"I racconti dei Heike" (Heike Monogatari) sono una collezione di narrazioni a episodi sull'ascesa e caduta del clan dei Taira (o Heike) nel XII secolo di Kyoto.
Per esatezza, narra gli eventi sulle guerre Genpei (1181-1185), nelle quali un'alleanza di clan, condotta da quella dei Minamoto scacciò i potenti Taira e loro alleati dalla capitale, dandoli la caccia fino all'isola di Kyushu nel tentativo di sterminare fino all'ultimo membro del clan.
La guerra Genpei segna un punto di svolta nella storia del Giappone. Essa costituisce lo scontro finale tra due mondi antitetici - il mondo raffinato e corrotto degli aristocratici della corte di Heian ed il mondo rude ed eroico delle famiglie di guerrieri della provincia - uno scontro che segna la fine del primo mondo e l'inizio dell'epoca medioevale. Essa rappresenta una delle principali pagine epiche giapponesi.
"I racconti dei Heike" sembrano essere scritte a frammenti, siccome le storie sulle battaglie di Genpei furono "ritoccate" ed elaborate, esistono in parecchie versioni.
La versione più famosa, intitolata "Il libro di Kakuichi", è stata intesa per declamazioni con accompagnamento musicale, solitamente da Biwa ciechi (monaci itineranti), per placcare gli spiriti dei Taira truccidati. Altre versioni, alcune delle quali molto più elaborate, erano intese per la lettura di dati storici "effettivi" sulla guerra di Genpei.
Gli eroismi e le tragedie di queste battaglie sono diventate successivamente fonti d'ispirazione per il Noh, Joruri e Kabuki, così come per molte incisioni in legno del periodo Tokugawa.
Infatti, quasi tutte le scene principali "dai racconti dei Heike", così come le storie di opere derivanti, quale la biografia di Yoshitsune (Gikeiki), sono state rappresentate in stampe Ukiyo-e.
Mi atterrò rigorosamente alla versione di Kakuichi, presentando le storie in ordine per capitolo e per sezione, tralasciando le tradizioni e credenze legate ai Heike. Purtroppo del libro al momento NON esiste la traduzione Italiana in commercio ma solo inglese, ceca e russa. Si consiglia la traduzione inglese (eccellente quella di Helen Craig McCullough, "I racconti dei Heike",università di Stanford, 1988). Inoltre le storie che posto sono (purtroppo) traduzioni libere mie di testi trovati su Web, quindi mi scuso in anticipo per errori di scrittura ed eventuali incomprensioni.
Le ragaze danzatrici Shirabyoshi: L'egoismo maligno del capo dei Taira, Kiyômori, è rappresentato attraverso la storia di ragazze danzatrici Shirabyoshi che teneva come consorti.
Giô, una di esse, era la sua preferita, ed accomodata nel suo palazzo la manteneva assieme ai suoi famigliari. Quando si sparserò le voci in città di un'altra danzatrice, la giovane Hotoke che era arrivata a Kyoto, Kiyômori lo ignorò inizialmente, rifiutando di vederla persino quando si presentò in visita e per danzare.
Giô, tuttavia, insisteva con Kiyômori, per farlo ricevere il nuovo fenomeno. Così, non appena lo fece ne rimase anche talmente entusiasta da allontanare senza cuore Giò e 'rimpiazzarla' con Hotoke. Giò visse alcuni mesi nella miseria, decidendo alla fine di farsi monaca.
Del tempo è passato quando una sera qualcuno bussò al portello della sua capanna, ed aprendolo trovò la più giovane Hotoke, anche lei fattasi monaca con la testa rasata, convinta di quanto incerta potesse essere la sua 'vita a pezzi'.
LA STORIA DI GIO: ll suono della campana del Gion Shôja echeggiava la caducità di tutte le cose; il colore del fiore di sâla stava rivelando la verità che ciò che prosperava doveva anche declinare. L'orgoglio non consente, sono come un sogno in una notte primaverile; il potente autunno alla fine, loro sono come la polvere dinnanzi al vento.
Le cronache di terre lontane ci ricordano di molti sovrani che voltavano loro spalle al benessere comune. Ingordi del proprio piacere, trascuratori della giustizia, ciechi di fronte alla malvagità nei loro regni, negavano di conoscere le sofferenze del proprio popolo, loro nonsolo non sopravvivevano allo scoccare della propria ora ma venivano distrutti e cancellati completamente dalla faccia della terra.
E' ben noto come anche nel nostro paese esistevano molti tiranni e sovrani vergognosi, ma se facessimo bene i conti al Primo Ministro Taira-no-Kiyomori, Principe, Sacerdote e Regnante, è evidente che li superava tutti, sia per i suoi editti sia per il suo comportamento.
E proprio all'apice del potere, mentre teneva in pugno l'intero paese rassegnato, che mostrava il più grande disprezzo per il vociferare contro di lui, del tutto incurante delle opinioni avverse della gente. I suoi comportamenti lasciavano sbalorditi nella maggior parte dei casi. Casi insoliti, come ad esempio quello delle danzatrici Shirabyoshi.
C'erano, a quei tempi, nella capitale, due sorelle, giovani ragazze Shirabyoshi, famose per la loro abilità nell'arte della danza, di nome Giô e Gijo. La ragazza più anziana, Giô, aveva concesso per un certo periodo i favori del suo amore al principe mentre Gijo, costantemente richiesta come intrattenitrice, riceveva dal suo pubblico più che semplici omaggi. Il principe aveva persino provveduto per loro madre, facendole costruire una casa e depositando mensilmente cinquecento bushel (36 litri cca) di riso oltre a forti somme di denaro a lei. Così, arrivando a ricchezze ed una posizione di rilievo, la famiglia venne considerata la fortunata fra le fortunate.
Ora, quanto a Shirabyoshi, la danza in cui le sorelle eccelevano, essa fu introdotta nel nostro paese da altre due ragazze, Shima-no-Senzai e Waka-no-mae nel regno dell'imperatore Toba-no-in. Inizialmente le danzatrici indossavano un costume formale 'alla cacciatore', con sottovesti separate, tutto di seta bianca, con un pugnale inguainato bianco dentro la fascia e un cappello nero. Per via delle vesti così, era conosciuta come "la danza dell'uomo." Ma quando la danza era completata a metà, il cappello e il pugnale vennerò scartati indossando soltanto il costume bianco, per cui le danzatrici furono chiamate Shirabyoshi, ovvero 'ritmiche vesti bianche'.
C'erano molte danzatrici 'ritmiche vesti bianche' nella capitale e quando si diffuse nell'ambiente la notizia sulla fortuna di Giô, non tutte la assorberò in ugual modo. Seppur alcune la invidiavano con ammirazione, altre provavano molta avversione e gelosia. Le ammiratrici invidiose ci scherzavano su: " Eh, ma come è fortunata la Giô. Se diventassimo cortigiane danzatrici come lei ci toccherebbe lo stesso successo. Forse, aggiungendo la sillaba "Gi" ai nostri nomi la sua stessa fortuna potrebbe venire ad assisterci. Aggiungiamo questa sillaba e vediamo."
