1. Introduzione.
È da circa sei sette anni che in Italia, nell’ambito della pratica del Karate Tradizionale, si è sentito parlare sempre più frequentemente del Goshin-Dō. La sua pratica si è diffusa rapidamente su vasta scala e a oggi conta un considerevole numero di frequentatori. L’artefice di questo progresso è il M° Hiroshi Shirai. Come per tutti i grandi maestri che hanno diviso un’intera vita tra lo studio e l’insegnamento del Karate-Dō, il tempo di tale accadimento non è casuale. Personalmente ho sentito nominare il Goshin-Dō già da diversi anni, ma l’assenza di un’esperienza diretta non mi ha indotto alcuna curiosità, fino a quando il mio M° Shuhei Matsuyama non ne ha introdotto l’insegnamento nel 2006. Tale periodo è succeduto al lavoro di studio e catalogazione del M° Shirai dei
bunkai di tutti i
kata dello Shotokan, intensificato e diffuso a tutti con particolare impulso dall’inizio del nuovo millennio.
Lo scopo di questo mio lavoro è capire come il Goshin-Dō si pone nei confronti del Karate Tradizionale. È una distinta arte marziale? Quali sono le sue finalità? Quali sono le attinenze con il Karate Tradizionale?
Per questo oltre alla mia esperienza personale, unisco un’intervista al M° Pietro Costa che segue il M° Shirai dai primi anni in Italia e che ha avuto l’opportunità di essere stato uno dei praticanti del Goshin-Dō della prima ora.
2. Caratteri Connotativi del Goshin-Dō.
Oggi la struttura del Goshin-Dō prevede un
kihon di tecniche fondamentali e una serie di
kata divisi tra basici e superiori. Essi sono raggruppati in: Goshin Taikyoku ichi, ni, san, yon e go; Goshin Tai Hei ichi, ni e san; Goshin Tokon; Goshin Enka.
Letteralmente Goshin-Dō significa “la Via dell’Autodifesa”. In prima analisi il suo obiettivo principale è la difesa personale senza l’uso di armi. La posizione
goshin dachi è sostanzialmente l’assetto abbreviato di
zenkutsu dachi, molto simile ad
hangetsu dachi. I piedi saldamente in appoggio al terreno, dirigono nella direzione frontale dello sguardo, tra loro la distanza laterale è circa poco più di quella delle spalle ed è uguale la lunghezza nella direzione perpendicolare, come se fossero posizionati ai vertici opposti di un quadrato. Ad eccezione di alcune particolari tecniche, questa posizione consolidata è quella da mantenersi. Questo tipo di stabilizzazione breve ricorda il modo di praticare del M° Gichin Funakoshi …
Oltre alla posizione e al contatto dei piedi con il suolo, è fondamentale l’assetto verticale del tronco e il mantenimento dello sguardo fisso verso l’avversario, in modo da non escludere la percezione dell’intorno. La linea retta che unisce il capo, il cuore e il baricentro al livello dell’addome è perpendicolare al suolo e cade su di esso nel punto d’incontro delle diagonali del quadrato di base della posizione dei piedi. Idealmente la forma del corpo è assimilabile a quella di un solido: una piramide regolare retta a base quadrata. La testa si trova al vertice e il corpo aderisce a terra con i piedi a due angoli opposti del quadrato di base, sempre pronti a occupare gli altri due angoli a seconda della direzione di provenienza dell’attacco da difendere.
Lo spostamento avviene
sempre trasferendo prima il
piede che sarà l’appoggio
posteriore della posizione finale, la rotazione delle anche segue con movimento deciso coinvolgendo il tronco superiore e conferendo una grande efficacia all’uso delle braccia per azioni di
uke-kime. L’idea è quella dell’estrema difesa sul posto senza via di fuga, sfruttando solo il piazzamento dei piedi e la forza della rotazione delle anche intorno all’asse verticale.
La postura ideale della piramide consente al corpo di trovare una posizione comoda, plastica, naturale e al tempo stesso di grande equilibrio.
Questo solido ricorre nelle forme più resistenti dalle strutture cristallografiche dei minerali (es. fluorite, ametista, diamante) a quelle dell’ingegneria civile (es. piramidi Maya, piramidi egizie, strutture reticolari).
Lo scopo è potersi difendere da un attacco nelle condizioni più sfavorevoli, ovvero nell’
estrema ratio di quando non ci si può sottrarre nemmeno con un spostamento. Il principio richiede una
difesa sul posto verso direzioni d’attacco a 360°.
