cemento. Per me è il migliore combattente che abbia mai incontrato.Gli piace combattere e non rifiuta mai
un incontro.
Ecco un’altra storia. Non so se i karateka francesi ricordano Baroux. (Nota: Patrick Baroux è stato campione europeo di karate negli anni 60). Gli ero molto affezionato e sonostato molto toccato dalla sua morte, e inoltre era un grande campione. Si allenava con me. Un giorno tornando dai campionati europei, dove avevavinto il titolo, mi disse: “Sai che penso di poter battere Kase Sensei, vorrei provare”. Lo dissi al maestro Kase che mi rispose semplicemente: “Nessun problema, quando vuole.” L’incontro si svolse nel dojo, vicino all’entrata. Fece fare a Baroux due o tre tecniche, poi Kase aumentò il ritmo. Se lo mangiò, per così dire. Più tardi Baroux mi disse: “Non l’avrei mai creduto. Che uomo!”
Dopo la scadenza del suo contratto con Henry Plee, Kase si mise in proprio e tenne corsi in tutta Europa. Era ancora nella Jka e rimase con loro fino ai problemi politici degli anni 80, quando se ne andò per fondare il proprio gruppo (WKSA). Come disse Plee, Taiji Kase non è mai stato un politico o un intrigante. Voleva solo fare karate, e la rottura gli permise di farlo nel modo che voleva.
Kase non aveva un dojo stabile da anni, preferendo viaggiare per l’Europa e altrove tenendo corsi, soprattutto per cinture nere. Anche all’età di settant’anni lo faceva per gran parte dei week-end finchè non ebbe un attacco di cuore nel 1999. Naturalmente questa fu una seria battuta d’arresto, ma nove mesi dopo
fece ritorno con un corso tenuto a Parigi nel febbraio 2000, al quale parteciparono 200 cinture nere.
Ho visto insegnare per la prima volta il Maestro Kase a Londra nel 1981 ad un corso per il KUGB. Stava insegnando kata e cominciò la prima lezione con la pratica del movimento iniziale di Sochin, insistendo sul tempo e sulla necessità di radicarsi al suolo, e spiegò che in questa posizione si dovrebbe avere la sensazione “di pesare duecento chilogrammi”.
Gli allievi eseguirono poi una sequenza di tecniche con la mano aperta (shuto) dapprima eseguite lentamente e coordinando la respirazione – questo assomiglia alla pratica del Goju – e poi rapidamente, con kime deciso. Quando lavorava sulle tecniche di difesa, Kase faceva prima allenare le parate con movimenti ampi e massima potenza, ma poi il movimento doveva essere ridotto, dapprima a metà ampiezza e poi solo a pochi centimetri, sempre mantenendo la potenza. In combattimento non si ha tempo di fare una parata completa, ma anche con parate di ampiezza limitata si dovrebbe essere in grado di ferire l’arto dell’avversario o di respingere l’aggressore con la forza della parata. Kase diceva agli allievi che questo era un “karate velocità più potenza”, e spiegava anche che nel kumite si dovrebbe essere in grado di “andare da zero a cento per cento in un istante.”
Kase sottolineava ai suoi allievi che il loro era “un karate Budo” e quando gli parlai in seguito fui stupito di come potesse parlare con autorità su un’ampia gamma del budo giapponese. Parlava del kendo; del judo e di judoka famosi come Kyuzo Mifune e Masahiko Kimura, entrambi i quali aveva conosciuto personalmente; di Morihei Ueshiba e dell’Aikido, (che riassumeva come “Daito-ryu più Shintoismo”); di personaggi come Yukiyoshi Sagawa, l’ultra-novantenne esperto di Daito-ryu che morì pochi anni fa e che alcuni pensavano fosse migliore di Ueshiba. (“Alcuni dicevano secondo dopo Takeda”, commentò Kase). Quando il suo allievo anziano, Dirk Heene, nominò un suo allievo che aveva praticato il Ju-jutsu Hakko-ryu, Kase fu in grado di spiegare le origini dello Hakkoryu.
Naturalmente, era pienamente al corrente degli altri stili di karate giapponese e conosceva molte delle
figure prominenti nel mondo del karate giapponese; Mas Oyama, per esempio, che aveva conosciuto negli anni del dopo guerra quando per un breve periodo avevano praticato judo insieme. Quando insegnava, il maestro Kase era affabile e paziente. Comprensibilmente, non si sforzava troppo, ma quando mostrava qualche tecnica era sorprendentemente efficace, specialmente per un 71enne convalescente da un attacco cardiaco. I corsi erano solo per cinture nere, e molti dei partecipanti avevano alle spalle 20 o 30 anni di pratica. Alcuni si erano staccati da altre organizzazioni, spesso dopo la fine della carriera agonistica,
quando si erano resi conto della mancanza di profondità o di direzione nel proprio allenamento. Con Kase,
alcuni di loro avevano trovato l’entusiasmo per proseguire.
Io non pratico il karate Shotokan e non posso dare giudizi sulle varie organizzazioni che lo insegnano, ma il
gruppo di Kase mi è sembrato molto leale e l’influenza di Taiji Kase benigna. Dopo l’allenamento e gli esami ed una lunga giornata faticosa per il maestro Kase, ci fu la cena e questa fu l’occasione in cui potei parlare con lui un paio d’ore e fargli tutte le mie domande. Fu diretto e cordiale, addirittura scherzoso. Quando la cena fu finita, Heene riaccompagnò me, il maestro Kase e sua moglie ai nostri alberghi.
Prima che
raggiungessimo il mio hotel Kase mi chiese notizie dei karateka britannici che aveva conosciuto dagli anni 60 agli anni 80, Andy Sherry, Terry O’Neill, Bob Poynton, Frank Brennan. “Si allenano ancora?” mi chiese. Sì, risposi, pensavo che lo facessero. “E’ una buona cosa”, mi disse. Disse che ora erano separati in diverse associazioni Shotokan, ma che erano ancora tutti una sola famiglia Shotokan, e che ognuno dovrebbe
tenere vivo il proprio karate. Eravamo arrivati al mio hotel e io ricordo le parole finali del maestro Kase mentre scendevo dalla macchina e salutavo tutti.
“Ricorda,” disse, “se li vedi, digli di continuare ad allenarsi”.
Riposa in pace Sensei.
Graham Noble