Così, una si chiamò Giichi, un'altra Gini, un'altra ancora Gifuku, Gitoku e così via si diffuse la moda. Ma quelle gelose ribattevano: "no, non è una questione di nome, né di come viene pronunciato. Nascono fortunate coloro che ereditano la fortuna dall'esistenza precedente !" ed in poche aggiunsero quindi la sillaba ai propri nomi.
Così passarono tre anni. Quando un giorno la gente dei ceti più vari nella capitale incominciava ad elogiare una nuova Shirabyoshi, arrivata dalla provincia di Kaga. Una ragazza sedicenne chiamata Hotoke.
Chiunque avesse avuto l'opportunità di vederla sosteneva che nessuna tra le molte Shirabyoshi comparse prima di lei, aveva danzato ancora così bene. Tale approvazione generale portò Hotoke a meditare finalmente sulla sua carriera e dicendo a sè stessa: "il mio trionfo non sarà mai completo finchè a convocarmi a danzare non sarà il principe stesso, la sorgente di tutta la buona fortuna. Però visto che non mi ha mandato ancora nessun invito, perchè non andarci senza, come si usa fare tra le intrattenitrici?"
Si diresse immediatamente al palazzo nel quale venne condotta in una stanza vicina a quella del principe, seduto con Gio. Entrando in sala il servo la annunciò: " La danzatrice più amata della capitale, Hotoke, è arrivata chiedendo un udienza."
Sentendo questo Kiyomori si infuriò: "Come sarebbe! Questi artisti devono comparire soltanto al mio ordine! Osa venire senza un invito? A meno che non fosse Dio o il Buddha non è concessa l'udienza mentre c'è Giô qui. La mandi via!!!"
Ferita dal tono crudele, Hotoke stava già per ritirarsi silenziosamente quando Giô intervenne: "no," protestò "è una vecchia usanza degli artisti comparire senza invito. E lei è anche molto giovane! Senz'altro era una reazione spensierata, tipica della gioventù a portarla qui. Sarebbe crudele mandarla via a parole dure. La vergogna e l'angoscia la accompagnerebbero fuori. Posso vedermi benissimo ancora in lei per aver fatto il medesimo percorso. Anche se non intendete vederla danzare nè sentirla cantare, la prego, siate meno severo con lei e richiamatela per un udienza. Poi se la invitate anche di allontanarsi gentilmente le sarò riconoscente per la sua generosità."
"Effettivamente!" esclamò lui "allora, solo per farti il piacere vedrò di invitarla ad allontanarsi" mandando un servo a richiamarla.
La Hotoke ferita che era già salita sulla carrozza e che stava per lasciare il palazzo, vi ritornò dopo la convocazione ricevuta.
Il principe Kiyomori la fece aspettare per un pò, prima di comparire innatteso ora da Giô, "Così, tu sei Hotoke," ha detto, mentre la sua occhiata trascurante si trasformava in uno sguardo fisso e più acuto, "Non avevo la minima intenzione di vederti oggi. Ma Giô ha supplicato così tanto insistendo per la tua causa, che ho deciso infine di concederti l'udienza. Ed ora che ti ho considerato, provo in me un desiderio di sentire la tua voce. Cantami per primo una canzone Imayo." ( L'Imayo è una canzone di otto o dodici versi di sette e cinque sillabe).
E questa era la sua canzone:
"Una giovane (pino) fragile al suo primo incontro
con lui, il suo signore, con lacrime di gioia
canta della sua speranza che lui possa sentire il battitto
d'ali del passare di mille anni;
Mentre le cicogne sull'isola delle tartarughe si levavano in piedi
affollando lo stagno del giglio per cercare la sua mano."
La canzone era il più auspicabile saluto che si potesse fare ad una prima udienza. Cicogne, tartarughe e pini, tutti simboli di esseri longevi e il pino, rappresentato dalla giovane Hotoke stessa.
Estasiati dal suo canto e dalla sua bellezza, i presenti le fecero ripetere la canzone ben tre volte. "Ed ora, mia signorina," la voce di Kiyomori che seguì l'applauso, "poiché ti sei mostrata una tale artista nell'Imayo, la tua danza dovrebbe essere altrettanto affascinante. Faci vedere come balli. Chiami i suonatori di tamburo."
Allora Hotoke si mise a danzare sui ritmi dei batteristi. Per primo, grazie allo dolce schiudersi della sua arte, lasciò spuntare splendidi capelli davanti agli sguardi rapiti, poi rivelò la bellezza del suo viso e per ultimo; la meraviglia delle sue grazie, insuperate sulla terra, per la gioia degli occhi del pubblico incantato.
Come avrebbe potuto mancare nella sua arte con un dono ed una voce naturale e raffinata così? Aveva danzato con una perfezione mai immaginata prima dal principe, il quale in fratempo continuava a fissarla perdutamente. Il suo cuore si rivolse interamente a Hotoke.
"Che cosa c'è? chiese lei, avvertendo nei suoi modo l'intensità del suo umore. "Prima, quando ero venuta senza invito mi avete mandata via. Soltanto grazie alla bontà di Giô che sono stata riportata qui. La prego, mi permetta che me ne vada immediatamente."
"La tua richiesta," rispose il principe, "è stata rifiutata. Ma se la tua esitazione è dovuta a Giô; se la sua presenza qui ti imbarazza, la allontanerò."
"Come potete pensare ad una cosa del genere?" Hotoke protestò. "Anche se fossimo tenute entrambe qui, dovrei vergognarmi. Ma se la allontanate tenendomi qui da sola, soffrirà un dolore ben più profondo della vergogna."
"Se è questo ciò che provi," rispose Kiyomori, "Gio se ne andrà immediatamente" inviando un messaggero con il ordine per Gio, e inviandolo impaziente, anche con un secondo e non molto dopo con un terzo messaggero.
Giô, anche se aveva considerato spesso la possibilità di una tale conclusione non ha mai potuto stabilire il suo accadimento se non vagamente...un giorno..nel futuro. Ma poiché l'ordine del principe era assoluto e ripetuto non le rimase altra scelta che sistemare le sue cose ed andarsene.
Anche coloro che rimangono solo per breve nell'ombra dello stesso albero o si incontrano una volta sola alla stessa fontana provano una certa tristezza a ripartire. Tali incontri, sono riflessi ed echi istantanei di esistenze passate. Ma lei, cui vita negli ultimi tre anni si era fatta tutt'una con quella del principe, provava un dispiacere ben più profondo.
Tuttavia si rese conto, nel suo dolore e rammarico, e con gli occhi appanati dalle lacrime, che erano inutili. Sapeva che doveva andarsene e allora lasciò il palazzo. Ma prima di abbandorare le sue stanze, vagò in loro, tra i tanti ricordi di quel qualcosa, oramai perduto per lei.
