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Perlati - Baleotti
Karate-do
Una nave in porto è al sicuro
Ma le navi non sono state costruite peer restare nei porti
( Benazir Bhutto )

PerlatiHo sempre considerato il maestro Bruno Baleotti il mio primo maestro: probabilmente senza di lui non sarei stato in grado di avvicinare e di comprendere il Maestro Shirai.
L’alto livello mentale e spirituale di Baleotti si intuisce dall’intervista rilasciata a Karate-do e pubblicata sul n° 24.

Approfitto dell’intervista per fare alcune considerazioni che riguardano il karate oggi e la FIKTA.

Innanzi tutto il maestro Baleotti fa riferimento al karate senza dividerlo in karate tradizionale e karate sportivo sostenendo che esiste solo un karate, il “karate”, e che tutte le altre interpretazioni non sono karate.
Sono completamente d’accordo con lui anche se, per inciso, il termine “karate sportivo” è improprio per indicare il karate disciplinato dalla WKF perché tutti oggi pratichiamo “karate sportivo” (anche la tanto rimpianta FE.S.I.KA era la “Federazione Sportiva Italiana Karate”), meglio sarebbe parlare di “karate moderno”.
Il termine karate sportivo non ci deve preoccupare perché è ovvio che nel 2012 non possiamo organizzare una disciplina finalizzata alla guerra ma possiamo utilizzare i principi del budo per l’autodifesa e per l’automiglioramento attraverso uno sport chiamato karate.
Nessuno dei vecchi praticanti si è mai posto il problema della distinzione dei vari modi di praticare karate.

’80, quando si è cercato di ridurre il karate solamente all’aspetto agonistico, che si è iniziato a parlare di “tradizionale” per distinguerlo da un karate che aveva come scopo la prestazione atletica trascurando i principi ed i valori insiti nella pratica “tradizionale” della disciplina.
La distinzione è molto delicata e fonte di continue polemiche.
La differenza tra una pratica e l’altra è sottile e si cammina su uno strato di ghiaccio che facilmente si può rompere.

Provo a razionalizzare il mio pensiero.
È questione di metodo e di scopo: praticare karate sportivo non deve significare perdere il bagaglio culturale ed etico proprio del karate ma, per non perderlo, occorre praticarlo con uno specifico metodo ed avendo chiaro lo scopo.
Ciò vale per tutte le discipline sportive: superare i propri limiti, coinvolgere mente, corpo e spirito per conoscere se stessi, sono principi insiti nella pratica tradizionale del karate ma possono essere attuati in qualsiasi sport.
Chi lo pratica col metodo e con lo scopo previsto dalla tradizione dovrebbe dare maggiore importanza a ciò che rimane a se stesso al termine di una gara anziché ai risultati ottenuti.
Tutti i Maestri hanno sempre sottolineato che l’agonismo non è il fine ma un mezzo per meglio comprendere il karate, per verificare il proprio livello, per meglio conoscere sé stessi.
Ho già avuto modo di scrivere tanto tempo fa di un mio allievo che, tornando da un Campionato Europeo, mi ha mostrato con orgoglio la medaglia di bronzo che aveva conquistato.

A malincuore ho dovuto fargli notare che quella medaglia aveva poco valore perché non si allenava da diversi mesi e che l’aveva ottenuta solamente perché aveva incontrato atleti meno bravi di lui.
Fortunatamente ha capito ed ora ho il cuore colmo di gioia perché si allena costantemente e seriamente.
Le competizioni sono importantissime perché richiedono da parte dell’agonista un impegno, una disponibilità, un coraggio che lo aiutano nel percorso per conoscere se stesso, ma non è tutto.

Il maestro Baleotti ha richiamato più volte l’importanza di “superare i propri limiti”.
Secondo me è questo uno degli aspetti più importanti che distinguono il metodo tradizionale dal metodo moderno.
Ho sempre sostenuto che l’allenamento del karate inizia quando hai esaurito tutte le energie, quando il tuo corpo e la tua mente ti supplicano di smettere, quando solo la tua volontà ti spinge a continuare.

Tutti i praticanti che hanno seguito il Maestro Shirai hanno vissuto questa esperienza ma spesso non l’anno trasmessa ai loro allievi probabilmente per timore di non essere in grado di gestire una situazione stressante e pericolosa.
In questo modo il karate diventa sempre più tiepido.

