Log dis           Log dis

| Home | Aree RISERVATE | AGENDA Attività | Webmaster - Davide Rizzo |


Menu verticale jQuery con effetto fisarmonica | MaiNick Web
Intervista al Maestro Salvatore Giordano
Karate do Magazine . 31 Luglio 2020 -

SalvatoreGiordano Insegnare, praticare un modello da eseguire alla perfezione e aspettare che si riempia con una disposizione d’animo adeguata, questo è il mio studio.

Il M° Giordano (7° dan) nasce a Romanengo, un piccolo paese in provincia di Cremona, l’8 giugno 1958.
Dopo la maturità scientifica, presso l’Istituto dei PP Scolopi a Firenze, consegue il diploma all’Istituto Superiore di Educazione Fisica di Firenze.
Assistente presso la cattedra di Anatomia umana dell’ISEF di Firenze alla facoltà di Medicina e collabora con il Prof. Massimo Gulisano, direttore del dipartimento per almeno 10 anni.
Insegno presso il Mughen Dojo ASD a Firenze e il Florence Dance Center.
Iscritto all’albo nazionale dei Chinesiologi svolge attività motorio-riabilitativa.
 

Maestro, quando è nata la sua passione per il karate?
La mia passione per la disciplina è nata a Firenze. Nel 1969 ho iniziato il mio percorso presso la Palestra Accademia Lotte Orientali sotto la guida del Maestro Sauro Somigli. Insieme a me c’era anche in quegli anni mio fratello, il Maestro Giordano Michelangelo, atleta di alto livello prima e arbitro internazionale poi, uno dei primissimi maestri di Go shin do e il Maestro Cialli Marco, insieme abbiamo seguito l’insegnamento del Maestro Hiroshi Shirai fino a oggi.

Quali sono stati i sui primi maestri?
Il mio primo insegnante fu appunto Marco Cialli, per un anno intero. Poi tornò dal servizio militare il nostro maestro Sauro Somigli (una mente illuminata nello studio del karate. Già allora noi studiavamo i bunkai dei kata e soluzioni innovative nei tempi di esecuzione. Il kumite era praticato nelle forme più reali con tecniche semplici dove si ricercava l’efficacia) e con lui abbiamo intrapreso un percorso dalla fine degli anni 60 fino agli anni 90, poi l’unificazione delle federazioni ci ha diviso e da allora ho considerato mio mentore il Maestro Hiroshi Shirai. Naturalmente conoscevo benissimo il Maestro anche prima, essendo lui il direttore tecnico federale di allora e allenatore delle squadre nazionali ed essendo io in squadra nazionale, sia nel kata sia nel kumite, avevo continui rapporti con lui.
Direi che l’incontro con il Maestro Shirai è stata la cosa più importante nella mia storia di karateka ed è il mio punto di riferimento. Tuttora lo seguo nei suoi insegnamenti.

Che ricordi ha della sua esperienza agonistica?
Ho una lunghissima storia per quanto riguarda l’agonismo iniziata fin dalla giovane età, come atleta Juniores, e conclusa a 36 anni nella Nazionale di Kata e di Kumite. Al mio tempo non si sceglieva una “specialità” facevamo la gara e basta, sia kata sia kumite, individuale e a squadre! Più volte sono stato in finale in entrambe le specialità e a volte ho vinto in ambedue. Per me non è mai stato un problema.
La gara che ho sempre reputato più bella era ed è la Coppa Shotokan che ho vinto, come dicevo, in entrambe le specialità. I miei maestri, sia Sauro Somigli prima e sia il Maestro Shirai poi, hanno sempre considerato le competizione non come il fine dell’allenamento, ma come un momento dell’allenamento, forse una verifica… o forse nemmeno quello. Uno dei ricordi più belli della mia presenza nella Nazionale Italiana è stato il campionato Europeo a Venezia nel 1981, con le federazioni riunite sotto un’unica sigla, in cui ho vinto il campionato europeo a squadre. Rammento benissimo gli allenamenti con il Maestro Shirai in una palestra al Lido di Venezia… ho un bellissimo ricordo di quei giorni.

Nelle specialità quali sono gli aspetti da considerare più importanti?
Questa domanda non mi appartiene. Come ho già detto in precedenza non divido la disciplina del karate in specialità. Anche se oggigiorno si mira a essere settoriali e la tendenza è la specializzazione, quindi non abbiamo più allievi, ma atleti e la disciplina si è mutata in sport. C’è una notevole differenza tra la ricerca del miglioramento di noi stessi, sia fisico sia mentale, e la ricerca del punto in una gara di combattimento o della spettacolarità in una competizione di kata, dove la tecnica deve sottostare ai regolamenti e l’efficacia non è più il fine ultimo.

