Il 2 ottobre 1988 sono secondo
Dan, e mi viene l’idea che forse io debba andare avanti farò
l’istruttore.
Inizio inoltre a viaggiare
con il mio Maestro. Andiamo agli stages e mi porta ad uno stage
organizzato dalla WKSA del Maestro Kase. E’ sempre più difficile
stargli dietro ma quanta soddisfazione lavorare con lui.
Il Maestro Kase trasmette
il suo sapere attraverso la tecnica e attraverso i suoi occhi
che sono il massimo dell’espressività. Il suo insegnamento si
fonda su un tipo di trasmissione da cuore a cuore, da mente
a mente. Parla poco il Maestro Kase, ma quel poco che dice fa
capire l’importanza del Ki, del Kime, del Cuore. Continuo a
pormi la domanda: “ è il Karateka che fa il Karate o il Karate
che fa il Karateka?”. La risposta è quasi sempre la stessa:”
il Karate è si tecnica ma anche cuore, tanto cuore e tanta passione”.
Quando il Maestro Kase parla del superamento della tecnica forse
si riferisce proprio a questo.
E io continuo la mia formazione.
Espongo al mio Maestro l'intenzione
di insegnare e subito dice di si. Non sarà una passeggiata aggiunge.
Quando tiro fuori gli appunti
di quei giorni scopro sempre cose che, forse, avevo dimenticato.
Il corso non è molto duro come allenamento, ma viene richiesto
il massimo impegno e la massima frequenza, I Maestri ci fanno
capire l’importanza di una tecnica pulita, abbiamo come docenti
il Maestro Marangoni, Michielan, Zannin, Boffelli e lo stesso
Puricelli.
L’impegno è totale e incondizionato,
noto la preparazione non solo tecnica degli insegnanti e da
loro intuisco e capisco in seguito la loro impostazione mentale,
il giusto atteggiamento, di come si debba migliorare in solitudine
dedicando la maggior parte del tempo alla propria formazione,
al proprio auto miglioramento. Ci provo ma è dura allenarsi
da solo, senza una guida, senza un tempo specifico, è difficile
capire i propri difetti e i propri pregi senza una o più persone
con cui confrontarsi, comunque sto provando ancora una volta
a capire i miei limiti e le mie capacità.
Luciano mi invita a seguire
come assistente le lezioni di un altro allievo. Scopro così
che gli allievi accettano di buon grado la mia presenza e anche
il mio modo di insegnare. Capisco i motivi, adesso dopo sei
anni, comprendo che sono intuitivo, creativo e sprono ma non
frustro le persone. Forse vedendo come io eseguivo le tecniche
gli allievi si rincuoravano e capivano che anche un istruttore
può sbagliare ma fa del suo meglio per migliorare. Non nascondo
ai miei studenti il fatto che il mio è ancora un percorso lungo
prima di arrivare alla “perfezione tecnica” che viene richiesta,
ma sottolineo che se io riesco a fare un Yokogeri Kekomi possono
farlo altrettanto bene loro.
Quando si insegna si rischia
di avvalorare la propria tecnicità invece si deve valutare
e comprendere la fatica degli altri. Insegnare ti rende più
vulnerabile, devi sempre stare in guardia ed è stato questo
a farmi comprendere che l’orizzonte è molto vasto.
Mi sono avvicinato all’insegnamento
con grande determinazione ma anche con paure e timori di far
male il mio lavoro. Con grande umiltà svolgo il ruolo che mi
sono “forse” imposto.
Le lezioni si susseguono
giorno dopo giorno sempre sotto l’occhio attento e vigile del
Maestro che mi consiglia, mi verifica negli allenamenti e mi
sollecita a fare meglio e a studiare di più.
Io eseguo non solo perché
me lo dice lui, ma perché è giusto così.
Non
puoi insegnare falsità o menzogne, non puoi pensare di educare
le persone se prima non educhi te stesso alla disciplina, alla
tecnica, alla vita e ai rapporti con gli altri.
Non
puoi barare quando insegni, vieni sempre scoperto ed allora
è brutto, dai una immagine del Karate, della Palestra, di quelli
che ti hanno aiutato, sbagliata e falsa ed allora la qualità
dell’insegnamento scade.
Non sono un tecnico che porta
gli allievi/persone all’esaltazione, anzi continuo a pensare
che il Karate, attraverso la tecnica e, con un giusto modo di
porsi, debba migliorare le persone e migliorando le persone
si modificherà la società, la si renderà migliore. Verrà
così svolto anche quel ruolo sociale che ognuno di noi dovrebbe,
con i propri modesti mezzi svolgere. Ed è così che, non
senza difficoltà, nell’agosto 1990 mi viene certificato il grado
di Istruttore.
Il ruolo di Istruttore mi
impone anche nuove responsabilità non solo nell’insegnamento
ma anche nell’allenamento, trascinare il gruppo non è cosa facile,
svolgere il ruolo, se pur inconscio di Sempai, non e semplice,
mi organizzo e mi impongo un comportamento che è già in parte
mio.
La prima lezione, il primo
saluto l’ho già ricevuto ma ora ho ufficialmente il primo corso.