Inoltre le parate sono allenate nella condizione di maggiore difficoltà. È esperienza comune che se si riesce a portare la prima parata esternamente a una tecnica di
tsuki, la deviazione del tronco derivante dalla leva sull’arto toglie all’avversario l’immediata possibilità di utilizzare l’altro pugno.
Nel Goshin-Dō invece si pratica la condizione più sfavorevole e pericolosa, eseguendo la prima parata interna in modo che l’avversario possa portare una seconda tecnica, per quindi eseguire una seconda parata seguita dal contrattacco. In principio questo modo di eseguire le tecniche ha lo scopo di obbligare l’attenzione nel caso con la prima parata non si riesca a essere in condizione di potere eseguire un contrattacco con l’avversario non in grado di portare un secondo attacco.
Con il raggiungimento di un livello superiore di pratica, il fatto di trovarsi a portare la prima parata all’interno della guardia avversa, diviene un vantaggio per eseguire immediatamente un contrattacco fulmineo nella guardia divenuta scoperta. Nei cinque
kata Goshin Taikyoku questo genere di allenamento è evidente in quasi tutte le tecniche.
Il M° Shirai dopo la morte del M° Taiji Kase (Chiba 09/02/1929 – Paris 24/11/2004) ha voluto ricordare il suo Maestro e Amico dedicandogli i tre
kata Tai Hei (ichi, ni e san) che significano anche “Pace nel Mondo”. Questi
kata contengono numerose tecniche a mano aperta tipiche del modo di praticare del M° Kase. I
kata Tai Hei ni e san sviluppano diverse combinazioni che sono riprese nel
kata superiore Tai Hei san assieme a precisi riferimenti tratti dal
kata Hangetsu. Chiudono la rassegna tecnica i due
kata di livello superiore Goshin Tokon e Goshin Enka, complessi per il numero di tecniche varie tratte dal Karate Tradizionale e per il genere di spostamenti distribuiti sulle otto direzioni (
happo).
Un altro aspetto della pratica del Goshin-Dō è legato all’esecuzione lenta-lentissima delle tecniche, allenando il massimo controllo dell’inspirazione-espirazione e l’ottenimento del
kime. Solo dopo avere raggiunto la padronanza di una tecnica con molte ripetizioni si può eseguire la stessa alla massima velocità definita come
shun soku ittai (figurativamente: tagliare con la spada un chicco di riso in cento parti in un secondo).
A questo modo di pratica si collega una forma più libera e spontanea definita come iai. Lo iai è l’esecuzione delle tecniche secondo la ricerca di una perfetta coordinazione di mente, corpo e respiro e porta, di conseguenza, alla costruzione di un solido equilibrio psicofisico.
Livello |
Nome Kata |
N° Tecniche |
Cintura nera |
Goshin Taikyoku ichi |
18 |
Goshin Taikyoku ni |
36 |
Goshin Taikyoku san |
36 |
Tokon |
36 |
|
|
|
Gradi superiori
RENSHI
KYOSHI
HANSHI |
Goshin Taikyoku yon |
72 |
Goshin Taikyoku go |
72 - 94 |
Enka |
72 |
Goshin Tai Hei ichi |
72 |
Goshin Tai Hei ni |
45 |
Goshin Tai Hei san |
36 |
Totale |
495 - 517 |
3. Intervista al Maestro Pietro Costa
4. Riflessioni Conclusive.
Possiamo subito asserire senza alcuna ombra di dubbio che il Goshin-Dō è il Karate. Esso ne è parte integrante perché è una chiave di lettura dei suoi principi, quindi è un modo d’interpretarlo, di praticarlo e di studiarlo. È una delle Vie per arrivare alla cima della montagna su cui insistono i principi del Karate Tradizionale Shotokan. Se è vero che l’essenza del Karate Tradizionale è il
kime e che il suo utilizzo è per fini di autodifesa, bene tutto questo è Goshin-Dō.
Se guardiamo ai contenuti del
niju kun troviamo corrispondenza in tutti e venti i precetti del M° Funakoshi con i principi di pratica del Goshin-Dō. In particolare si possono citarne alcuni la cui totale corrispondenza è più evidente:
2.
Karate ni sente nashi.
Il Karate è mai attaccare per primi. A monito di questa affermazione, tutti i
kata del Goshin-Dō iniziano con una parata.
5.
Gijutsu yori shinjutsu.
Nel Karate lo spirito viene prima; la tecnica è il fine ultimo. Lo spirito è sempre al centro dell’insegnamento del M° Shirai. La tecnica è allenata per poter agire senza di essa. Dallo spirito non si può prescindere.
