Era un anno che io Chika e Monica non davamo esami.
Tanto, troppo tempo.
L'esame è per me una dolorosa palestra, una inevitabile prova, testimonianza di come divenga quasi matematica l'amplificazione di tutti i miei limiti, fisici ed emotivi. Anch'io, come ha detto Monica, seguirò oggi la via della sincerità, esprimendo da un lato il mio rammarico per il risultato finale di questa prova, dall'altra la soddisfazione di avercela fatta ad esserci, ad affrontare un giudizio non positivo.
Non mi sentivo pronta fino all'ultimo, e all'ultimo ho trovato il coraggio di provarci. E' stata una conquista. Parziale. La conquista completa l'avremmo ottenuta solo con un risultato soddisfacente, cosa che non è avvenuta.
Non voglio raccontare la solita menata della mia età che avanza inesorabile, delle giunture che saltano e tutte 'ste cazzate varie. E' vero piuttosto che si chiude un anno estremamente difficile e che l'esame, la sua difficoltà ad affrontarlo, simboleggia la difficoltà che mi ha accompagnato in quest'anno di vita.
Erano successe troppe cose perchè non ne risentisse la mia concentrazione, il mio kime, il mio sguardo, la mia forza sulle gambe, i miei pugni nei kumite, il mio ascolto verso il maestro. Non è un alibi. E' la difficoltà a scrollarsi di dosso, mentre si tirano i pugni, il dramma che accompagna la nostra esistenza, le prove che dobbiamo affrontare fuori dal tatami e che non ce la facciamo, con tutta la buona volontà, a lasciare fuori dalla palestra.
Mi sono chiesta più volte se avesse senso essere presente solo fisicamente, mentre la mente era un fantasma che vagava nell'aria pesante e sudaticcia. Questa è la domanda che pongo al maestro.
Si ha più coraggio ad andarsene o a rimanere?
Oss
Risposta ad Anna
Anna Santini