Questo pezzo nasce dalla lezione di
martedì 9 febbraio, durante la quale viene posta la domanda cosa ci fa arrabbiare e cosa sentiamo. Come ogni domanda, anche questa ha origine da un pensiero, cioè se si ha davanti il compagno di pratica si tende a lavorare con meno enfasi.
Per spiegare il tutto è stato usato il concetto di liberare l’idea di chi si ha davanti, mantenere il controllo dell’azione e sentire dentro un’energia quasi come un istinto omicida. Detta così per dei profani della disciplina sembra quasi l’invito a divenire aggressivi o peggio violenti; in realtà è solo il concretizzare di uno stato d’animo privo di inibizioni fasulle e lasciar uscire la tecnica: non crearsi ostacoli inutili, se poi ti conosci vivi il momento con realtà.
Ripeto che per un profano può essere un qualcosa di folle parlare in questi termini di emozioni, collaborazione ed aiuto nella pratica, verrebbe d a chiedere “ ma ci si aiuta ad essere aggressivi? “, la risposta è ovviamente no, ci si aiuta ad essere presenti con la mente e con le emozioni, a scoprire la “parte animale” ancora latitante in noi, pur se domata dalla civilizzazione che ci viene imposta.
Una allieva ha risposto: “Non riesco a sentire questo quando lavoro con i compagni, non ho nulla contro di loro” è vero è faticoso. Temi sempre di sbagliare e far male all’altro, ma proprio per questo controllo serve a darci la libertà di sentirci un po’ “ omicidi” dentro di noi tanto poi controlliamo.
Qualche tempo feci una sorta di gioco, attribuii ad alcune persone un animale che vi rassomiglia (non ho ancora scoperto il mio). Tale elucubrazione mentale nasce dal mio cogliere la parte istintiva dell’altro, e siccome senza concretezza non vediamo, questa parte ha le sembianze di un animale.
Non che io abbia inventato qualcosa, assolutamente, anzi è una cosa risaputa, tanto che la nostra parte “animale” si trova nel cervelletto. Scopo del gioco era dare forma a questa parte.
Cosa c’entra tutto questo con l’istinto omicida? Innanzitutto si parla di istinto e quindi di una pulsione, di una emozione da liberare, poi omicida si può associare alla frase latina “Mors tua vita mea” - ossia se tu muori io vivo – che in questo caso è la parte teorica di questa disciplina mentre la pratica è il controllo. Entrare in un tatami per farsi le carezze o lavorare senza enfasi e sentimento di colpire è violare uno dei precetti del Dojo-Kun:
perseguire la via di verità/sincerità. A cui poi si collegano i precetti secondo cui bisogna rinforzare spirito e carattere.
Pertanto l’aver usato
Istinto Omicida come definizione di questa pulsione ha reso al meglio l’idea di quanto si dovrebbe sentire dentro di se durante la pratica.
Arrivare a tanto è un percorso duro, comporta la personale nudità dei sentimenti e della natura, ma se davvero questa meta porta con se la meraviglia dell’essere se stessi e stare dove si è….. percorreremo questo DO.
OSS
Monica Ceolin