Il percorso di un giovane atleta divenuto uno stimato allenatore della Nazionale F.I.K.T.A.
È il 1973, quando Silvio Campari, a soli 6 anni, comincia a fare karate a Torino, sua città natale. A 8 è già un piccolo agonista e a 16 anni inizia le sue prime lezioni da insegnante. La sua vita continua così, con entusiasmo e passione, tra allenamenti, gare e insegnamento, fino al 1994, l’anno di una grande svolta. Il nostro protagonista, infatti, all’età di 25 anni, decide di lasciare la sua città, la sua famiglia e i suoi amici, per iniziare a Milano una nuova vita, fatta naturalmente di solo karate. La stoffa del campione c’è e le numerose vittorie di Silvio Campari parlano da sole:
16 volte Campione Italiano Kumite ind. e sq.
4 volte Campione Italiano Kata sq.
18 volte Campione Italiano Enbu (m/m-m/f)
5 volte Campione Italiano Fukugo
7 volte Campione Europeo Fukugo
1 volta Campione Mondiale Fukugo
3 volte Vice Campione Mondiale Fukugo
1 volta Campione Mondiale Kumite sq.
3 volte Campione Europeo Kumite sq.
7 volte Campione Europeo Enbu m/f
9 volte Campione Europeo Enbu m/m
3 volte Campione Mondiale Enbu m/f
3 volte Campione Mondiale Enbu m/m
1° class. pre World Cup, San Diego – Kata/Kumite
3° class. Coppa del Mondo, Varsavia – Kata/Kumite
2° class. Coppa del Mondo, Mosca – Fukugo
Silvio, perché hai iniziato il karate?
Iniziai grazie a mio padre, cui chiesi come regalo un corso di karate: ero rimasto molto entusiasta dei vari film di quell’epoca sulle arti marziali che, proprio con mio papà, andavo spesso a vedere al cinema.
Chi è stato il tuo primo maestro?
Per una coincidenza, mio padre mi portò dal Maestro Miura che, inizialmente, non era molto propenso a prendermi in palestra, perché ero troppo piccolo e non c’erano corsi di karate per bambini. Per tentare di allontanarmi mi propose addirittura di fare judo, ma io risposi con fermezza che volevo fare karate. Così fui finalmente accontentato anche se, i primi 34 mesi, il maestro mi fece fare sempre le stesse cose, sperando che io cambiassi idea e mi decidessi a lasciare. Questo però non è mai successo.
Quando hai iniziato le tue prime gare?
Ho iniziato a 8/9 anni e non ho ancora smesso. Recentemente, infatti, sono stato ancora convocato nella squadra nazionale italiana.
Che cosa puoi dirci riguardo le tue esperienze di gara in campo internazionale?
Grazie alla Federazione e a tutti i maestri che me ne hanno dato la possibilità, a partire dal 1991 ho partecipato a numerose competizioni internazionali di differenti organizzazioni e regolamenti, rendendomi conto di una cosa molto bella: cambiano i regolamenti, le specialità, le organizzazioni, ma l’emozione che si prova per una competizione, non cambia mai. Se devo essere sincero, parlo di tutto questo con un po’ di imbarazzo, innanzitutto perché non è nel mio carattere mettere in mostra quello che faccio e poi perché sono passati così tanti anni ormai… nonostante io mi senta ancora pronto a gareggiare come un cadetto!
Tra le varie attività agonistiche e non, ti dedichi ormai da tempo anche al Goshindo: cosa ti senti di dire in proposito?
Dopo che ho iniziato a praticare il
Goshindo con il
M° Shirai e il M° Ceruti ho scoperto una nuova dimensione nel fare karate, il mio percorso di karateka si è evoluto verso orizzonti nuovi che mi hanno stimolato ad andare oltre l’agonismo. In questo percorso di evoluzione e crescita è stato ed è tuttora fondamentale l’allenamento con il M° Shirai. Durante quei momenti di massima concentrazione, in cui devo eseguire le tecniche sotto il suo sguardo, sento una carica dentro che mi dice in continuazione
“Devo farlo meglio, ancora meglio, ancora…”. Questa sensazione di tensione continua verso il massimo dei miei limiti, che il Maestro ogni volta riesce incredibilmente a tirarmi fuori, è importantissima nel percorso umano di un karateka, perché quando cominci a pensare che sei arrivato, è il momento in cui hai anche finito la tua carriera.