Infine scrisse alcuni versi sulla parete.
Moeizuru
karuru mo onaji
nobe no kusa.
Izure ka aki ni
awade hatsubeki.
Le erbe, fresche o secche,
sono ugualmente
piante del campo.
Entrambe sono destinate
ad andare incontro all'autunno.
Allora, salì nella carozza, e tornò a casa da sua madre, dove, una volta entrata, si arrese alle lacrime. Vedendola in questo stato, madre e sorella la pregharono e la supplicharono, facendole domande a cui non rispondeva quando ottenerò, da sua domestica, una confessione di quanto era accaduto.
Come conseguenza delle circostanze cambiate, le entrate mensili di riso e di denaro cessarono. Ora toccava ai famigliari di Hotoke ad assaggiare la beatitudine della prosperità.
Presto si sparserò le voci nella capitale, e sia i padroni che il popolo, increduli del fatto che Giô fosse stata mandata via dal palazzo, decisero di chiederla un'esibizione di danza, tutta per loro. Alcuni mandarono lettere, altri messaggeri, ma Giô, non avendo più nè cuore nè volontà per ulteriori applausi, li respinse tutti. Legata e arresasi nella rete dei tristi ricordi, continuava a versare le sue lacrime infelici.
L'anno trascorse. Ma la primavera seguente, il principe mandò un messaggero per sentire come stavano lei e i suoi affari, insieme a un invito di venire a cantare l'Imayo e a danzare come solo lei sapeva fare, per rallegrare Hotoke che sembrava sentirsi da sola.
Giô respinse anche questo di inviti scoppiando di nuovo in lacrime per la nuova ferita inflitta.
Non trovando alcuna risposta, il principe Kiyomori pregò il messaggero di ritornare con seguenti parole: "perchè Giô non lascia sapere delle sue intenzioni? Se rifiuta di venire, lascia che dia almeno una spiegazione del motivo. Ho qualcosa in mente per lei." Sottolineando al messaggero di annunciarle questo usando l'autorità impersonale del titolo sacerdotale del principe. Il messaggio quindi, conteneva una sorta di minaccia. "Avere qualcosa in mente per lei" significava che intendeva un certa forma di punizione.
Sua madre, sul sentire questo, si impanicò: "perchè non rispondi, anche se vai o non vai? Perchè non vuoi darmi retta?"
"Se pensassi di andarci," si sentivano accendere le parole di Giô "allora risponderei. Ma siccome non ci andrò di certo, non c'è risposta. Il suo messaggio significa senza dubbio che, se non ci vado, mi caccierà dalla capitale oppure mi condannerà alla morte. Oltre a queste due possibilità non ho niente di cui temere. In caso mi cacciasse dalla città non soffrirei nuovamente per essere messa su tale via. Ed anche se terminasse la mia vita, perchè dovrei addolorarmi per essere stata liberata dal mio corpo? Dopotutto, sono stata rifiutata da lui, perchè mai dovrei vedere ancora la sua faccia?"
Trovandola ferma nel suo silenzio, la madre pianse insieme a Giô.
"devi ricordarti," aggiunse "che i sudditi del regno non possono disobbedire agli ordini del principe. Ma oltre a queste leggi esistono leggi che ci controllano sin dalle esistenze precedenti."
"I rapporti fra l'uomo e la donna non cominciano solo nella vita che stiamo vivendo ora. Seppur alcuni si impegno in unioni per migliaia e migliaia di anni, ci sono altri che si separano subito."
"E ancora; inizialmente l'unione era prevista per essere breve, ma delle volte dura per tutta la vita. La cosa più incerta nel mondo è il rapporto fra l'uomo e la donna."
"Allora anche, i favori che hai ricevuto durante questi ultimi tre anni, sono stati così grandi che avrebberò dovuto soddisfarti."
"E se sarà, che dopo questa convocazione ti rifiuti di andare, non è ancora detto che sarai condannata alla morte, ma è certo che verrai cacciata dalla capitale. Allora, anche se fuori dalla città, tu e tua sorella siete entrambe giovani e potete trovare degli alloggi, per quanto stretti, fra le roccie e gli alberi nel profondo del paese. Ma io? Io sono troppo vecchia per andare a vivere in ambienti estranei. E questo pensiero mi rattrista profondamente. Ti chiedo soltanto di compiere un atto di solidarietà e pietà per questo mondo permettendo che finisca la mia vita in questa città."
A sentire queste parole, incapace di opporsi all'appello di sua madre, Giô si alzò e con profonda sofferenza che traspirava dai suoi occhi, si preparò per andare.
Come sostegno nel viaggio, partì con la sorella Gijo ed altre due ragazze Shirabyoshi. Le quattro in carrozza si diresserò al palazzo
Al suo arrivo venne condotta, non nel posto che precedentemente era il suo, ma in uno più giù, lontano nella parte inferiore del corridoio. "Ahimè," pensò tra sè e sè, "perchè mai? Anche se non ho alcuna colpa, ma prima vengo allontanata ed ora devo pattire queste ulteriori umiliazioni." Temeva di mostrarsi sofferente in compagnia, allora alzò le maniche davanti al viso per nascondere le lacrime che faticava a trattenere.
Ma Hotoke che aveva visto tutto, piena di compassione per tale tristezza, si volse al principe: "è Giô," gli disse "se soltanto non la aveste mandata via......La prego, la faccia chiamare qui. O, se no, mi mandi via me, ed io ci andrò." Ma il principe Kiyomori rifiutò, come al solito, di accordare l'ultima richiesta, facendole presente l'inutilità delle sue suppliche. Hotoke abbandonò il corridoio.
Il principe allora, lasciò trascorrere del tempo, prima di degnarsi di concedere a Giô l'udienza. "E come sta Giô?" la domandò, "e come va la vita da quando.....? Hotoke sembra sentirsi sola, ti prego, confortala con una canzone Imayo e una danza." con un tono crudele per rinfacciarle l'assenza di Hotoke.
"Ormai che ho obbedito di venire qui," pensava Giô tristemente, "non disobbedirò quest'ultima richiesta."
Raccogliendo tutte la sue forze per trattenere le lacrime cantò questo Imayo:
"il signore benedetto che una volta portava l'argilla mortale,
mi ha promesso di lasciarmi unire a lui un giorno
quando tutte cercavano di diventare la sposa del suo spirito.
C'è dell'amarezza a trovarsi lasciati fuori"
Cantò due volte la canzone, e non più in grado di nascondere il suo dispiacere, tutti i presenti in sala; principi, cortigiani, i più alti nobili e Samurai si comosserò fino alle lacrime. Anche il principe stesso riconobbe il suo lamento: "Cantato meravigliosamente" dichiarò "abbiamo capito anche il messaggio interiore della tua canzone. Ora, vorrei vederti danzare ma, " aggiunse " ho una facenda da sbrigare che mi attende. Con crudeltà nella voce concluse "Vieni più spesso a cantare e a danzare, Hotoke si divertirebbe." Giô, incapace di rispondere, si ritirò tutta triste dalla sala.