I primi allievi che ti chiamano Sempai, "Sensei",
mi aiutano anche se già molti li conosco. Trovarmi solo di fronte
a queste persone, mi ha fatto vivere un momento di panico da
non essere completamente in me quando ho detto Yoi e ho dato
i primi comandi a quella che sarebbe stata la loro lezione "più
dura" . Non è stato un disastro ma una mezza vittoria.
Erano esausti, ma nel sentire le loro voci e i loro commenti
nello spogliatoio il mio cuore si è riempito di gioia. Quando
sono ritornato a casa ero talmente elettrizzato dall’esperienza
che ho fatto fatica ad addormentarmi.
Alla lezione successiva ero
meno teso, più rilassato mi sentivo già più a mio agio, la lezione
si è svolta “normalmente”. Poi quando sono riprese le iscrizioni
ho avuto diversi allievi e ne sono stato felice. Il Maestro
Puricelli è soddisfatto ma io ancora oggi mi chiedo il motivo
del successo, un allievo tra una pizza e l’altra mi da qualche
risposta ai perché: “ godi la nostra stima perché sei te stesso
quando insegni, e se dobbiamo essere sinceri sei bravo” è la
prima volta che qualcuno del mondo del Karate mi dice che sono
bravo. Ma la cosa che più mi fa felice è quel “sei te stesso”
da allora sono un Istruttore.
Il rendere partecipe la gente,
il formare persone migliori, il capirle e considerarle, non
solo per la loro abilità tecnica, questo rende una persona migliore.
Si, il Karate continua ad
aiutarmi, a migliorarmi, a essere me stesso per la quasi totalità
del tempo che trascorro fuori dalla palestra. In famiglia noto
un grande miglioramento generale, la qualità del mio tempo diventa
migliore e ancora più serena è l’atmosfera che si respira e
che mi auguro duri tutta la vita.
Torniamo al Karate. Il mio
metodo di insegnamento lo devo verificare sul campo lezione
dopo lezione, scopro con dolore che l’esperienza dell’insegnamento,
malgrado abbia un Maestro come specchio, te la costruisci sulle
spalle dei tuoi allievi che ancora non comprendono perché gli
fai fare un’ora di oitsuki o un ora di kata.
Cerco, con il passare del
tempo, di personalizzare e pianificare l'insegnamento che fino
a quel momento avevo fatto ma che non avevo mai razionalizzato.
In questo caso la carta vincente è la verifica su se stessi
che può farti capire molte cose.
Quando inizi un corso di
principianti non devi chiedere la luna, devi capire e interpretare
i messaggi che ti vengono mandati, devi decifrare il corpo dell’altro,
lo sguardo, la voce, l’atteggiamento con il quale si accingono
a provare per la prima volta qualche cosa di nuovo.
Ciò che prediligo è far comprendere
per prima cosa che cosa è il Karate Do “ Un arte di autodifesa”
e come tale deve essere concepito come rafforzamento del proprio
corpo e della propria mente, con l’allenamento costante. In
effetti sono del parere che nelle arti marziali non serve avere
un corpo perfetto per ottenere risultati soddisfacenti ma bensì
una costanza notevole.
Molte delle mie lezioni con
i principianti si basano sull’atteggiamento mentale da assumere
durante l’allenamento, sulla ripetizione del gesto e le sue
forme, pugni, calci, parate che si basano sulla dinamica del
movimento con gli spostamenti adeguati all’azione di risposta
all’attacco o all’attacco in sé, sulla coordinazione che deve
essere via via migliorata. Credo che in questo modo si possa
portare l’allievo ad interiorizzare e far sua una tecnica, certo
ci sono delle difficoltà in questo ma sono sempre superabili
con la tenacia e la costanza. In effetti si è liberi di pensare
che il 70% del livello di un allievo dipende dal suo impegno,
e solamente il 30% dalle sue doti.
Per il Kata vale quanto detto
in precedenza: atteggiamento mentale, comprensione delle tecniche
e degli spostamenti, relazione tra le tecniche e la loro applicazione,
il tempo del kata. Quando qualche allievo mi
chiede che cos’è il kata mi tornano in mente le mie di domande,
la risposta però e sempre quella: ”è il patrimonio genetico
del karate, il nostro DNA.”
Spiego loro che solo attraverso
la comprensione del kata noi possiamo immaginare un combattimento,
in effetti gli antichi hanno volutamente nascosto nel kata tutta
lo loro arte di combattimento, il kata non è una danza è un
combattimento e gli allievi devono capire che questa è la linea
di partenza del karate d’oggi. Do molto spazio nelle mie lezioni
al kata, i bambini ad esempio ne sono attratti, impegnandosi
moltissimo in questo.
Nel Kumite, tutti si dimostrano
moto interessati a questa parte del karate, fondamentale per
un arte di autodifesa, ma faccio comprendere loro che il karate
non è combattimento inteso nel senso di procurare ferite o la
morte dell’avversario ma inteso come autodisciplina come discernimento
tra istinto di conservazione e giusto equilibrio, ripeto sempre
loro che quando il Maestro Funakoshi diceva :” Karate ni sente
nashi” si riferiva al fatto che nel karate non c’è vantaggio
ad attaccare per primi ma anche che, secondo me, non ci si
deve mai trovare nella condizione di......
