“…L'insegnamento è una grande responsabilità, cercare di indicare una via a qualcuno che in te confida è una sfida ma alla fine ognuno deve vivere il proprio Do deve ricercare il proprio IO interiore e verificare sempre dove ti vuole portare, sempre che tu lo lasci agire. …” D.R.
Inizia con questa frase il mio lavoro, riassume una miriade di colloqui fatti a due sul senso del dare e del ricevere, del perché perseguire una strada con tale costanza.
“… Alle volte però si deve avere il coraggio di fare quello che si dice e di dimostrare a se stessi di essere disposti a pagare i prezzi delle proprie scelte cosicché gli atti estremi portino alla consapevolezza. …” D.R.
Spesso accade durante le lezioni che il Maestro spinga sull’acceleratore dei suoi allievi, esige che si vada oltre. In un mio breve tema, dove cercavo di descrivere questo atteggiamento mentale del Sensei, ho scritto a proposito : “
… Mi ha impressionata sentire questa atmosfera, cogliere una simile “tensione” che si cerca di smorzare ma rimane rarefatta nell’aria fino alla fine dell’ora….”.
Il suo ruolo lui lo sa mostrare, lo fa sentire; è solo che far crescere delle persone, conoscere ogni loro punto, sapere già cosa faranno, implica un coinvolgimento emotivo da ambedue le parti e capita che questo crei una confidenza tale che si perde di vista la propria posizione.
Durante un discorso col Maestro ho cercato di delineare un profilo di alcuni allievi che vedo durante le lezioni (non metterò nero su bianco tali profili -anche se il Sensei ne godrebbe-) e mi ha colpito che alcuni hanno sviluppato un sentimento di emulazione verso il suo ruolo, altri invece ne fanno emergere il lato “paterno” così che lui possa aver cura di loro.
La risposta scaturita è stata “
io do loro ciò che a essi serve” e trovo che sia giusto fintanto che questo ottenere ciò che serve dia la via di fuga dell’allievo per “rilassarsi”.
Esigere. Esigere da se stessi il massimo e superare il proprio top, affinché chi vede la nostra abitudine creda che essa sia un qualcosa di più, mentre per noi è già abitudine .
Credo che valga anche per chi insegna, da se stesso può esigere meno intransigenze con gli allievi, più severità, meno paternalismi… ma poi non sarebbe lui; se si accede a quella palestra non è a caso, forse è anche perché c’è quel rapporto Sensei – allievo.
Più sbagli più cose impari. Sembra una frase assurda, ma significa che c’è dall’altra parte chi ti tende una mano per aiutarti.
Non vi è un modo giusto o sbagliato in assoluto, vi è uno spirito adatto a trasmettere il proprio sapere ad altri, basta saperlo usare bene.
Bisogna poi mettersi in gioco e nello stato d’animo che ti permettere di sentire che l’altro ti sta aiutando, così da non perseverare nel tuo errore; ecco allora che dal tuo errore hai imparato, ma senza la volontà ed un buon Maestro l’errore diventa il tuo stile di lavoro.
Intransigente: Gli piacerebbe esserlo? Non credo. Non lui con i suoi allievi, ma forse nemmeno sempre con se stesso.
In uno dei miei “mille” scritti ho iniziato cosi”
…piccoli, sono delle piccole pesti che aspettano al varco ogni distrazione del Maestro per dare libero sfogo alla loro esuberanza… e lui “lascia fare” (per un po’)….”.
Ma come ho già scritto prima , credo che tale comportamento rischia di creare in un momento di stanchezza, la fessura per l’altro di evadere dai propri ambiti, e maggiormente per l’allievo è più frequente perdere di vista i ruoli.
Qualcuno opina ( Bacchin) il suo modo di porsi come “essere sempre Maestro”, lui dice che “lo è” ma nella realtà dei fatti è solo una persona spesso cosciente di chi e cosa ha di fronte, così si può calare nella situazione, questo è il suo essere intransigente il dover essere nel modo giusto dove ti trovi.