7.
Wazawai wa getai ni shozu.
Il Karate insegna che le avversità ci colpiscono quando si rinuncia. Può essere ricondotto al modo di difendere sul “posto”. Quindi come ricerca della condizione più sfavorevole che accetta l’attacco cercando la difesa nella condizione più difficile.
9.
Karate no shuryo wa issho de aru.
Il Karate è per tutta la vita. Con l’impiego di una posizione più naturale e con la pratica di tecniche senza particolare componente dinamica e acrobatica, il GoshinDō è la possibilità di allenare il Karate Tradizionale anche per persone anziane o con problemi motori.
12.
Katsu kangae wa motsu na makenu kangae wa hitsuyo.
Il Karate non è vincere, ma è l’idea di non perdere. Nessuna aggressività, solo autodifesa.
14.
Tattakai wa kyo-jitsu no soju ikan ni ari.
Concentrazione e rilassamento devono trovare posto al momento giusto. Ancora l’importanza dello spirito. L’atteggiamento verso l’avversario deve presentare una mente serena, vuota da pensieri. Il Maestro ricorda spesso il detto giapponese che dice: “
la luna piena si specchia se le acque del lago sono tranquille”. Bene, questo modo lavorare sullo spirito è l’allenamento per affrontare non solo un combattimento, ma tutta la vita.
16.
Danshi mon wo izureba hyakuman no tekki ari.
Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario. È proprio lo studio di attacchi che provengono da tutte le direzioni. L’autodifesa su 360° e non limitata a un avversario frontale.
17.
Kamae wa shoshinsha ni ato wa shizentai.
Il praticante mantiene sempre la guardia, la posizione naturale riguarda solo i livelli più alti. La posizione di guardia che richiama la piramide. Un solido che mostra stabilità e resistenza nella naturalezza del suo giacere. Una guardia comoda, tranquilla per chi ha la consapevolezza di sapere come agire se attaccato.
19.
Chikara no kyojaku, karada no shinshuku, waza no kankyu wo wasaruna.
Come l’arco, il praticante deve avere contrazione, espansione e velocità. Praticare la velocità lenta della tecnica
o waza per raggiungere l’esplosività e il
kime della tecnica
ko waza, più adatta all’applicazione in combattimento.
Considerazioni analoghe sono state fatte dal
M° Roberto Benocci; in un suo scritto pubblicato dice: “…
Praticare Goshin-Dō vuol dire praticare il fondamento del Karate Tradizionale che, in origine, riguarda proprio l'autodifesa, da cui si può ricevere beneficio per tutti gli altri importanti aspetti dei karate.”.
Altre conferme si trovano dalle parole dirette del
M° Shirai in un’intervista rilasciata al
M° Andy Campbell che riprendo in parte, nel tratto che riguarda il Goshin-Dō:
AC: “
Parlando di Kata, quanto è importante mantenere uno stretto rapporto fra il Kata, il Kumite e il Bunkai?”
M° SHIRAI: “
Nel Kata, molti insegnanti normalmente dicono - Cercate di immaginare il vostro avversario mentre eseguite il Kata -. Ma mi chiedo come si possa immaginare l’avversario se non si conosce o non si è compresa l’applicazione delle tecniche di combattimento del Kata. Dobbiamo realmente insegnare il kata bunkai come standard. Il mio metodo è proprio quello di insegnare il Kata Bunkai come base. Se un allievo impara questo metodo, allora può immaginare il suo avversario in maniera migliore perchè conosce l’applicazione del Kata. Si deve imparare la forma a contatto del Kata, dai fondamentali, dalla forma, dall’applicazione al combattimento. Questo è molto importante. Quello che poi si deve comprendere è la distanza. Se si comprende la distanza, è possibile comprendere il giusto tempo. Altrimenti se si esegue solo il Kata senza contatto non si capiranno mai la distanza e ed il tempo. Praticarlo in questo modo rappresenta oggigiorno un enorme punto di debolezza. Io insegno sempre il contatto. Parto prima con oi-tsuki, eseguo la tecnica e finisco cercando il contatto. Successivamente, facendo un passo indietro si comprenderà in che modo fare un passo avanti sarà più facile per cercare il contatto. Si capiranno quindi le basi della distanza. Invece molte persone fanno errori sulla distanza. Per me tutto parte dal “momento di contatto”, la distanza giusta, la giusta forma, la corretta dinamica del corpo che finiscono tutte insieme nel Kime del contatto. Tenendomi questo a mente, applico in tutti i Kata il “momento di contatto”. Questo sviluppa una forma migliore e rende più facile immaginare come applicare nella pratica ogni tecnica.”