Tornata a casa sua, si buttò giù, riflettendo ad alta voce: "avevo deciso di non andarci, ma per non disobbedire alla volontà di mia madre, sono andata a soffrire nell'agonia. Resistere due volte a questo tormento è veramente amareggiante. E se rimango in questo mondo potrei essere sottoposta di nuovo, alla stessa tortura. Non ce la faccio più ad andare avanti così. Oggi stesso devo liberarmi da questo corpo."
Gijo e sua madre sentirono le parole che mormorò. "Sorella," disse la figlia più giovane, "Se lasciate questo mondo, verrò con voi." Con dispiacere più profondo per cosa aveva sentito, la madre si rammaricò: "Ho sbagliato. Il mio rimorso è profondo per averti pregato di andare, senza considerare la sofferenza che avresti dovuto affrontare. Se dovesti toglierti la vita, Gijo diceva che si sarebbe unita a te, e se le mie due giovani figlie muoino prima di me, che senso avranno questi pochi e tristi anni rimasti alla vostra madre? No, Non rimarrei. Mi toglierei la vita con voi."
Ma impedire ad una madre di terminare i suoi giorni come prestabilito dalla natura era uno dei cinque grandi peccati.
"Questo mondo è un posto di passaggio. Anche le vergogne ammucchiate su vergogne sono momenti brevi e passeggeri. Soltanto l'ombra del grande buio di mondi futuri, è il vero dolore. Se, in questo mondo ci attacchiamo alle cose, nel dopo-vita dovremmo percorrere sentieri difficili e tormentati."
Ripensandoci nuovamente, nonostante la difficoltà a sopportare l'impatto di queste parole, Giô cedette. "No," disse, "non posso caricarmi del peso di uno dei cinque peccati grandi. E' vero, avevo detto che volevo liberarmi da questa vita, dal dolore che mi sta perseguitando. Ma non lo farò più uccidendo questo corpo. Però, se rimango nella capitale le mie sofferenze si rinnoverebberò di continuo. C'è un altro percorso che conduce fuori dal mondo, e questo sarà il mio." Così, all'età di ventun anni, Giô divenne monaca.
Costruì una capanna di ramoscelli, in un villaggio delle montagne alti di Saga, e visse là, pregando l'Illuminato.
Al ricevere di queste notizie, Gijo, la sorella più giovane, non rimase indifferente. Pensava: " Avevo promesso che avrei seguito mia sorella persino fino alla morte. Sono ancora disposta a farlo ora, che si è convertita ad un'altra vita? Allora, anche Gijo si fece monaca all'età di dicianove anni, ed unendosi a Giô nella solitudine di montagna si dedicò al pregare per una vita migliore.
Nemmeno la madre ora vollè rimanere indietro: "Queste ragazze giovani hanno abbandonato il mondo, come posso rimanere a pattire da sola i miei capelli grigi?" dunque, se li tagliò ed andò dalle figlie per invocare insieme l'Illuminato, con preghiere per una vita più lieta nell'altro mondo.
Così, la primavera terminò, l'estate venne e svanì. E quando i venti d'autunno cominciarono a soffiare, e le oche selvaggie guadavano il cielo, quando gli amanti scrivevano i loro desideri sui fogli ardenti, le tre pietà nella notte, contemplavano il Mandriano, la Tessitrice Vergine e la stella degli amanti , disegnate una vicino all'altra nei cieli.
E al termine della giornata, dietro alle colline blu osservavano il cielo serale schiudere la visione al tramonto; i giardini eterni, il paradiso del ovest, la terra pura.
"Un giorno," dicevano nella speranza " nasceremo là, nella terra pura, alla fine del sentiero della sofferenza" Ma in verità lo percorrevano ancora, ed anche con una tristezza più profonda delle loro stesse lacrime.
Una sera, quando la penombra fluì nella notte, chiuserò il loro portello di bambù e acceserò una lampada. Le tre, madre e figlie, erano già prese dalle loro preghiere serali quando udirono un rumore sconosciuto. Qualcuno aveva bussato alla porta. Prese dalla paura bisbigliarono: " Mah, deve essere un demone venuto a zittirci nelle nostre preghiere. Quale essere umano verrebbe fin qui in questa capanna di montagna? Nessuno viene qui neanche di giorno. Ma il portello di bambù è troppo sottile. Se non lo sganciamo, la grata potrebbe essere rotta con facilità. Dobbiamo aprirlo. E se qualcuno là è venuto a prendersi le nostre vite pregheremo il santo che ha promesso a chi lo invocava, la rinascita nel paradiso dell'ovest. Allora forse, la santa assemblea d'accoglienza verrà a dare il benvenuto ai noi morti fedeli e condurci nei giardini eterni. Preghiamolo senza dimenticare l'Illuminato"
Così, facendosi coraggio a vicenda, mano in mano, aprirono il portello di bambù.
Non c'era nessun demone ad attendere là.
Era Hotoke.
"Come può essere?" sussurò Giô tra sè e sè, "Deve essere un sogno."
"Se ascoltaste la mia storia," disse Hotoke scinghiozzando dal pianto, " vi può sembrare un sogno. Ma se non ve la racconto, potrei sembrarvi insensibile e senza sentimenti. Dunque, vi aprirò tutto il mio cuore sin dall'inizio:
Non mi sono dimenticata nè che entrai nel palazzo del principe Kiyomori senza invito nè che venni richiamata solo su vostra richiesta. Allora, a causa della debolezza di una donna di fronte alla volontà di un uomo, e seppur contro la mia coscienza, ero inerme di oppormi al vostro allontanamento. Non me lo sono mai perdonata, e adesso sto qui nella mia vergogna.
Quando vi ho vista andare via, sapevo che m'avrebbe toccato lo stesso destino prima o poi. Non ero mai felice. E ho visto, anche i versi che avevate scritto sulla parete: "Entrambe sono destinate ad andare incontro all'autunno" e ci ho trovato della verità. E quando veniste convocata a cantare l'Imayo, il mio dolore aumentò. Per un pò non sapevo dove eravate andata. Allora sentì che eravate devoti all'Illuminato e assorbita dalla dedizione. Da quel momento comincai ad invidiarla e preghai il principe di continuo per la mia libertà, ma mi rifiutò sempre.
"A riflettere di queste cose realizzai che i colori e splendori di questo mondo non siano altro che sogni dentro ai sogni."
"Che cos'è il piacere? E che cos'è la prosperità?"
"E difficile realizzare un corpo umano, quanto più duro è viverein esso ed allo stesso tempo eseguire la volontà Divina"
"Se, sbandando per gloriose ombre di questa vita cadevo negli Inferni, quanto più faticoso sarebbe stato per me elevarmi attraverso i eoni rinnovati delle vite future, per ascendere al paradiso."
"In questo mondo, ugualmente incerto sia per i giovani che per i vecchi, non possiamo contare sulla nostra gioventù."