Tutto questo deve passare
per forza di cose attraverso metodologie semplici e di facile
comprensione, gli esempi nei primi momenti aiutano molto basta
cercarli e adattarli alla situazione molte volte però vale l’esatto
contrario mostrare una tecnica e verificarla all’istante può
aprire la mente è la cultura del fare che conta nel Karate in
effetti si dovrà far capire che il fine del karate non è sempre
vincere ma l’idea di non perdere deve essere sempre presente
come la ricerca del proprio perfezionamento.
Ritornando con i piedi per
terra l’insegnamento della posizione è basilare. In effetti
nessuna tecnica può essere efficace se manca la posizione. Si
deve far comprendere all’allievo che il Karate si pratica quasi
sempre in piedi, non deve essere confuso con la lotta, il Karate
permette l’uso dei pugni e dei calci e pertanto una posizione
forte è la base per portare tecniche forti, veloci ed efficaci.
La posizione deve inoltre
essere stabile e pertanto l’allievo dovrà comprendere che per
essere stabile la posizione dovrà avere una base larga. Potrebbe
sembrare semplice far capire queste poche cose, ma ci vuole
preparazione, esperienza e tanta pazienza.
Un esercizio che mi serve
per far comprendere questa cosa sta’ nel far camminare l’allievo
su un manico di scopa e poi su una tavola molto larga e
comoda
in questo modo capisce l’importanza di una base larga. Ci sono
diversi modi di stare in piedi nel karate. La più naturale riguarda
la posizione “Shizen-tai”. In questa l’allievo non ha
nessuna difficoltà per applicarla in quanto è una posizione
naturale. Il “Zenkutsudachi“ è già di più difficile applicazione.
In effetti il principiante ha delle difficoltà a padroneggiarla
in quanto non la sente naturale. Insisto molto nel dire che
devono sentirla comoda e trovarsi a proprio agio nello
zenkutsudachi perché dovranno farlo per sempre, fintanto che
faranno karate, e pertanto è meglio che la imparino subito.
Per allenare la posizione a puntello si deve far comprendere
che il peso deve essere distribuito principalmente sulla gamba
anteriore ( 60%) senza sottovalutare la spinta della gamba posteriore
(40%) , mi servo sempre di un bastone per questo esercizio facendo
appoggiare il ginocchio anteriore dell’allievo al bastone che
avrà come base la base dell’alluce del piede anteriore in questo
modo faccio comprendere la posizione del ginocchio e l’importanza
della muscolatura necessaria per tenere il peso della posizione
che deve essere leggermente spostata in avanti.
Ci sono poi gli spostamenti
in zenkutsudachi e per questi faccio eseguire degli spostamenti
come se camminassero sulle rotaie. Facendo portare prima il
peso su una gamba e posi sull’altra quindi riaprire la posizione,
che non dovrà superare la larghezza dei fianchi, il tutto deve
essere eseguito senza alzare la posizione e mantenendo le anche
alla stessa altezza e i talloni appoggiati a terra. In questa
posizione inizio di solito a far capire quali sono le fasi per
eseguire una tecnica “efficace” la rotazione delle anche che
dovranno essere aperte nella parata e chiuse nell’attacco.
Per quanto riguarda il “Kokutsudachi”
la procedura è la stessa solo che l’allievo in questo caso deve
comprendere che si tratta di una posizione semi frontale e che
il peso in questo caso poggia principalmente sulla gamba posteriore
e che i talloni devono mantenere la stessa linea;
L’uso di pugni e calci nel
karate è implicito e pertanto chi inizia a praticare si aspetta
l’insegnamento di tecniche che investono queste parti del corpo.
Al principiante faccio sempre presente che in tutte le tecniche
di karate sia di braccia o di gamba c’è la tecnica e il suo
opposto “Hikite”. L’allievo deve comprendere che quello
che va deve ritornare e che sempre al momento dell’impatto il
corpo deve essere totalmente contratto. Contrazione e decontrazione
sono aspetti che si devono chiarire fin dall’inizio altrimenti
l’allievo può pensare che il corpo deve essere sempre contratto
durante la tecnica. Questo è un aspetto che non si deve sottovalutare
nell’insegnamento, essere chiari è un dovere per tutti. Far
strisciare l’avambraccio e il gomito lungo il karategi
può aiutare a comprendere che il gomito non deve uscire da una
linea diretta al bersaglio e in questo aiuta la rotazione del
pugno che dovrà essere eseguita all’ultimo istante, se il pugno
ruota prima dell’impatto il gomito uscirà dalla traiettoria
ed allora la tecnica di pugno sarà debole.
Per l'hikite basta far colpire
all’allievo qualche cosa dietro il suo fianco in questo modo
potrà iniziare a capire che nel karate si usano anche i gomiti.
Rimane comunque punto fermo che la maggior parte delle tecniche
di braccio usano una traiettoria diretta verso il bersaglio.
