Quando si pratica come si evolve il rapporto fra Maestro/Allievo - Allievo/Fratelli di pratica?
Per una volta dedico un pezzo a me.
Questo titolo nasce dalla personale esigenza di spiegare a me e a chi mi circonda il perché pratico questa Disciplina con tanta enfasi, fino al punto di sembrare “egoista” agli occhi di chi ne resta fuori.
Perché iniziare da adulti questa pratica? Per una pulsione, un bisogno di completezza, c’è dentro la persona una sorta di moto perpetuo che vuole uscire.
Si inizia carichi di aspettative di risolvere tutto subito, da fuori tutto sembra facile, lineare (basta fare quattro mosse…..), poi col tempo ti rendi conto che “le 4 mosse” nascondono una verità più profonda che devi far uscire – energia- e allora bisogna guardarsi dentro e con onestà capire cosa causa quel moto interiore; così senti l’esigenza di confrontarti col tuo vicino, che è nella tua stessa situazione, e si crea così una complicità speciale che cresce assieme alla pratica.
Caos più totale: perché si entra qui e perché vi si resta?, Quanto tutto questo appartiene ad ogni praticante?, Chi sono queste persone?
La prima persona che si trova in una palestra è il Maestro, è il punto di riferimento della pratica, colui che ti insegna a vivere Karate-do dentro la palestra, colui con cui gli allievi crescono nella disciplina.
Con lui non si ha un rapporto statico, man mano che cresci nella pratica diventa più solido e fiducioso.
Il Maestro non è ne un padre spirituale ne un amico, bensì un “mezzo“ per conoscersi, è chi ti addentra nella pratica fino a che questa ti appartenga. E’ un vicino di viaggio, quel viaggio verso la quiete interiore – tutto parte da un moto interiore – difficile, irto, che dà soddisfazione al punto da non mollare. Se poi è un M° esigente fa in modo che gli allievi rinforzino spirito e corpo assieme, Mens sana in corpore sano.
In questo contesto si è tutti uguali, tutti con una gran voglia di scoprire cosa viene dopo, cosa c’è dietro ogni tecnica che serve a se stessi per essere migliori; come può un pugno rendere qualcuno più consapevole di se, davvero una disciplina come il karate-do può svegliare un lato sopito della personalità? Su se stessi non si colgono mai “lati oscuri” ma sul prossimo si eccome. E’ una scoperta che si fa guardando i fratelli di pratica, dapprima verticalmente ( si fanno i confronti tra le cinture, la motivazione nel fare una tecnica, l’esigenza verso se stessi), poi orizzontalmente (ci si confronta nel gruppo).
I fratelli di pratica sono allievi che si aiutano, che praticano con lealtà questa disciplina, che rendono vera ogni tecnica e che se ti colpiscono lo fanno per “svegliare” la coscienza del compagno (se non hanno sbagliato). I fratelli di pratica si aiutano durante l’allenamento non si sostituiscono all’altro.
Come si evolve il rapporto M° - Allievo? Nella fiducia. Fiducia che nel tempo lui ti renda una persona autonoma ed adulta, che quanto ti insegna è qualcosa che resta nella persona come un bagaglio positivo, che ciò che fa è per il bene dell’allievo e non suo.
E con i fratelli di pratica? Il rapporto è di stima e ognuno è una persona a se stante, ognuno ha i suoi tempi e si ha la reciproca responsabilità di aiutarsi nella verità della pratica, sia essa fisica che morale: ognuno sbaglia e l’altro lo aiuta a correggere.
Non vi sono dei parametri concreti per definire questi rapporti, ma solo lo stato emotivo che l’allievo prova durante la pratica, e più questa persona cresce più il sentimento prende forma: la forma della sicurezza, del darsi un valore aggiunto e della verità.
-Scrivere di rapporti basati su etica, energia e valore non è facile, non per chi vive ancora Questa disciplina titubando e non conoscendosi ancora nel profondo.
Spero in questo scritto di aver colto quanto i miei “fratelli di pratica” sentono e di aver toccato i punti giusti nel descrivere il mio vivere i rapporti che sento durante la pratica.-
OSS
Monica Ceolin