"Chi può conoscere l'ora in cui il respiro si separa dalla nostra polvere?"
"La nostra vita dura meno di quella di un moscerino che vive un'ora a maggio, è più evanescente di un lampo."
"Essere fieri dello splendore passeggero e non sapere della vita eterna; è questa la comprensione?"
"In fine, riflettendo di queste cose, che sono fuggita dal palazzo per venire qui."
E dopo questa gettò il mantello che portava mostrandosi in abito da monaca. "Ora che anche io sono sulla via," Hotoke continuò, "sono venuta a chiedere il vostro perdono. Se potete concedermelo, pregherò con voi affinchè possiamo stare seduti insieme sul fior di loto nel paradiso."
"Ma se non riusciate a perdonarmi, dovrò andare via, a dormire in mezzo al muschio e le radici del pino. Ma anche allora adorerò l'Illuminato fino alla fine della mia vita" Con le maniche sul viso per nascondere le lacrime Hotoke terminò: " Possa egli giudare le mie gambe verso il paradiso"
"Nemmeno nei miei sogni," rispose Giô, guardando a Hotoke attraverso le sue stesse lacrime, "avrei immaginato che il tuo cuore si sarebbe voltato alla devozione. Io stessa avevo offeso. Invece di comprendere che erano mie le sofferenze a causare il disordine nel mondo, continuavo ad incolpare te, perciò, la rinuncia sofferente in questa vita."
"Ma ora che ti sei aperta, l'amarezza è svanita come la rugiada. Le tue parole sono liberatorie per me, ora finalmente non dubito più di rinascere nel paradiso."
"E quale gioia più grande per noi che percorrere lo stesso sentiero per il resto della nostra vita?"
"è una benedizione intraprendere il cammino e ne sono grata, nonostante la sofferenza e l'odio verso il mondo a spingermi ad esso."
"Ma tu, che non sei stata nè ferita nè rifiutata, e hai solo diciassette anni, a intraprendere il sentiero della luce che conduce lontano dal mondo annebbiato e sporco, radicando il tuo desiserio nella terra pura."
"Ritengo che la tua è volontà vera verso la grande luce."
"Quanto è gloriosa la Luce! Quanto caldi sono i suoi raggi! Offriamole i nostri omaggi insieme."
Così, in quattro, con cuori rivolti interamente all'Illuminato, mattina e sera offrivano fiori ed incenso al loro signore.
Si dice che tutte le quattro realizzarono il desiderio di rinascita nel paradiso.
Nei registri del tempio Chokodo, costruito dall'imperatore Go Shirakawa, gli spiriti delle quattro, Giô, Gijo, Hotoke e la madre sono conservati insieme.
Queste sono storie nobili, da onorare con profonda riverenza.
Il tamburellare dei Piedi:
Il vescovo Shunkan e due complici cospiratori contro i Taira furono esiliati sull'isola 'infernale' di Kikaigashima. I complici fingendosi in pellegrinaggio, pregavano per la salvezza, ma Shunkan non si unì a loro.
Un giorno inaspettatamente, una nave approdò sull'isola, con un messaggero che si presentò portando con sè una dichiarazione ufficiale di grazia. La Grazia però era riferita soltanto a due nomi. Purtroppo non a Shunkan che si mise a cercare disperatamente il proprio nome tra la dichiarazione, sicuro che ci doveva essere un errore. Supplicò il messaggero, i suoi amici a prenderlo con loro, ma tutti i suoi sforzi erano vani. Seccati dalle suppliche lo spinserò via dalla nave, e lui steso sulla sabbia, calciava coi piedi come un bambino sconvolto, quando la nave spariva all'orizzonte insieme agli unici compagni sull'isola che aveva. Shunkan passò tutta la notte là, sulla spiaggia nella speranza, ma la nave non tornò.
La battaglia del ponte - La morte del principe Mochihito: Il primo vero tentativo di opposizione alla tirannia della famiglia Taira fu quello del principe Mochihito nel 1180, quando si ribellò, spronato da Yorimasa, l'eroe dei Minamoto. Mochihito aveva guadagnato il supporto dei monaci di Miidera, ma il suo esercito era ancora troppo piccolo per sconfigere la potenza dei Taira, e così la ribellione venne soffocata.
Tuttavia, le forze di Mochihito combatterono valorosamente fino alla fine, compreso il monaco-guerriero Jomyo, che lui da solo prese il commando sul ponte Uji, saltelando agilmente sull'impalcatura rimasta , uccidendo dozzine di soldati Taira prima del dovuto ritiro, e ferito da circa sessanta frecce.
Anche Yorimasa ferito, si tolse la vita, cadendo sulla sua stessa spada, mentre il principe Mochihito fu ucciso, prima che 7000 monaci Nara giunsero in rinforzo, concludendo così la ribellione. In una sezione successiva del racconto c'è l'elogio all'impresa di Yorimasa, narrando di come riusci ad abbattere Nue, la creatura volante e sovvranaturale che opprimeva l'imperatore di notte.
Austerità di Mongaku: Mongaku, l'orgoglioso prete che compare sporadicamente "nei racconti di Heike", era originariamente un guerriero chiamato Endo Morito. Innamoratosi della sua cugina sposata, la tormentava affinchè commettesse adulterio con lui, ma quando lei lo rifiutò, le aveva minacciato con la vita di sua madre.
La cugina infine acconsentì di dormire con lui a patto che prima uccidesse il suo marito. E dopo essersi accordata per un'omicidio notturno, la moglie scambiò i posti a letto, rimanendo uccisa da Morito, che nel buio l'aveva presa per il marito. Dal rimorso per il suo diabolismo, Morito entrò nel clero, facendo una serie tremenda di penitenze dolorose, compresa una seduta di preghiera di ventun giorni sotto una cascata gelida, alla quale sopravvisse soltanto grazie all'intervento divino. Più tardi, convinse Yoritomo a ribellarsi contro i Taira, i quali avevano ammazzato il suo padre.
La morte di Kiyômori: All'inizio della guerra di Genpei, Kiyômori, il capo del clan dei Taira era descritto come spietato, un tiranno impressionante, affamato di potere e pur di accrescerlo ulteriormente usava qualsiasi mezzo per schiacciare i suoi nemici. Atti diabolici infine raggiunsero anche lui, facendolo soffrire da terribili, implaccabili febbri. Verso la fine, il suo corpo era così caldo che nessuno riusciva più a venirgli vicino, e che faceva bollire l'acqua del bagno entrando in vasca. Dopo che sua moglie sognò una carrozza ardente venuta dall'inferno per prendere Kiyômori, caddè nelle convulsioni e muori.
Il primo che attraversa il fiume Uji: Vennero offerte ricompense ai soldati che eccelevano nelle battaglie di Genpei, sia in moneta che onorifiche, sia uccidendo un avversario di alto grado sia per essere stati i primi a lanciarsi nelle linee nemiche. Il famoso attraversamento del fiume Uji, nel quale due coraggiosi guerrieri di Minamoto si lanciarono a cavallo nelle acque alte, competendo a vicenda per essere i primi a raggiungere Taira sulla riva opposta, è stato descritto da vari artisti.