Per i calci, superato il
primo momento di imbarazzo, faccio presente le mie difficoltà
a mostrare i calci nella loro esecuzione rallentata e pertanto
per far questo trovo un appoggio. Per i calci vale quanto detto
per le tecniche di gamba con la sola differenza che nel principiante
le gambe sono un altra storia, non si è abituati a tirare calci
se non ad un pallone, portare il ginocchio al petto è già un
impresa, far scattare il ginocchio per il Maegeri è un disastro.
Importante è farli sentire sicuri. Facendoli appoggiare al muro
od a un compagno si ha già un primo risultato. Di solito faccio
così e preferisco far lavorare la persona partendo dalle sue
capacità. Individuando l’allievo che esegue bene una tecnica
lo si può proporre agli altri in modo da sviluppare anche una
sana competizione fra allievi.
Rimane comunque cardine primario
la ripetizione del gesto il più corretto possibile tollerando
l’errore e correggendolo gradatamente senza farlo pesare all’allievo
che dovrà così trovare sicurezza nell’esecuzione della tecnica
e imparare dai propri errori.
Qualche volta i miei allievi
dicono che allenarsi con me è duro e anch’io penso abbiano ragione,
ma non posso rinnegare ne dimenticare il mio percorso formativo.
Devo inoltre dire che molto
mi è stato dato dal mio Maestro. La metodologia del Maestro
è abbastanza complessa e ancora adesso mi stupisco di come riesca
a mettere assieme le parti del programma che ci viene proposto.
Spessissimo faccio dei paragoni fra il mio modo di insegnare
e il suo, scopro che siamo diversi, ma è necessario tendere
ad essere uniti nella diversità.
Con Puricelli non si riesce
subito a capire lo scopo, anche se lo enuncia in diversi modi
la comprensione o forse l'applicazione di quello che chiede
è spesso difficile. Ci si scontra sempre con la propria mente,
il proprio corpo e la propria concentrazione. Puricelli chiede
tacitamente una fatica "scientifica" e forse adesso
riesco a capire un po quello che intende: sentire che il proprio
corpo riesce a permettere che l'energia si manifesti attraverso
la tecnica.
La sua metodologia d'insegnamento
è semplice e complessa nello stesso modo perché molto raffinata.
La conferma deriva dal fatto che, anche se ci viene chiesto
di eseguire una "tecnica semplice", nella maggior
parte delle volte non si riesce ad avere quella precisa sensazione
di aver fatto il possibile per renderla efficace.
Nella semplicità del gesto
c'è tutto il sapere del Maestro. Un sapere in costante evoluzione
in costante ricerca di qualcosa di estremamente sintetico e
lucido.
Il mio Maestro non pensa
solo alla tecnica, per lui l'importante è che i suoi allievi
crescano in modo sano, che si impossessino delle chiavi di lettura
sia della tecnica che della vita, dei rapporti con la società
e con gli altri. Non basta il solo gesto tecnico devi anche
dare delle risposte il più esaurienti possibili ed allora ti
devi informare e interiorizzare ancora di più le tue conoscenze.
La tecnica che esprimo non
è poi tanto scarsa come credevo, mi sento bravo forse per la
prima volta. Questo mi fa bene e mi sprona sempre di più ad
andare avanti e Luciano mi aiuta come sempre a capire, capire
cosa devo fare, come devo insegnare e cosa devo insegnare. Oramai
sono 22 anni che stiamo assieme e anche con lui il rapporto
si è trasformato, siamo diventati amici da parte mia, lui è
sempre enigmatico con me, dice e non dice. Come mio padre non
ti dice mai ti voglio bene oppure sei bravo, ma lo so, lo sento
cosa pensa di me. L’intesa c’è, non è dichiarata, ma c’è e la
vivo serenamente.
Un amico d’infanzia che mi
conosce molto bene dice che mi vede sereno, equilibrato. E’
vero sto bene perché sento che sto facendo cose importanti forse
le più importanti della mia vita, sto insegnando ai miei figli,
ai miei allievi, ai miei amici come diventare delle persone
migliori attraverso l’esempio di vita e attraverso la tecnica.
Certo il Karate rende migliori ma questo forse è intrinseco
ad ogni attività sportiva, ma l’Arte della mano vuota del Sud
è una gran cosa che investe lo spirito e lo spirito è infinito.
Mi sono impossessato abbastanza
bene dell'insegnamento. Le difficoltà più grosse le ho avute
quando in palestra si sono presentati i bambini, fino ad allora
avevo insegnato solo ad adolescenti e adulti ma non avevo mai
avuto un corso di bambini. Li ho tuttora, io e Puricelli ci
facciamo sempre delle risate quando gli dico che non ce la faccio
più.
Ho poca pazienza con i bambini,
sono capricciosi, vogliono sempre giocare fanno, passatemi il
termine, un casino bestiale e mi sembra che l’immagine della
palestra venga compromessa ma non è proprio così alla fine.
Con i bambini devi modificare completamente il tuo modo di agire
e di fare karate. Il Karate non è costrizione non è plagio,
il Karate è liberazione da molti stereotipi che questi giovanissimi
hanno attraverso i moderni mezzi di comunicazione, ed allora
devi per forza inventare, applaudire e giocare con loro e a
questo punto il karate diventa gioco e complicità del fare.