Da quando Lei era un agonista a oggi, cos’è cambiato nella preparazione degli allievi?
La preparazione degli agonisti è cambiata moltissimo.
Innanzitutto la grande specializzazione, la divisione della disciplina in specialisti nel combattimento e specialisti nelle forme, ha spinto gli allenatori a trovare nuove strade al di là della tecnica, quindi, si è iniziata a studiare la metodologia per migliorare le capacità condizionali e coordinative, affinché la prestazione sia ottimale e conforme ai regolamenti in vigore. Si studiano le tecniche che portano alla vittoria in una competizione e si abbandonano le tecniche vietate o che non sono considerate valide al fine di una vittoria. Questo, a mio giudizio, porta a un impoverimento del karate in generale e alla scomparsa inevitabile di alcune tecniche.
Anche per quanto riguarda i kata sta avvenendo la stessa cosa. Vengono totalmente abbandonati e dimenticati quei kata che non sono agonisticamente spettacolari. Anche questo è un ulteriore impoverimento della disciplina. Naturalmente, poco importa agli allenatori che i loro “competitori” non ne sappiano nulla o quasi della specialità non studiata. Questo porta a un precoce abbandono del karate in quanto, finite le competizioni, viene a mancare lo scopo, la motivazione dell’allenamento, e questi “atleti” trovano un vuoto che pochi riescono colmare.

Come considera l’esperienza agonistico/sportiva all’interno della pratica, in particolare in una Federazione di karate “tradizionale”?
Considero l’esperienza agonistico-sportiva una cosa comunque positiva.
Positiva e utile anche per una federazione di karate “tradizionale”. La ricerca e lo stimolo a migliorare sono sempre una cosa positiva, tiene vivo anche l’interesse per la disciplina a livello mediatico. Essendo la divulgazione del karate una delle funzioni più importanti che una federazione deve avere, noi abbiamo tutto un apparato che si muove intorno alle competizioni, dall’arbitraggio con commissioni e corsi tecnici per la formazione di arbitri, a uno staff di allenatori per la nostra squadra nazionale, rigidamente divisi in allenatori per il kumite e per il kata, che selezionano i migliori atleti in base ai risultati delle competizioni nazionali e internazionali. È un importante settore della federazione, anche se solo il 10% dei praticanti svolge attività agonistica. Per la federazione le gare sono un importante biglietto da visita, tenendo anche presente che per le nostre ASD (associazioni sportive dilettantistiche) è obbligatorio per ragioni di carattere fiscale fare e promuovere delle competizioni. A me personalmente piacciono le competizioni e se anche provengo da una generazione di “dinosauri” della nostra disciplina, che prediligono lo studio della tecnica e il miglioramento dell’individuo tramite l’allenamento, insegno al corso maestri-istruttori didattica e metodologia dell’allenamento per migliorare le qualità fisiche degli atleti e stimolare le attitudini coordinative nei bambini.