La morte di Kiso - Tomoe Gozen, La Donna Guerriero: La morte di Kiso Yoshinaka, il generale di Minamoto che tentò di acchiapparsi il ruolo del leader nel suo clan, tra l'altro riuscendoci in breve tempo, è nota per la figura a fianco di Yoshinaka, che lo difese quasi fino alla fine: Tomôe Gôzen, la donna guerriero. Anche se compare soltanto brevemente nei racconti, l'impatto di Tomôe è indelebile, come raggiunse la fama del guerriero forte, che lo afferrò, lo appuntò e staccò la sua testa. Presto dopo che lei se ne andò, Yoshinaka era comunque stato ucciso, e le armate di Minamoto, ora comandate da Yoshitsune e da Noriyori, dedicarono nuovamente loro attenzione ai Taira, fuggiti a Ichinotani.
La morte di Atsumori - battaglia a Ichinotani: Una delle scene più pesanti rappresentate nel Heike Monogatari, riguarda la morte di Taira Atsumori per mano del guerriero orientale Kumagae-no-Naozane. Kumagae vagò lungo le coste per rintracciare Taira, cercando un nemico generale da combattere e guadagnarsi la ricompensa. A cavallo
avvistò Atsumori, e inseguendo nell'acqua del mare le navi fuggenti di Taira, lo richiamò alla sfida
.
Il feroce Kumagae presto ebbe la miglio sul giovane Atsumori, ma rimuovendo il suo casco per infliggere il colpo mortale, vide un bambino con una tenera faccia inpolverata. Ricordandosi del proprio bambino che aveva la stessa età, esitò di uccidere Atsumori, ma Atsumori lo incitò a fare il suo dovere. Stava quasi per risparmiare Atsumori, quando giunse la cavalleria dei Minamoto, Kumagae realizzò che doveva eseguire l'atto. Promettendo di pregare per Atsumori, lo decapitò, quando più avanti, afflito dai rimorsi, diventò monaco.
Nasu-no-Yoichi - L'arco caduto - battaglie a Yashima: Una nave dei Taira avanzava vicino alle coste dove si stavano ammassando le forze dei Minamoto. Apparse una bella cortigiana che alzando un ventaglio rosso a prua, invitò i Minamoto a sparargli adosso. I Minamoto decisero che sicuramente era una trappola per attrarre alcuni dei loro uomini migliori entro il raggio d'attacco dalla nave, e piuttosto che avvicinarsi, chieserò al loro arciere migliore, Nasu-no-Yoichi, di abbatterlo dalla spiaggia.
Benchè dubitò della propria capacità di colpire un oggetto piccolo così da una distanza di diverse centinaia piedi, Nasu-no-Yoichi dichiarò l'intento di uccidersi se lo mancava. Recitando una preghiera a Hachiman, il dio della guerra, sfrecciò un colpo diretto. Anche i Taira devono avergli applaudito, nonostante fosse un segno che il loro destino era giunto.
Al contrario, nella sezione seguente, l'arco di Yoshitsune gli fu strappato via mentre inseguiva a cavallo i guerrieri Taira nel mare. L'armatura rigida e pesante rendeva impossible di nuotare, Yoshitsune rischiò la vita per ri-impossessarsi dell'arco, e venne rimproverato per la sua avventatezza da parecchi guerrieri veterani. Yoshitsune spiegò: non era per il valore dell'arco che agì da sconsiderato, ma per evitare la vergogna. Se per caso qualcun'altro lo avesse riportato, la debolezza della sua arma sarebbe stata rivelata.
La battaglia del Dan-no-Ura - la sommersione dell'imperatore precedente: I Taira fecero loro sosta finale al Dan-no-Ura, di gran lunga inferiori numericamente alle navi dei Minamoto ma si credetterò superiori nell'abilità di navigazione ai guerrieri orientali. Le cose inizialmente andarono bene per loro, ma un'indicazione chiave dava a conoscenza Minamoto dove erano disposti i comandanti Taira.
Diversi segni sovvranaturali indicarono che la fine dei Taira era vicina, e i Minamoto sorpassarono le loro navi. Temendo il peggio, la nonna dell'imperatore Antoku (vedova di Kiyômori) si buttò nel mare insieme al nipote, ed entrambi annegarono.
La morte di Noritsune - Il balzo di Yoshitsune: Il crollo dei Taira era certezza ormai , ma i loro grandi guerrieri continuarono a combattere fino alla fine. Fra loro c'era Noritsune, che tentò di trovare il General-capo dei Minamoto, Yoshitsune, uccidendo chiunque si mettesse sulla sua strada. In fine riuscì a scoprire la nave di Yoshitsune, e quest'ultimo, vedendo l'inferocito Noritsune, balzò velocemente sulla barca vicina e fuggì. Noritsune allora se la prese con tre guardie, tirandoseli con lui in fondo al mare.
Il primo e il secondo attaccante (Il conduttore d'attacco): Kumagae-no-Jirô-Naozane e Hirayama-no-Mushadokoro-Sueshige erano rimasti con le loro ultime forze d'assalto nell'accampamento fino a mezzanotte circa. Poi Naozane chiamò il suo figlio, Kojirô Naoie: "Nessuno potrà condurre l'attacco quando l'armata scenderà. Meglio fare rotta verso Toi, sulla strada di Harima, ed essere i primi ad attacare Ichi-no-tani."
"Ottima idea" disse Naoie "avrei voluto poter suggerire la stessa cosa. Lasciaci partire subito."
"Pensaci, Hirayama sta marciando con questa armata. È un uomo senza gusto per combattimenti tra eserciti grandi." Allora, ad un subalterno, Naozane ordinò, " Vai a vedere cosa sta facendo Hirayama e poi torna a far rapporto da me."
Come sospettato, Sueshige si stava preparando per partire. "Ognuno può fare come gli pare," si sentiva brontolare "ma non cederò neanche di un passo. Non rimarrò indietro." Il soldato che nutriva il cavallo del padrone diede all'animale un colpo per partire. "Ma quando la finirai di mangiare, sciattone che sei? Non me lo trattare cosi" Sueshige continuò " intanto, lo stai vedendo per l'ultima volta stasera." E cavalcò via.
L'uomo di Naozane ritornò di corsa per sbottare le notizie.
"Molto bene!" Così anche Naozane partì immediatamente.
Naozane indossava un hitatare blu scuro, un'armatura con lacci di cuoio e una cappa rossa; cavalcava sul suo famoso destriero Gondakurige (Gonda, il castano). Naoie invece, aveva un piccolo platano acquatico disegnato sul suo hitatare e un'armatura allacciata con corde di pelle bianca e blu. Montava un cavallo biancastro chiamato Seiro (Torre di ovest). Il portabandiere, un hitatare olivastro-grigio, l'armatura allacciata di cuoio tinto di rosso-ciliegia, e il suo cavallo di colore castano chiaro. I tre procedevano stando a destra, osservando alla loro sinistra la gola lungo la quale gli altri stavano per scendere per sboccare sulla spiaggia di Ichi-no-tani, dal vecchio sentiero Tai-no-hata, inutilizzato ormai da molti anni.