Gioco di squadra, gioco individuale
non devo permettermi di guardarli dal mio livello ma devo portarmi
al loro e così qualche volta ridivento bambino giocando e qualche
altra volta, raccontando e parlando dei miei tempi, come facevano
i nonni con i loro nipoti, giochi che si usavano allora, qualcuno
non sa neanche che cosa é una fionda, paragone che uso per far
capire come si prepara una tecnica efficace. Con umiltà tento
di farmi capire, è difficile, alle volte devi anche essere duro
e questo diventa duro anche per me anche perché con due figli
da educare devo sempre scoprire il modo per poterli seguire
al meglio. Come per l’aquilone, talvolta si deve tirare il filo,
talvolta lo si deve allentare. Se lo si tira troppo, o troppo
poco, l’aquilone cade e non è quello che desidero, loro vogliono
volare. Devono diventare grandi e prepararsi positivamente alla
vita.
Con i bambini ho imparato
la pazienza, sono bravi e glielo dico ed allora tutti in coro
mi invitano a osservarli: “ Maestro così va bene? Sono bravo?
“ a quel punto dici loro siete bravissimi anche se non
è proprio la verità per tutti. Sono bravi nello sperimentare
e nel provarsi. Sempre con i bambini riesco
a capire meglio l’autocontrollo. Ce ne vuole tanto soprattutto
con i genitori: ” il mio non impara, a scuola è un disastro
non ascolta” e io dal canto mio ribadisco che forse a scuola
non si impegna abbastanza o non viene sufficientemente riconosciuto,
i bambini al giorno d’oggi vogliono qualità in quello che fanno
e non riconoscendola non si impegnano, vogliono stimoli che
non siano i soliti. I bambini
vogliono vivere ed essere partecipi alle cose. La società sembra
faccia molto per accontentarli ma in realtà falsa il senso vero
delle cose, non si dialoga più tanto, c’è sempre la necessità
da parte dei genitori di delegare altri all’educazione, alla
comprensione, all’insegnamento, non c’è più tempo da dedicare
a questi bimbi che diventeranno gli adolescenti di domani e
dovranno essere forti per non correre il rischio di imboccare
strade sbagliate. Un giorno leggendo un libro sul karate
ho sottolineato questa citazione: “Il
Generale Wellington aveva detto a Napoleone I° “ La battaglia
di oggi può essere vinta sul terreno di gioco della scuola del
nostro paese”. Questa frase deve essere compresa
come una massima importante sugli aspetti dell’insegnamento
ai bambini e non solo. Nell’educarli al futuro si deve trovare
un equilibrio tra severità e gentilezza senza mai permettersi
il lusso di non essere severi con se stessi e se per caso si
commettono, come è logico succeda, degli errori si deve chiedere
scusa e come dice ultimamente il Maestro Shirai “ pago pegno”
mostrando un kata o una tecnica. E’ giusto.
I ragazzi ora sono più grandi
e migliorano, hanno preso coscienza delle loro qualità e capacità,
mi ascoltano di più ed eseguono le tecniche come richiesto.
Certo c’è sempre il gioco ma, adesso si lavora di più, senza
mai dimenticare che sono bambini pertanto con l’attenzione che
il caso merita. Devo fare attenzione e dare come sempre il meglio
di me. Ho scoperto che con i bambini non puoi sempre preordinare
l’allenamento e qualche volta sei costretto ad improvvisare
qualche cosa di diverso.
La mia funzione di insegnante
passa anche sotto il punto di vista dei rapporti diretti con
gli allievi. Quando non vedo un allievo telefono per capire,
se sta male, se deve studiare o se c’è qualche problema.
Una brutta esperienza l’ho
avuta con un allievo , uno dei primi che ha mollato mi sono
sentito morire dentro, un mucchio di dubbi mi si sono affacciati
alla mente. E’ bruttissimo perdere un allievo, lo ho scoperto
sulla mia pelle e penso a quei Maestri che si vedono traditi
così come mi sono sentito io.
Mi viene in mente il mio
primo Maestro quando non mi ha più visto avrà avuto anche lui
questa sensazione? Sono dispiaciuto ma anche questo aiuta a
capirsi meglio. Altri hanno mollato e ogni volta ci sto male,
non mi ci voglio abituare.
Puricelli una volta ha detto
che quando riesci a far capire ad una persona che quello che
sta facendo non gli piace, devi essere felice, perché hai aiutato
una persona, un allievo, a capire se stesso e quello che vuole
fare, io mi ci devo ancora abituare e penso di avere una ulteriore
responsabilità in questo. La “formazione” continua.
Nel Agosto del 1990 divento
3° Dan. Anche se mi espongo alla valutazione adesso mi sembra
che niente e nessuno possa fermarmi, mi sento invulnerabile,
ma devo stare attento molto attento a questo senso di onnipotenza
che sta dentro di me, devo ancora lavorare per non permettere
al mio ego di prendere il sopravvento, faticosamente lo controllo
e allora mi scopro umile.