AC: “Può dirci qualcosa di più sullo stile di Goshindo del suo Karate?”
M° SHIRAI: “
Il Goshindo è qualcosa cui iniziai a pensare 40 anni fa. Iniziai a pensare che il Kata era la forma corretta ma che l’applicazione della tecnica è un’altra cosa. Imparai la forma del Kata da Nishiyama Sensei e da moltri altri insegnanti esperti, ma era solamente Kata. Sapevo che l’applicazione pratica era ben altra cosa. Così iniziai a pensare più e più volte, alle tecniche di base del Kihon, alle tecniche del Kata e a come usarle nella pratica. Ho voluto riflettere al di là delle normali applicazioni del Kata. Sapevo di essere sul punto di trovare qualcosa di nuovo.”
AC: “È corretto dire che le sue esperienze ad Okinawa hanno avuto un influsso nello sviluppo del Goshindo?”
M° SHIRAI: “
Ho studiato ed osservato molte gare e altri nuovi modi di insegnare Karate. Ho notato molti punti deboli e compreso ciò che dovevo fare per correggerli – come colpire di pugno, come parare più facilmente, molti attraverso il modo di insegnare a Okinawa – Ciò credo sia molto corretto ...”
AC: “Lei ha anche sviluppato dei propri Kata. In cosa sono diversi da quelli Shotokan?”
M° SHIRAI: “
Ho voluto rendere lo Shotokan più adatto al mio metodo, questo è diventato Goshindo. Ho voluto sviluppare qualcosa che non avesse punti deboli. Non ho voluto usare i Kata Shotokan perché essi sono differenti. Così ho creato i Kata di Goshindo perché potessi usare la pressione del corpo, le posizioni, le tecniche di bloccaggio più efficacemente. Tutto ciò rappresenta un cambiamento rispetto ai Kata Shotokan.”
AC: “
Quale potrebbe dire che siano i più importanti aspetti del Goshindo? Può cortesemente spiegarlo al lettore?”
M° SHIRAI: “
Il Goshindo è stato concepito nel significato di “Via della Auto Difesa”. Tuttavia il Goshindo va insieme allo Shotokan. Io sono convinto che praticando Goshindo il vostro Shotokan migliorerà. Questo è il perché io pratico ed insegno Goshindo. Io non parlo realmente di esso o tento di convincere la gente a praticare Goshindo o ancora che il loto karate migliorerà. Io so certamente che il mio Shotokan migliorerà più io praticherò Goshindo. Di uno dei miei allievi, Claudio Ceruti per esempio, so che il suo Shotokan è migliorato con l’allenamento nel Goshindo. Adesso molti miei allievi cinture nere iniziano il loro allenamento nel Goshindo con lo scopo di migliorare la loro comprensione dello Shotokan.”
AC: “Sensei, quali sono i suoi progetti futuri nell’insegnamento dello Shotokan e del Goshindo?”
M° SHIRAI: “
Continuerò a praticarli e insegnarli entrambi. Tuttavia, pochi anni fa ho avuto un grande infortunio mentre stavo pescando. Sono caduto da 4 piedi d’altezza da un grosso masso cadendo molto duramente e rompendomi la schiena. Poi durante il recupero iniziai di nuovo a essere in grado di calciare nuovamente. Un giorno, mentre stavo eseguendo il Kata Sochin, sul secondo yoko geri mi sono completamente strappato i legamenti interni. Questo è il motivo per cui ora non riesco a calciare molto bene. Il maegeri chudan è a posto, come lo yoko e il mawashi geri gedan, ma non posso eseguirli a livello chudan o più alti. Tuttavia ciò non è un problema. Praticherò e insegnerò sempre karate. Ora c’è maggior attenzione sull’energia mentale, sulla posizione del corpo, sulla potenza e la velocità. Per la dimostrazione delle tecniche, ho altri istruttori ad aiutarmi. Gli allievi possono vedere eseguite ottime tecniche ed ascoltare le mie istruzioni. Questo è come ora insegno e come voglio continuare ad insegnare in futuro Shotokan e Goshindo.”
Il mio pensiero è che il Goshin-Dō percorra il Karate Tradizionale Shotokan nel giusto senso dei suoi principi, fino a raggiungere la consapevolezza di possedere e sapere utilizzare
la spada (la mano, la tecnica)
che da la vita o la morte, di poterla non utilizzare per
vincere senza combattere.