SAN BONIFACIO, 02-06-2013
LEZIONE DI VITA (E NON SOLO)
Tante riflessioni si potrebbero fare a proposito della gara di ieri. Una cronaca dettagliata e meramente didascalica risulta quantomeno superflua, fondamentalmente perché chi c'era ieri ha seguito il più possibile le prestazioni di ciascuno degli allievi, a prescindere dal fatto che si trattasse dei propri figli o compagni di corso. Mi limito quindi a tirare le fila, lunghissime direi, così come lunghissima è stata, sia sul piano cronologico che su quello emotivo, la giornata di ieri.
L'impressione è - guardando, osservando, ascoltando “qua e là” - che siamo una squadra preparata, ma non abbastanza. La chiave di lettura me l'ha data il Maestro mentre osservavo la falsa cintura bianca che massacrava Francesco - (perché quella, nessuno me lo toglierà dalla testa, era un “falso”. Ma questo è un altro discorso, sul quale torneremo...) :
” Cara Anna, se tu parti come cintura bianca lavorando per raggiungere l'atteggiamento mentale corretto, poi la tecnica viene da sè ”.
Questa è la fondamenta sulla quale lavorare ancora; non abbiamo ancora affinato quella giusta volontà di concentrazione prima di accedere al tatami, non abbiamo ancora appreso perché non compreso il rispetto verso la pratica, né la sufficiente volontà di combattere per vincere: siamo troppo pigri, non sufficientemente intelligenti da utilizzare la sconfitta come palestra per accettare i nostri errori, scomporli, esaminarli e, a nostra volta trasformarli in vittorie, non abbiamo sufficientemente rispetto per l'etichetta, non abbiamo sufficiente rispetto per l'avversario che spesso, per faciloneria, sottovalutiamo pagandone le conseguenze, mentre il podio ci saluta allontanandosi rapidamente.
Alcuni di noi inoltre tuttora combattono solo per loro stessi e non per la squadra. E si vede
L'impressione è anche che, a volte, i giudizi arbitrali non siano troppo favorevoli verso di noi. Alcune buone prestazioni sono state penalizzate da votazioni bizzarre e squalifiche ingiustificate. Da questo traggo la conclusione che ieri nessuno ci ha regalato nulla:
le medaglie che ci siamo portati a casa ce le siamo veramente sudate.
Il Maestro non ha mollato un secondo i ragazzi.
E' quello che volevamo no?
Il Maestro però non arbitrava, non aveva quindi nessun “potere” di mettere in discussione, a difesa nostra, alcune decisioni degli arbitri. E' quello che avremmo voluto no?
Meglio un Maestro che può star dietro ai suoi allievi durante la gara ma non può nulla in sede decisionale oppure è meglio un Maestro che, apparentemente, abbandona i ragazzi a loro stessi alle gare per poi, in sede di valutazione, costituire un peso determinante a difesa delle loro prestazioni?
La risposta, come direbbe qualcuno, è in ciascuno dei nostri cuori ....
Concludo con una piccola osservazione: nonostante tutto i ragazzi ci provano, pur rimanendo imperfetti, a dare quanto possono. Ci provano per loro stessi, un po' per la squadra, ci provano per il loro Maestro: comprendo il suo disappunto quando alcuni di loro non danno il massimo pur avendone le potenzialità; però un atleta che ha appena concluso una gara, sia che abbia ottenuto la medaglia, sia che abbia ottenuto una delusione non va assalito, appena messo piede fuori dal tatami, davanti ai propri avversari, ai propri colleghi, ai propri arbitri, soprattutto quando ancora non è scesa la tensione e la fatica della gara. Ogni cosa a suo tempo. Il rimprovero, dato al momento opportuno, è costruttivo. La pubblica umiliazione, a mio avviso, non giova a nessuno.
Oss
Anna Santini
Risposta ad Anna