L’allenamento con il mio
Maestro mi fa capire questo, e ogni volta che metto il Karategi
mi rimetto in discussione, scopro che, si sono migliorato, ma
che la strada da fare è ancora lunga, difficile e piena di pericoli.
Il Karate è un combattimento
dove è necessario esercitarsi con coraggio ma anche con perseveranza,
umiltà e sincerità. In sintesi il Dojo Kun ha ancora molto da
trasmettere e da insegnare a tutti. Non ricordo chi fosse ma
qualcuno ha scritto: ”L’uomo
comune si interessa al profitto, l’uomo nobile al dovere”.
Condivido in toto queste
parole anche se non è facile essere sempre umili, sinceri e
coraggiosi, anche se il perseverare comporta grossi sacrifici
che spesso sono anche i sacrifici di altre persone.
L’insegnamento per me è diventato
importante e sento la necessità di ricevere la certificazione
dell’essere Maestro ma mi pongo sempre il dubbio, sarò all’altezza
che questo comporta? Certo, il mio non è stato un percorso facile
ed è anche per questo che voglio provare. Voglio, ancora una
volta, sperimentare su me stesso se sono all’altezza.
Le principali posizioni del karate-Do sono: |
|
Shizen-tai | posizione naturale, include le posizioni Musubi-dachi, Heisoku-dachi, Hachiji-dachi; |
Zenkutsu-dachi | Posizione Frontale il peso è distribuito al 60% sulla gamba anteriore |
Kokutsu-dachi | Posizione basata sulla gamba posteriore il peso è distribuito per il 70% sulla gamba posteriore |
Kiba-dachi | Posizione del fantino il peso è distribuito in modo eguale sulle due gambe e i piedi sono paralleli tra loro |
Shiko-dachi | Posizione quadrata come per il kibadachi con la sola differenza che i piedi in questo caso sono rivolti verso l’esterno |
Fudo-dachi | Posizione radicata |
Nekoashi-dachi | Posizione del gatto |
Sanchin-dachi | Posizione a clessidra |
Le parti della mano chiusa più usate per colpire il bersaglio sono: | |
Seiken | Pugno diretto frontale |
Nakadaka ken | Pugno con la nocca del medio |
Kentsui | Pugno a martello |
Ipponken | Pugno con una sola nocca |
Uraken | Pugno con la parte dorsale |
Hiraken | Pugno con le nocche inferiori |
Vi sono inoltre diversi modi di colpire a mano aperta per citarne alcuni: |
|
Shuto | Mano a coltello, parte esterna |
Haito | Mano a spigolo, parte interna |
Nukite | Mano a lancia, punte delle dita |
Teisho | Parte del palmo della mano |
Le più comuni a mano chiusa sono: | |
Age-Uke | Parata alta contro un attacco diretto al viso |
Soto-Uke | Parata media dall’esterno verso l’interno |
Gedan-Barai | Parata bassa usata per contro un attacco all’inguine |
Uchi-Uke | Parata media dall’interno verso l’esterno |
Le principali a mano aperta: | |
Shuto-Uke | Parata media dall’interno verso l’esterno |
Tate-Shuto | Parata media dall’alto verso il basso |
Teisho-Uke | Parata media con il palmo della mano |
Nel karate, esistono due diversi modi di calciare: | |
Keage | Calcio frustato |
Kekomi | Calcio spinto |
I principali calci Keage “frustati” sono: | |
Maegeri | Calcio frontale |
Yokogeri “keage” | Calcio laterale frustato |
Mawashigeri | Calcio circolare dall'esterno |
Uramawashigeri | Calcio circolare dall'interno |
Nel calcio frustato s’impiega al massimo la forza di slancio del ginocchio. La velocità è un fattore essenziale, senza la quale si rischia di perdere l'equilibrio. La massima contrazione è espressa al momento finale dell'impatto, anche per favorire un rapido ritorno del piede. |
|
I principali calci Kekomi “spinti” sono: | |
Yokogeri “kekomi” | Calcio laterale spinto |
Ushirogeri | Calcio posteriore |
Fumikomi | Calcio laterale livello basso |
Alcune dinamiche d'allenamento delle principali tecniche di calcio: |
|
1)
MAE-GERI (calcio frontale) 2) MAE-GERI (calcio frontale frustato) |
1)
Questo calcio può essere eseguito sia frustato sia spinto
(keage e kekomi). La parte che colpisce il bersagli si
chiama “Koshi” 2) Si esegue piegando completamente il ginocchio portandolo all'altezza del petto e poi calciandolo con un forte movimento a frusta. Il piede esegue una traiettoria diretta verso il bersaglio avendo come fulcro il ginocchio, dopo aver eseguito il calcio si riporta indietro la gamba che ha colpito accostandola al lato interno della gamba di sostegno. Durante tutta la tecnica, il busto deve mantenere una posizione eretta. L'effetto frusta sarà tanto più evidente quanto più velocemente avverrà il ritorno della gamba che ha effettuato la tecnica. Si deve inoltre tenere presente che un ruolo molto importante viene svolto dal bacino che oscillando in avanti svilupperà una forza più efficace che non il solo movimento del ginocchio. |
YOKO-GERI
(calcio laterale) 1) YOKO-GERI KEAGE (calcio laterale frustato) 2) YOKO-GERI KEKOMI e FUMIKOMI (calcio laterale spinto) |
Questa
tecnica mira soprattutto a colpire un bersaglio posto