Quali altre qualità apprezzi di più in un bravo maestro?
Ciò che, per me, può trasmetterti e insegnarti un grande Maestro, va al di là del puro gesto tecnico. Personalmente, mi fa piacere passare del tempo con il mio Maestro, anche indipendentemente dall’allenamento e, a essere sincero, sono contento quando i miei allievi provano altrettanto nei miei confronti. Un bravo maestro ha un bagaglio di esperienza tale per cui c’è sempre da imparare qualcosa di bello e di nuovo: cucinare, pescare o, semplicemente, saper gestire bene una situazione.
Per rispondere meglio a questa domanda vorrei fare un esempio concreto. Il M° Shirai mi ha regalato un cd di canzoni giapponesi, tra queste ce n’è una in particolare che si intitola
Yama, lo stesso nome che lui ha personalmente scelto di dare alla mia palestra. La parola
yama in giapponese vuol dire “montagna” e il significato profondo che la canzone racchiude è quello della ricerca continua del proprio Maestro: “
Scalo la montagna per trovare il maestro e quando arrivo in cima mi accorgo che lui è già su un’altra montagna più alta“. Credo che questo testo, nella sua semplicità, spieghi molto bene la continua e infinita crescita umana che coinvolge l’allievo e il maestro stesso. Un bravo maestro è colui al quale, in maniera naturale, senti di dovere un grande rispetto, che non è semplicemente quello che si ha per un insegnante che conosce il gesto tecnico, ma è, prima di tutto, un rispetto umano. Una riconoscenza che senti dentro per la persona che hai davanti, per il solo fatto che sta su una montagna sempre più alta della tua. E tengo a precisare che è nei confronti di persone come queste che mi viene naturale inchinarmi e dire
Oss, senza forzature o per finta venerazione di un idolo, ma come segno del profondo rispetto, che nasce da un sentimento. Per questo stesso motivo non pretendo che tutti i miei allievi mi dicano per forza
Oss appena mi vedono… a volte preferisco un semplice “Ciao Silvio”, detto però con molta sincerità.
Che rapporto hai con il Maestro Naito?
Senza dubbio un rapporto particolare. Per molti anni ho avuto la fortuna di allenarmi e di viaggiare spesso insieme a lui e, sicuramente, appena sono arrivato a Milano è stato lui che, più di ogni altro, mi ha indicato “cosa si deve o non si deve fare” e di questo gli sarò sempre molto grato. Con il tempo si è creato un rapporto di stima reciproca, ma ciò nonostante io continuo a rispettarlo come maestro. Caratteristico del M° Naito è poi il suo modo d’essere, sempre allegro e scherzoso, due qualità queste che sono sempre state in sintonia con il mio carattere.
Hai qualche aneddoto divertente da raccontare in proposito?
Ricordo un episodio molto divertente di una volta in cui eravamo in commissione esami insieme. Un ragazzo che doveva fare un kata ne dichiarò il nome così a voce bassa che il M° Naito non capì e gli gridò: “Urlare forte nome!” L’allievo, fraintendendo le sue parole, si mise a gridare ad alta voce prima il proprio nome e poi quello del Maestro, il quale, a metà tra l’innervosito e il divertito, gli intimò nuovamente: “Urlare forte!” A questa richiesta il ragazzo si mise a urlare forte come un pazzo… A quella scena non riuscii più a trattenermi e, quando Naito mi chiese di intervenire per spiegare al ragazzo ciò che doveva fare, non ero più in grado di parlare da quanto mi veniva da ridere!
Che rapporto hai con il Maestro Shirai?
Nonostante il M° Shirai sia il padre della mia compagna Yuri e il nonno delle mie due figlie, per me rimane pur sempre il mio Maestro. Per il rispetto che sento di portargli mi rimane perciò ancora molto difficile parlargli, sia delle piccole cose, sia di quelle più importanti. Questo, tuttavia, è proprio ciò che per me significa “imparare dal maestro”, ho ancora così tanta strada da fare e così tanto da praticare per raggiungerlo sulla sua montagna, che mi sento già fortunato a poter stare con lui senza parlare troppo.