Ma chi cammina con lui come vive il percorso?
Molti lo seguono, magari a distanze diverse, altri lo vorrebbero “emulare”, qualcuno c’è solo a metà (
col corpo non col cuore – lavora di tecnica non con l’animo giusto-).
Difficile stare al suo passo, almeno per me, spesso mi spiazza con la sua schiettezza – non esiste la mediazione-, circoscrive a spazi ben delineati le azioni proprie ed altrui, così da poter controllare ciò che lo circonda.
Può apparire contraddittorio con quanto detto sopra, ma non è così;
se sai cosa fare e come farlo non rischi di farti male, e così fa il Maestro e ti induce a fare altrettanto – Si fa Karate-do dentro e fuori la palestra- così da tenerti allenato.
Avere al fianco una persona che nel suo modo “opaco” e “impenetrabile” ti lascia intravedere chi è, non capita spesso; sai che lavori con una persona che non è approssimativa, che ti fa sudare ogni traguardo, che ti gratifica e ti smonta con la stessa facilità, e che “
o così o fuori” senza ripensamenti…. ,
se scegli di lavorare con lui sai che c’è se hai bisogno ma che ti cancella se lo tradisci, sai che lui è o bianco o nero!
E’ la palestra della realtà che trovi fuori, così come le persone ti possono essere vicine o contrarie in tutta una vita e in situazioni diverse lui lo riassume in una sola persona e ti smonta in poche ore
(provare per credere – con me sono bastate due chiacchierate e ho cambiato argomento-), a dire il vero se sai stare al gioco capisci molto da questo suo fare, anche se all’inizio io lo sentivo un suo monologo, col tempo mi è stato utile…. È un anticipare per poi far correre ciò che arriva (e adesso spiegala! :-) ).
Sono relazioni difficili da capire se non ci stai dentro, un pomeriggio osservavo da fuori un allenamento in compagnia di una allieva e l’atteggiamento del Maestro è stato tema di un discorso che poneva l’accento sul fatto che chi non lavora come vuole lui rischia di creare una sorta di demotivazione verso quel tipo di lavoro….. bisogna a volte essere più elastici – lasciar fare quello che si è imparato magari altrove e modificarlo con calma e senza troppe pretese.
Ma se ami qualcosa fino in fondo desideri che questa passione sia sentita anche dagli altri, la vuoi trasmettere così come la vivi e non puoi essere approssimativo in questo, non ci sono compromessi sul come donare tale amore, allora appari duro.
A
ndando agli stage ti accorgi delle diverse realtà di insegnamento, di quello che veramente un Maestro insegna: c’è chi insegna ai suoi allievi solo tecniche e non il vero rispetto per l’avversario e chi invece insegna a difendere i valori come l’onore, la vita e a rispettarsi e se impari a farlo verso te stesso lo farai verso il prossimo- questo è il vero Maestro di una disciplina-.
Allo stage del 13 / 14 giugno è stato invitato un Maestro di Kendo che ha parlato di Budo e Bujitsu e ha esordito proprio parlando del rispetto verso l’avversario.
Cito questo perché il rispetto passa proprio per l’amore verso ciò che hai e che fai, e se ami qualcuno o qualcosa esigi che sia rispettata anche a costo di apparire agli occhi altrui ciò che non sei.
Gli allievi amano i fondamenti di una disciplina se questi sono insegnati, sennò tutto sarà una gara di forza e di estetica, ma il sentimento? Non serve essere campioni per insegnare , bisogna amare il ruolo.
Nel 2009 il Maestro serve per trasmettere proprio questo: l’amore per se e per quanto ti circonda, e ad aprire le menti verso l’esterno e questo avviene si apre anche un rapporto di fiducia col proprio Maestro e allora lui sarà il Tuo Maestro e se dopo di lui ci saranno altri saranno i Maestri dopo il Tuo.
Segue
Monica Ceolin