lateralmente, (è comunque possibile colpire un bersaglio
frontale, ruotando preventivamente la nostra posizione
rispetto ad esso), con il taglio del piede (sokuto)
mantenendo il tronco in posizione frontale. Questo calcio può essere eseguito sia frustato che spinto (keage e kekomi). 1)Si esegue caricando il ginocchio verso il busto e spingendo poi lateralmente la gamba. In definitiva si calcia utilizzando la spinta del ginocchio per terminare con la rotazione e spinta dell'anca. Per riuscire a mantenere il corretto equilibrio è necessario che il ginocchio della gamba di sostegno sia leggermente piegato, anche in questo caso l'effetto frusta sarà più evidente quanto più si sarà sfruttato il movimento oscillante delle anca e si sarà richiamata velocemente la gamba che ha effettuato la tecnica. 2) Si esegue quasi come il precedente, spingendo lateralmente la gamba dopo aver caricato al tronco il ginocchio. S’impiega per colpire con il taglio del piede. In questa tecnica è importante sfruttare al massimo la spinta delle anche e lo scatto del ginocchio che deve essere sollevato il più in alto possibile. Più lunga è la traiettoria del piede e più potente sarà il calcio. Tale traiettoria, durante il calcio e poi durante il ritorno, deve essere la medesima al fine di concentrare più forza sul bersaglio e mantenere un migliore equilibrio. Importante l’azione degli addominali che permetteranno la dinamica precedentemente descritta. Nella tecnica fumikomi la parte del piede che colpisce è il taglio del piede o il tallone, in questo caso il richiamo è meno rapido, ma viene portato al massimo l'effetto d’impatto violento, anche eseguendo traiettorie di caricamento assai ampie. |
MAWASHI-GERI (calcio circolare) |
Affinché questa tecnica sia efficace, è necessario che le anche ruotino velocemente e con forza. Il primo movimento della dinamica del calcio circolare, vede il ginocchio che si alza lateralmente con la gamba piegata, affinché il calcio risulti potente, è necessario ruotare l'anca ed infine lanciare la gamba verso il bersaglio. In definitiva questa tecnica consiste nel far ruotare la gamba che calcia attorno al corpo, dall'esterno verso l'interno, utilizzando lo slancio della ginocchio e dell'anca. La traiettoria del piede deve essere quasi parallela al suolo. Eseguito il calcio, s’inizia la fase di ritorno che non è meno complessa, infatti, il piede che ha colpito, deve effettuare il ritorno seguendo in maniera inversa la stessa traiettoria e gli accorgimenti adottati all'andata. |
URAMAWASHI-GERI (calcio circolare inverso) |
È simile al calcio circolare, ma eseguito con traiettoria inversa, cioè dall'interno verso l'esterno. In questo caso la parte che va all'impatto è la superficie plantare del piede o il tallone (Kakato). Anche per questa tecnica, importante è la velocità d’esecuzione, mediante soprattutto la rotazione dell'anca e l’estensione del anche. Il caricamento iniziale, è quasi simile a quello dello yokogeri kekomi ma solo un po più esterno. |
USHIRO-GERI (calcio all'indietro) |
Questa tecnica consiste nel colpire il bersaglio partendo da una posizione frontale, ruotare e calciare all'indietro. Partendo da una posizione frontale, si ruota il corpo di cento ottanta gradi contemporaneamente al sollevamento del ginocchio della gamba che esegue la tecnica, fino al busto. Tendendo poi la gamba, si va' all'impatto colpendo con il tallone (Kakato). |
Il KATA |
L’aspetto più importante del Karate Tradizionale è il Kata. Il kata rappresenta la codificazione delle tecniche e la loro applicazione reale, attraverso l’analisi e la scomposizione del kata “Bunkai” si possono comprendere le tecniche d’attacco e di difesa oltre alla strategia del combattimento. Il Kata è la base di partenza di qualsiasi tecnica è la tradizione è il nostro “Patrimonio Genetico” In effetti l'accezione giapponese del termine Kata traduce un insieme di tecniche, azioni codificate grazie alle quali sono state fissate conoscenze più vaste. Osservando l’esecuzione del kata si farà attenzione ai suoi due aspetti che in un’arte marziale sono sempre presenti: uno Esterno ed uno Interno. La Via Esterna è quella obbligatoria tramite la quale ogni pratica deve passare, mentre vi sono aspetti che rimangono nascosti alla maggioranza dei praticanti, quel qualcosa in più che s’intuisce che c'è ma al quale è difficile accedere; L'aspetto Interno costituisce il vero punto d’arrivo di un Arte Marziale. Il Kata inizia e finisce con il saluto, alla base del kata vi è sempre una difesa e forse sta proprio in questo che il karate è ricerca del Do, ancora una volta riscontro vero delle parole del Maestro Funakoshi. Ecco alcuni cenni storici sui kata trasmessici dal Maestro Funakoshi: “ Il Maestro Funakoshi