Che cosa ci racconti dei tuoi allievi e della tua palestra?
Questo potresti dirmelo tu, Yumi… Di certo sai come sono nervoso e agitato quando porto la squadra a una competizione. Ci tengo in modo particolare, perché dentro di me batte il cuore di un agonista e se a fare la gara siete voi, i miei allievi, sento ancora più forte l’emozione. Sono molto fortunato ad avere dei ragazzi che capiscono la mia situazione e ogni volta si impegnano a dare il massimo, indipendentemente dal risultato. Tra loro, inoltre, non sorgono mai problemi di gelosie o di rivalità, ma c’è solo un sano agonismo che li porta tutti a migliorare. La gratificazione più grande mi viene poi dal constatare che, anche quando sono solo in due o in tre a dover fare la gara, viene sempre un numeroso gruppo di persone a sostenerci e a fare il tifo.
Altro punto di forza è il fatto di poter contare sull’aiuto di atleti che hanno alle spalle un passato agonistico non di certo indifferente, come Yuri Shirai, Katia Schiavi e Paolo Busso.
Dopo che ti sei trasferito a Milano, hai mantenuto ancora rapporti con i tuoi amici e allievi di Torino?
Si, certo, sono ormai 13 anni che mi reco a Torino una volta al mese per insegnare ancora a molti dei miei primi allievi. Tra loro mi fa piacere ricordare anche due grandi amici, Michele Magrì e Daniele Bovo.
Hai fatto molte competizioni e adesso ti capita ancora di partecipare a gare internazionali, di certo sei un atleta polivalente, sempre pronto a gareggiare in tutte le specialità. Potresti approfondire un po’ meglio questo discorso?
Sicuramente nella scuola del M° Shirai ho imparato a essere un atleta completo e ciò significa che solo praticando seriamente, usando la mente e il corpo con la massima efficacia, si migliora.
Premesso questo, posso dire di aver sempre preferito il kumite, perché in gara mi consente di usare di più la fantasia e l’istinto, qualità che caratterizzano maggiormente la mia personalità e il mio modo di essere. Il kata è certamente una specialità che mi piace molto e, anche se non riesco magari a esprimere il massimo, è molto stimolante per me continuare a praticarlo e sentire costantemente il desiderio di migliorare. Infine, con le gare di enbu, ho trovato la possibilità di esprimere sia la fantasia e le doti agonistiche del kumite, sia la ricerca della forma e la continua ripetizione del kata.
Quali sono stati i tuoi compagni di enbu?
Ho avuto sempre dei compagni formidabili e veramente preparati. Ho iniziato con Elio Giacobini che mi ha dato molto, sia per la sua esperienza, sia per la sua grande generosità e amicizia. Elio era sempre pronto a consigliarmi e a darmi la carica ogni volta che facevamo una gara insieme. Da non dimenticare poi gli altri compagni con cui ho stretto nel tempo un buon rapporto di amicizia e collaborazione agonistica: Patrizia Cerioni, Yuri Shirai, Nazario Moffa e per ultimo, ma di altrettanto grande valore, Mirko Saffiotti.
Durante i recenti Campionati Europei poi, si è presentata una situazione diversa dal solito, ma al tempo stesso molto stimolante. Avevo preparato enbu con Nazario che però, all’ultimo momento, non è potuto partire per la nascita di sua figlia. Così mi sono ritrovato a preparare, in pochissimo tempo, un enbu con Mirko Saffiotti e uno con Ilaria Rigoldi. Devo dire che, in questa circostanza un po’ insolita, l’esperienza di tanti anni di competizioni internazionali mi ha sicuramente aiutato a infondere calma e, al tempo stesso, forza ai miei due nuovi compagni. Riuscire a superare anche questa prova, mettendo in pratica ciò che fino a ora ho imparato e poi portare a casa due medaglie d’oro, è stata davvero una bella emozione.
Allora, a quando la tua la prossima gara?
Gareggiare è una cosa che ho ancora dentro e spesso sento il desiderio di farlo nuovamente, ma è anche giusto che ogni tempo abbia il suo agonista e ora di ragazzi giovani e bravi ne vedo molti… Oss!