Da un pò di tempo, dopo l’allenamento, sento qualcuno affermare di essere contento perché si è divertito.
Per quanto ne so io, per anni, tutti avevamo il terrore di affrontare gli allenamenti ma con la volontà superavamo la paura e continuavamo.
Non è vero che oggi i giovani non sono disponibili ai sacrifici ai quali noi ci siamo sottoposti, ne è la prova che tantissimi di loro praticano sport estremi mettendo spesso a repentaglio anche la loro vita.

Siamo noi che dobbiamo richiamare i giovani che hanno “il fuoco nell’anima” e che vogliono mettersi alla prova.
Ciò non deve essere uguale per tutti perché ognuno ha i propri limiti, fisici, mentali e spirituali ma ognuno può essere chiamato a fare il 100% delle sue possibilità per superarli.

Mi è stato chiesto diverse volte  quand’è che l’allievo è in grado di superare il maestro, la mia risposta è: tutte le volte che l’allievo fa il 100% e il suo maestro non lo fa.

Il dan ed il tempo di pratica hanno poca importanza, perché momento per momento si determina il livello. Nessuno è in grado di stabilire il valore del 100%, ma ciascuno di noi, nel suo intimo, lo conosce ed è quello che, secondo me, il M° Baleotti intende per "moralità".
Fare meno del 100% è più comodo e meno pericoloso però "Una nave in porto è al sicuro, ma le navi non sono state costruite per stare nei porti" (Benazir Bhutto).

Il karate è uno solo e ognuno di noi deve applicare ogni giorno, in ogni istante i principi che ha appreso con la pratica trasformando la palestra, la propria casa, ogni luogo in un Dojo perché nel 2012 non è possibile riproporre fisicamente e materialmente le strutture e l’ambiente che c’era centinaia di anni fa ma nel nostro cuore e nella nostra mente si, lo possiamo fare.
Anche dal punto di vista fisico l’allenamento può essere effettuato con i principi del Budo.
Per esempio, se alleno un maegeri per renderlo una tecnica dirompente, che può uccidere un avversario, seguo le indicazioni del Budo, al contrario se l’obiettivo è solamente arrivare prima, senza l’opportuna qualità della tecnica, eseguo un allenamento lontano dal Budo.

E’ stato scritto dal Maestro Deshimaru: “nello sport c’è il tempo, nel Budo c’è che l’istante” intendendo per sport l’aspetto agonistico.
Significa che nel Budo l’istante determina la vita o la morte, nella gara si può recuperare e ripetere l’azione senza mettere in gioco la vita.

Può darsi che non si raggiunga mai la qualità di una tecnica efficace e definitiva ma se quello è l’obiettivo ciò che conta è l’impegno per raggiungerlo perché rimane sempre prioritario il confronto con se stessi anziché con l’avversario.
Da qui inizia il concetto del “controllo” che rende possibile praticare oggi un’arte marziale senza danneggiare l’avversario perché diventa cosi non più l’avversario ma il compagno che ti aiuta a crescere.
Senza l’efficacia il controllo è inutile! Se mi alleno sentendo che la tecnica che eseguo è la prima e l’unica che posso fare e che la stessa tecnica, eseguita prima, non esiste più, allora diventa naturale vivere l’istante, “qui e ora!”. Se al contrario eseguo delle ripetizioni solo fisicamente non seguo i principi del Budo.
Se mi alleno quando ne ho voglia e mi sento bene non ho ancora compreso il Budo perché l’avversario non si preoccupa di come sto e per batterlo devo prima vincere me stesso.
Il karate è uno solo ma se proprio dobbiamo distinguere tra “tradizionale” e “moderno” tutto dipende dai principi e dallo scopo con i quali si pratica.
Solamente in questo modo potremo aspirare ad un miglioramento spirituale come ci sta indicando da sempre il Maestro Shirai.

Spero che queste considerazioni siano di aiuto per meglio comprendere la strada (DO) che stiamo percorrendo; sicuramente lo sono per me perché, da pigro come sono, spesso me ne dimentico.

Permettetemi di ringraziare Baleotti per le emozioni che mi ha fatto provare con la sua intervista auspicando di rivederlo presto ad allenarsi insieme a noi.

  Giuseppe Perlati

Interviste ai Maestri
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