Poiché era ancora piena notte, Toi-no-Jirô-Sanehira stazionava a Shioya, vicino a Ichi-no-tani, con i suoi sette mila cavalieri. Naozane si approfitò del buio per passare accanto a lui, via la spiaggia fino ad arrivare al cancello ovest della roccaforte di Ichi-no-Tani.
Nell'accampamento nemico a quell'ora, regnò il silenzio assoluto, anche perché nessuno dei guerrieri Genji si accorse della vicinanza di Kumagae.
Naozane chiamò Naoie a sé "Devono essere in molti a voler attaccare per primi; non dobbiamo illuderci di essere gli unici. Gli altri staranno probabilmente già qui, nei dintorni, ad aspettare l'alba. Andiamo ad annunciare i nostri nomi." Avvicinandosi a trotto alle barricate esterne si presentò con voce potente. "I primi ad attacare Ichi-no-tani sono Kumagae-no-Jirô-Naozane dei Musashi e il suo figlio Kotarô Naoie!"
I Heike non diederò risposta. "Con calma" si disserò a vicenda "Fali uscire con i loro cavalli. Lasciali finire le loro frecce."
Nel frattempo, un'altro guerriero giunse dietro a Naozane.
"Chi va là?" Naozane gridò.
"Sueshige" rispose l'altro "Chi desidera sapere?"
"Naozane."
"Kumagae, siete voi? Da quanto tempo siete qui?"
"Sono arrivato durante la notte."
"Allora devo esservi stato alle costole; sono in ritardo perché Narida Gorô mi ha ingannato. Giurò che desiderava morire ovunque morissi io, così lo portai con me, ma poi lui tentò di ostacolarmi."
"Non abbiate fretta di attaccare per primi, Hirayama," mi disse."nessuno saprà che vi siete allontanati dal resto delle truppe finché avrete amici a guardarvi le spalle. Che senso avrebbe imbattersi in voi, morti da soli, in mezzo agli schieramenti nemici?" Pensavo la dicesse giusta, così sono salito in cima ad una piccola collina, davanti a lui, e mi ero girato col cavallo verso la valle aspettando qualcuno dei nostri uomini di comparire. Quando Narida mi venne dietro, mi aspettavo che portasse il suo cavallo accanto al mio, per parlare un pò della battaglia, ma mi era passato davanti con uno sguardo ostile, gallopando via.
"Aha!" ho pensato "Sta cercando di fregarmi per prendere il vantaggio" Era circa duecento piedi davanti me e il suo cavallo mi sembrava più debole del mio, così gli corsì dietro. L'ho sorpassato, gridando "'Come osi ingannare un uomo come me" e quindi eccomi, per attaccare da solo il nemico. Deve essere rimasto parrecchio indietro; sono sicuro che non é riuscito a mantenermi in vista."
Naozane, Sueshige e gli altri attendevano, in un gruppo di cinque. Quando, all'alba, comparverò i primi raggi del sole, Naozane si avvicinò di nuovo alle barricate chiamando a gran voce (aveva già annunciato il suo nome, ma desiderava farsi sentire anche da Sueshige) "Kumagae-no-Jirô-Naozane di Musashi e il suo figlio Kojirô Naoie, gli uomini che hanno annunciato per primi i loro nomi, sono i primi ad attacare Ichi-no-tani. Se qualunque Samurai dei Heike si considera all'altezza, lasciatelo confrontarsi con me! Lasciatelo confrontarsi con me!"
"Dai, andiamo a tirare giù dai cavalli, quei due. Hanno urlato i loro nomi per tutta la notte." Chi erano i samurai dei Heike a farsi avanti? Erano Etchû-no-Jirôbyôe-Moritsugi, Kazusa-no-Gorôbyôe-Tadamitsu, Akushichibyôe Kagekiyo, Gotônai Sadatsune ed altri guerrieri principali. Più di venti samurai in tutto, hanno aperto il cancello e loro galloparono fuori.
Sueshige indossava un hitatare macchiato-bianco di lana tinta, l'armatura con allacciamenti rosso-fiamma, e una cappa con due sbarre disegnate; il suo destriero era Mekasuge (Occhi Grigio-Anellati). Il suo portabandiere vestiva un'armatura con i lacci di cuoio nero e un casco con il proteggi-collo ben in giù; il suo cavallo era di colore marrone-ruggine.
Sueshige annunciò il suo nome. "Sono Hirayama-no-Mushadokoro-Sueshige, il residente di Musashi che condusse gli attacchi a Hôgen e Heiji!" quindi si portò in avanti gallopando e gridando fianco a fianco con il suo portabandiere.
Dove Naozane gallopava, Sueshige seguiva; dove Sueshige gallopava, Naozane seguiva. Né l'uno né l'altro vollé essere sopraffatto, si scagliarono contro il nemico a turni, colpendo i loro cavalli con le fruste ed attacandoli fino al far volare le scintille. I samurai dei Heike messi sotto pressione, forse per essersi considerarati inferiori, ma si affrettarono nuovamente dentro la fortezza per continuare la lotta dagli spalti.
Il destriero di Naozane si rizzò speronato, e roteando la gamba dietro la schiena Naozane smontò da cavallo. Kojirô Naoie balzò giù e si levò in piedi accanto a Naozane, ferito al braccio, dopo aver annunciato la sua età di sedici anni, e combattè finchè il suo di cavallo non si schiantò contro le barricate.
"Sei ferito, Kojirô?"
"Sì."
"Continua a tener tirata su l'armatura. Non permettere alle frecce di perforarla. Bada che il tuo proteggi-collo stia basso. E non farti colpire in faccia!"
Naozane estrasse le frecce anche dalla propria armatura, gettandole da parte, si rilanciò con uno sguardo arcigno contro la fortezza ed urlò con potenza, "Sono Naozane, l'uomo che ha lasciato Kamakura l'ultimo inverno, determinato a dare la propria vita per il signore Yoritomo per candeggiare le sue ossa (???) a Ichi-no-tani. Dove è Etchû-no-Jirôbyôe che si vanta delle sue imprese a Muroyama e Mizushima? Dove è Kazusa Gorôbyôe e Akushichibyôe? Non c'è il principe Noritsune là? La fama dipende dall'avversario. Non si ottiene con il primo che si presenta. Affrontatemi! Affrontatemi!"
Etchû-no-Jirôbyôe-Moritsugi indossava il suo costume preferito, un hitatare bianco e blu con sopra allacciata l'armatura di cuoio rosso. Avanzò lentamente a cavalcioni, su un roano bianco, ed occhi fissi su Naozane. Naozane e il suo figlio non cedetterò di un passo. Alzarono le loro spade invece camminando con passi stabili fianco a fianco per evitare di venir separati. Moritsugi si deve essere sentito assoggetato per aver fatto dietrofront.