Nella sua formazione personale vi sono altre esperienze che ritiene abbiano arricchito il suo “bagaglio marziale”?
Dal 1969 a oggi ho incontrato e praticato numerose discipline inerenti le arti marziali, questo seguendo sempre il consiglio dei miei maestri, soprattutto del Maestro Shirai. Con lui abbiamo praticato kobudo per un certo periodo, alcuni ancora lo praticano, poi c’è stato un momento in cui ci siamo cimentati nel kendo con armature e shinai Queste discipline, che abbiamo praticato per almeno due/tre anni, sono state sempre complementari al karate che ho continuamente praticato senza interruzione da cinquant’anni. Ho altresì partecipato a stage con maestri di altri stili, sempre attraverso il consiglio del mio Maestro e in un periodo abbiamo anche provato il wu shu e il tai chi, che il mio primo maestro Sauro Somigli pratica oramai da vent’anni.
Direi che tutte queste esperienze sono state positive e non solo hanno aumentato in mio bagaglio di conoscenza delle arti marziali, ma mi sono state utili per migliorare la mia tecnica nel karate Shotokan, per avere una visione più ampia e completa e per poter praticare un karate “globale”. L’ultima esperienza, un po’ al di fuori del karate Shotokan tradizionale, è stata la pratica del Goshin-do, studio personale del M° Shirai che ci ha voluto lasciare un’“impronta”, alcuni lo chiamano Shirai Ryu, un suo stile che, se vogliamo, riflette lo spirito antico del karate do: la difesa di se stessi.
Senza competizioni, è la ricerca della perfezione nell’autodifesa, lo studio di un autocontrollo globale, non solo per non colpire l’avversario, ma per non “buttare” la propria vita.
Controllare se stessi è alla base della pratica del guerriero, uso questo termine non a caso. Un guerriero sa quando si può combattere e quando lo scontro è da evitare. Chi combatte sul serio non “gareggia” con il proprio nemico e non deve prendere alla leggera i segnali che gli giungono dai suoi avversari o dal terreno di scontro, controlla la situazione e valuta il da farsi. In quest’ottica anche la fuga è una vittoria. Forse ho un po divagato e si nota senz’altro che il Goshin-do, come lo abbiamo appreso in questi ultimi anni, è veramente una disciplina che mi appassiona.
Tutte queste discipline in cui mi sono cimentato hanno contribuito a migliorare, come ho già detto, la tecnica del mio karate, ma oltre a questo è migliorato l’autocontrollo, la sensibilità nel mondo che mi circonda e il carattere. In oriente si pensa che un agire corretto porti inevitabilmente ad un comportamento analogo. “Se l’ombra è perfetta anche il corpo che la produce è altrettanto corretto”, insegnare, praticare un modello da eseguire alla perfezione e aspettare che si riempia con una disposizione d’animo adeguata, questo è il mio studio.

Si ricorda quando è diventato una cintura nera e quando ha conseguito la qualifica di maestro? Ricopre degli incarichi all’interno della FIKTA?
Ho fatto l’esame di cintura nera a Genova nel 1973 con il M° Hiroshi Shirai. Ricordo benissimo di aver portato come kata Kanku dai (un azzardo lo so), ma sono stato ripagato, perché su 83 cinture marroni solo due sono stati i promossi io e un altro ragazzo di Ancona, gli esami in quel periodo non erano poi così semplici.
Ricordo altrettanto bene che in commissione, accanto al Maestro, c’era anche il giovanissimo 1° dan Dario Marchini, che poi avrei conosciuto e incontrato in numerose competizioni, sia come avversario sia come componente della nazionale di kata a squadre. L’amicizia con il M° Marchini è tuttora viva anche se siamo lontani, questa lontananza non ha diminuito la stima e l’affetto che derivano dall’aver combattuto insieme.
Ho poi conseguito la qualifica di maestro nel 1983 a Montecatini. Un esame non troppo difficile ricordo, mentre l’esame per Istruttore nel 1977 e il corso tenuto a Bergamo sono state bellissime esperienze.
Dagli anni Ottanta, non ricordo con precisione la data, sono membro della Commissione tecnica nazionale, direi che sono il membro con più anzianità della Commissione presieduta ora dal M° Carlo Fugazza.
In quegli anni sono stato anche nominato Direttore tecnico della Regione Toscana che tuttora dirigo con la collaborazione del mio amico e presidente regionale il M° Marino Lombardi.

Che cosa l’ha motivata a percorrere anche la strada dell’insegnamento? Trova differenze tra i metodi con i quali lei ha appreso e come s’insegna oggi?
Insegno da tantissimi anni, sin da quando ho conseguito la qualifica nel 1977. Per me è stata una cosa naturale iniziare a insegnare e subito ho avuto corsi molto numerosi in almeno tre palestre. Mi sono diplomato all’Istituto Superiore di Educazione Fisica pochi anni dopo ed insegnare è diventata la mia professione e lo è ancora oggi, anche se non lo considero un lavoro poiché è la mia passione.
Attualmente insegno nella mia associazione Mughen Dojo ASD a Firenze, con due sedi, e sono molto contento e orgoglioso dei miei allievi che hanno conseguito qualifiche e raggiunto gradi di IV e V dan. Ho altresì stimolato molti di loro ad aprire nuove realtà e sono felice che abbiano successo.
Per quanto riguarda le metodologie di insegnamento sono molto cambiate. Prima la ripetitività del gesto anche per ore era una pratica molto diffusa, non so se era sbagliata, ma era anche la conseguenza di un sapere limitato. Spesso portava anche a traumi e lesioni, non si teneva molto conto delle possibilità anatomiche e a volte venivano proposti anche movimenti non proprio naturali, con inevitabili lesioni nel lungo periodo. Oggi ci sono più attenzione e conoscenza date sia dallo studio delle capacità motorie sia dall’esperienza vissuta. Le lezioni seguono un criterio didattico molto più conservativo e scientifico. L’attenzione poi alle fasce giovanili è massima, con studi approfonditi per rendere la disciplina della Via della mano nuda un’esperienza formativa ed educativa.

Quali sono i capisaldi del suo insegnamento? Che tipo di rapporto bisogna creare, secondo lei fra maestro e atleta e che cosa non dovrebbe mai fare un maestro nei confronti dell’allievo?
Considero la programmazione didattica un elemento fondamentale e non prescindibile di un buon insegnante. Programmare significa scrivere prima le lezioni che dobbiamo svolgere, avendo predisposto all’inizio del mese, o del periodo che noi prendiamo in esame, un nostro programma di massima che poi andremo a svolgere. Questo significa avere una professionalità nel modo di agire. Avendo numerosi corsi con livelli ed età differenti, la programmazione è un passaggio importante per poter dare a ognuno il giusto impulso e progredire con costanza e senza perdite di tempo.
Rapporto tra maestro e atleta?! Diciamo innanzitutto che il maestro ha allievi e non atleti. L’atleta generalmente ha un allenatore e il rapporto è di tipo amicale. Il rapporto tra allievo e maestro è un rapporto di tipo fideistico, io mi fido del mio maestro e lo seguo in una strada che lui traccia per me. Se viene a mancare questa fiducia viene a mancare il maestro.
È difficile stare vicino a un maestro lui pretende sempre il massimo da te in ogni momento, non solo durante la pratica, ma anche durante la vita. Diciamo che il mio maestro “ha un’ombra grande il doppio della mia e quando lui cammina io devo correre per stare al suo passo”.
Cosa non dovrebbe mai fare un maestro? Un maestro non deve mai entrare nella sfera personale della vita dei suoi allievi, il suo insegnamento può indirettamente condizionare delle scelte di vita, ma mai deve entrare nel merito della scelta. Ricordiamo che chi pratica non “obbedisce” alla volontà del maestro passivamente, è una libera scelta seguire l’insegnamento di quel maestro. Credo nel mio Maestro, quando facciamo il saluto a un Maestro è implicita la consapevolezza di praticare liberamente e di accettare il ruolo di “allievo” di fronte al proprio “maestro”.

Qual è la cosa più preziosa che il karate le ha insegnato e il più grande beneficio che apporta oggi alla sua vita quotidiana?

Al di là della tecnica, la pratica mi ha dato la possibilità d’incontrare e conoscere persone straordinarie. Questa è la cosa più preziosa che questa disciplina mi ha dato. Praticare karate mi fa stare bene: quando indosso il gi, come dice il mio amico M° Loris Guidetti, è come se mi si accendesse una stufa dentro, uno strano calore, che mi fa scordare ogni male. Non posso nemmeno pensare di alzarmi un giorno e di non praticare, fa parte della mia vita, del mio essere, mi piace come il primo giorno che ho iniziato e ogni volta è una scoperta.
Adoro insegnare e, contemporaneamente, anche imparare; chiunque può darmi qualcosa, osservo sempre tutti con grande attenzione e senza pregiudizi, perché sono convinto che chiunque, anche il più “storto” praticante, può avere un lampo di pazzia che mi arricchisce.
Anche la legna storta da un fuoco diritto, dice il proverbio.

Secondo Lei, quali “valori aggiunti” possiede oggi il karate del M° Shirai?
Innanzitutto, un punto di forza dell’insegnamento del M° Shirai è senz’altro la didattica, ogni lezione ha un tema logico che viene sviluppato e studiato nei minimi particolari. Il Maestro poi è un “ricercatore”, uno studioso della nostra disciplina, il valore aggiunto è appunto questa continua, incessante ricerca e noi ne beneficiamo ogni volta che ci alleniamo con lui.
Diciamo inoltre che il M° Shirai è appunto “un Maestro”, quindi ogni sua ricerca e scoperta è “arte”, e come tale ha valore nel tempo, non dobbiamo mai pensare che lo studio di un Bunkai, per esempio, o di un kihon fatto anni fa sia meno importante o abbia meno valore dell’ultimo studiato. È nostro compito preservare questa conoscenza, quest’arte. Conservarla gelosamente per poi poterla tramandare, affinché il lavoro di ricerca del nostro Maestro non venga perduto. Il bagaglio di dati e di conoscenza che ci è stato dato dal M° Shirai è così vasto che il suo studio richiede davvero una vita e a me piace studiare, approfondire e tramandare il sapere che ho ricevuto dal “mio Maestro”.