"Non è quello Etchû-no-Jirôbyôe?" Naozane esclamò "Cosa c'è che non va in me come avversario? Su!!! Mi affronti !!!"
"No, grazie!" Moritsugi replicò.
"Codardo" si udì da Kagekiyo che stava già partendo fuori dalla fortezza coll'intento di affrontare Naozane, ma Moritsugi afferò il manicotto della sua armatura per fermarlo. "Questa battaglia non è l'unica a cui il principe Noritsune deve pensare. Non getti la vostra vita via qui."
Ma finalmente, Naozane ottenne la rimonta. Assalì gli avversari cavalcando e gridando, seguito da Sueshige, che aveva fatto riposare il suo destriero mentre Naozane e Naoie erano coinvolti nell'affronto. Non molti dei guerrieri Heike sono stati impegnati. Gli Arcieri sugli spalti allinearono le loro frecce liberando piogge di missili. Ma per via del numero, ancora ridotto dei Genji, Naozane e gli altri scamparono all'essere feriti, persi nella mischia. "Esci sul lato e affrontali! Attaccali!" si sentivano gli ordini dagli spalti. Ma i cavalli degli Heike erano esausti e malnutriti, provati dalle tante ore passate in piedi sulle barche di trasporto. Uno scontro con le 'bestie' enormi di Naozane e Sueshige, bastava per abbatterli. Di conseguenza nessuno tentò di attaccarsi con i due guerrieri.
Una freccia aveva ferito morte il portabandiere di Sueshige. Era una persona che stimava molto, perciò Sueshige esplose nelle righe nemiche, tagliò la testa all'uccisore, uscendosene nuovamente vittorioso. Anche Naozane raccolse molti 'trofei'.
Naozane, che fu il primo ad apparire sulla scena, venne mantenuto fuori a causa del cancello chiuso; Sueshige, il secondo arrivato, che riuscì a penetrare dentro la roccaforte a causa del cancello aperto. Ciascuno dei due venne considerato conduttore dell'attacco.
La morte di Atsumori: Kumagae-no-Jirô-Naozane stava dirigendosi verso la spiaggia dopo la sconfitta dei Heike. "I nobili dei Taira fuggiranno sulle coste nella speranza di imbarcarsi sui mezzi di salvataggio." ha pensato "Ah, come vorrei affrontare un ufficiale di alto grado!" Attimi dopo avvistò una figura solitaria gettarsi nel mare a cavallo, diretto verso una nave al largo. Quest'altro indossava un hitatare di seta nerinuki con una gru ricamatata, un'armatura con i lacci verde-sfumato e un casco cornuto. Alla vita portava una spada con incastri color bronzo-dorato; sulla schiena aveva un faretra contenente frecce con penne d'acquila incollate, bianche. Impugnava un arco di malacca avvolto e montava un cavallo rossastro con chiazze bianche e la sella orlata d'oro. Quando si spinse a circa cento cinquanta o duecento piedi dalla riva, Naozane gli fece un cenno con il ventaglio.
"Vedo che siete un commandante d'armata. È disonore mostrarsi di schiena ad un nemico. Ritorni!"
Il guerriero ritornò. E come stava lasciando l'acqua, Naozane si portò a suo fianco stringendolo con tutta la sua forza, caddè insieme per terra ed immobilizzandolo, spinse da parte il suo casco per tagliarli la testa. Aveva sedici o diciassette anni, con una faccia leggermente inpolverata e denti anneriti - un ragazzo
appena l'età del figlio di Naozane, Kojirô Naoie, era così tenero che Naozane non ebbe la forza per colpire.
"Chi siete voi? Mi dica il suo nome. La risparmierò," disse Naozane.
"Chi siete voi?" gli chiese il giovane.
"Sono uno di nessuna importanza: Kumagae-no-Jirô-Naozane, dalla provincia di Musashi."
"Allora è inutile dirvi il mio nome. Sono un avversario desiderabile per voi. Chieda notizie su di me dopo che prendiate la mia testa. Qualcuno mi riconoscerà, anche se non ve lo dico."
"Effettivamente, deve essere un capo d'armata," pensò Naozane "l'uccidere questa persona non cambierà certo la sconfitta in vittoria, né il risparmiarlo cambierà la vittoria in sconfitta. Quando penso a come ero addolorato quando Kojirô soffriva per una semplice ferita, è facile immaginare il dispiacere del padre di questo signore giovane se dovesse sentire del ragazzo decapitato. Ah, come vorrei risparmiarlo!" Lanciando un'occhiata rapida dietro a sé, si accorse del giungere di Sanehira e Kagetoki con altri cinquanta cavalieri.
"Vorrei risparmiarvi," gli disse di nuovo, trattenendo le lacrime "ma ci sono guerrieri Genji dappertutto. Vi é impossibile scappare. Sarà meglio che la uccido io che qualcun'altro, perché pregherò per voi"
"Mi tagli giusto la testa e svelto!"
Straccolmo di compassione, Naozane non trovò il coraggio per colpire. I suoi sensi lo facevano barcollare, il suo spirito lo aveva abbandonato, ed era a malapena cosciente del dintorno. Ma andava fatto: e con occhi pieni di lacrime, lo decapitò.
"Ahimè! Non c'è cosa più struggente dell'essere guerriero. Non soffrirei esperienze così terribili se non fossi nato in una casa militare. Quanto crudele che sono stato ad ucciderlo!" premé le maniche contro il viso e versò fiumi di lacrime.
Ora, siccome non poteva rimanere così a lungo, rimosse il hitatare dall'armatura del giovane in modo che potesse avvolgerlo intorno alla testa. C'era un borsellino broccato legato alla cintura con dentro un flauto. "Pietà! Deve essere stato uno di quei, come ho sentito, musicisti, che suonavano dentro le fortezze appena prima dell'alba. Ci sono decine di migliaia di cavalieri nei nostri eserciti orientali, ma sono sicuro che nessuno di loro si portava dietro un flauto in battaglia. Quei nobili di corte sono davvero uomini raffinati!"
Quando i 'trofei' di Naozane furono presentati a Yoshitsune, scuscitarono pianto in tutti i presenti. Si apprese anche che il giovane ucciso era Tayû Atsumori, uno dei figli di Tsunemori, il capo del reparto manutenzione nel palazzo.
Dopodiché, Naozane pensò sempre più a farsi monaco.
Il flauto in questione si dice, era un regalo dell'Imperatore Toba, dato al nonno di Atsumori, Tadamori un musicista esperto. Credo di aver sentito che Tsunemori, che lo ereditò, lo passò a Atsumori a causa della vocazione del figlio ad essere flautista. Saeda (Ramicello) era il suo nome.
E quella musica profondamente toccante, un passatempo profano, avrebbe giudato un guerriero verso una vita religiosa.
Davide Rizzo