Durante l’emergenza sanitaria a causa del Covid-19 il mondo del karate ha usufruito molto della comunicazione in Rete, quali sono le sue impressioni?
Domanda fantastica! Sì, durante questo periodo di “clausura forzata” abbiamo imparato ad allenarci e poi a insegnare attraverso uno schermo, abbiamo studiato le metodologie didattiche per allenare la tecnica Kihon, Kata e non solo, e mantenere vivo il contatto personale che ci è stato tolto. Da alcuni punti di vista è stata e sarà ancora per qualche tempo un’esperienza a mio giudizio positiva. Da una parte ci ha tolto il contatto personale sia con il Maestro sia con i propri compagni di pratica, ma da un’altra ottica ci ha permesso di approfondire alcuni particolari della tecnica. Prendiamo per esempio i kata: generalmente sono eseguiti, dopo che ne abbiamo la conoscenza, dall’inizio alla fine concentrandosi sui ritmi, sulla transizione e sull’esecuzione completa. Invece, facendo i kata attraverso la rete e con poco spazio a disposizione, siamo stati costretti a studiare i kata sul posto, utilizzando lo spostamento kirikaeshi (cambio gamba), questo tipo di esecuzione ci ha imposto di soffermarsi su tutti i passaggi e di studiarli nei minimi particolari. Diciamo che è come la differenza tra guardare un quadro e ricostruire un puzzle di quello stesso quadro, dove siamo costretti a osservare attentamente ogni minimo particolare per poterlo ricostruire alla perfezione. Questa, secondo me, è stata ed è una cosa positiva che non dobbiamo scordare e che dovremmo continuare a studiare per migliorare la forma finale.
Inoltre, la lezione tenuta via etere ha costretto, chi la seguiva, a non perdere la concentrazione e ad attivare un’attenzione supplementare, in quanto l’assenza di un maestro che ti osserva, costringe chi pratica seriamente ad avere una maggiore attenzione su se stesso e più autocontrollo. Anche questo è stato un aspetto positivo delle lezioni “via rete”. Devo qui ringraziare per queste lezioni il Maestri Carlo Fugazza e Alessandro Cardinale che mi hanno invitato a partecipare.
Anche io ho fatto numerose lezioni sulla piattaforma Zoom, ai miei allievi prima e poi la cosa si è allargata anche a moltissimi miei cari amici e Maestri in tutta Italia, ringrazio anche loro per avermi seguito e sostenuto in tutto questo periodo. Alla fine, il mio giudizio su questo modo di fare lezione è tutto sommato positivo, dobbiamo come sempre essere positivi e prendere il bene nel male.

Cosa auspica per il futuro del karate, cosa le piacerebbe “vedere o non vedere” più?
Non so proprio cosa mi posso aspettare da questo futuro incerto, ci sono molte cose “in ponte” e la situazione del karate in Italia è “liquida”, le federazioni tendono, a seconda delle loro correnti interne, ad avvicinarsi o ad allontanarsi. Forse, alla fine mi piacerebbe vedere per l’Italia un karate unito, per avere più voce in capitolo a livello istituzionale, ma nel rispetto delle reciproche differenze di approccio alla disciplina. Dove sport, cultura e tradizione possano coesistere. Su alcuni punti c’è convergenza di intenti, ma su altri siamo abbastanza distanti e rigidi.

Quali sono i suoi progetti futuri?
Innanzitutto, auspico di tornare alla “normalità” quanto prima. Di poter riaprire la mia associazione e di rivedere i miei allievi, dal più grande di ottantacinque anni, al più piccolo di cinque, perchè mi mancano, mi mancano il contatto fisico e l’insegnamento.
Poi, appena possibile, vorrei tornare a fare lezione con il mio M° Hiroshi Shirai che è la cosa che mi manca di più in questo periodo.
I progetti sono numerosi: dal completamento di un bellissimo corso Istruttori/Maestri della FIKTA, che sto contribuendo con la commissione tecnica a ultimare la parte teorico-pratica, a continuare a studiare il mio programma personale di GoShin-Do, alla collaborazione in regione con enti di promozione per la divulgazione del “Karate Globale”. Oltre a tutto, adoro collaborare con varie realtà anche diverse tra loro, ma con intenti positivi.

Interviste ai Maestri
Giapponesi - Italiani - Taiji Kase - Hiroshi Shirai - English texts -