Nel 1930 cambia i nomi dei Kata che ammontano sotto il suo insegnamento ai 15 kata classici di Okinawa, ma scelse per ogni Kata un’immagine rappresentativa, con ideogrammi che corrispondessero al sistema di pronuncia del nome giapponese ed è per questo che la maggior parte dei kata dello stile Shotokan hanno nomi diversi da quelli utilizzati nelle altre scuole dove si praticano kata della stessa origine. In questo modo Pinan è diventato Heian 1,2,3,4,5, che significano: ” Pace o Tranquillità”; Naifanchi è diventato Tekki 1,2,3, che significano “ Cavaliere d’Acciaio” ed esprime la posizione del corpo, che assume saldamente una postura che ricorda un cavaliere, l’acciaio si riferisce alla forza che ci vuole per eseguire questi Kata; Kusanku è diventato Kanku Dai che significa “ Guardare il Cielo” che quindi conduce chi lo esegue ad uno stato d’animo molto aperto; Seshan è diventato Hangetsu che significa “ Mezza luna” e corrisponde al modo di muovere i piedi a semicerchio; Chinto è diventato Gankaku che significa per la sua particolare postura “ Gru posata sulla roccia” Wanshu è diventato Enpi che significa per le sue posizioni veloci alte e basse “Volo di rondine “. Passai o Bassai-dai significa “ Attraversare o distruggere la fortezza” Jion riprende il nome del tempio Buddista di Jion Jitte significa “Dieci Mani ovvero dieci avversari” è quindi il kata nel quale ci si allena a delle tecniche contro dieci avversari. Questi 15 kata sono stati insegnati da Funakoshi, più tardi altri 11 kata sono stati aggiunti: Kanku-sho, Bassai-sho, Sochin, Nijushiho, Gojushiho-dai, Gojushiho-sho, Meykyo, Unsu, Chintei, Jiin, Wankan”. |
unti importanti nell’insegnamento del Kata: |
1) Inizia e finisce
con il saluto; 2) Non è una combinazione di Kihon, dall'inizio alla fine deve avere continuità con armonia e ritmo; 3) Non cambiare le tecniche o movimenti per propria comodità (livello); 4) Corretto uso dell'Enbusen (tracciato di esecuzione); 5) Armonia (unione) della tecnica e della respirazione; 6) Precisare il numero dei movimenti e spostamenti, comprendere il tempo standard dell'esecuzione; 7) Direzione dello sguardo nella direzione delle tecniche; 8) Il movimento deve essere vivo, i Kiai deve venire dall'addome; 9) Il cambiamento di direzione deve essere effettuato con la rotazione delle anche, la gamba di sostegno deve essere forzata contro il terreno per avere forza riflessa e lo spostamento deve essere effettuato con leggerezza; 10) La tecnica deve essere effettuata nello stesso momento del cambiamento di direzione 11) Deve essere chiaro il significato della tecnica; 12) Deve essere molto chiaro il collegamento delle tecniche; 13) Si deve cercare di non fare movimenti inutili, reazione ecc.; 14) E’ necessario ripetere molte volte l'allenamento di Bunkai |
Tre punti importanti: |
A - Uso della velocità; B - Uso della forma; C - Uso del corpo |
Vi sono tre diverse fasi di kumite: Fondamentale, semilibero e libero. Gohon Kumite, Sanbon Kumite e Kihon Kumite fanno parte del kumite fondamentale mentre il Jiu Ippon Kumite è il semilibero ed infine il Jiu Kumite combattimento libero. | |
Gohon Kumite: | Combattimento fondamentale preordinato di cinque passi. In questo particolare tipo di combattimento l’atleta acquisisce la potenza della tecnica sia di difesa sia di attacco, lo studio dell’assetto e della stabilità è uno dei principali motivi per allenare questo tipo di Kumite. Solitamente il tempo dell’attacco è cadenzato; |
Sanbon Kumite: | Combattimento fondamentale preordinato di tre passi. In questo caso l’atleta deve a, a differenza del primo, acquisire il tempo dell’attacco, della difesa e possibilmente il controllo emotivo non subendo l’iniziativa dell’avversario. Il tempo dell’attacco è libero; |
Kihon Ippon Kumite: | La fase in cui ci si scontra, forse per la prima volta, con la propria determinazione sia per chi attacca sia per chi difende. L’equilibrio emotivo si acquista attraverso lo studio serio ed approfondita di questo lato del Kumite; |
Jiu Ippon Kumite: | Combattimento semilibero ad un passo le tecniche vanno dichiarate prima di attaccare. Il tempo come pure la distanza e gli spostamenti sono liberi, resta inteso che l’attacco va portato con assoluto controllo. In questo tipo di kumite si deve tener presente che vi è una sola possibilità di attacco e pertanto lo studio della distanza e del tempo deve essere acquisito attraverso lo studio di questa forma, parimenti lo studio degli spostamenti e del tempo della difesa è altrettanto importante. |
Jiu Kumite: | Aspetto molto importante del Karate è appunto il combattimento libero. In questo caso lo scontro mentale e fisico degli avversari avviene su un piano diverso. L’attacco può essere singolo o combinato, la distanza e il tempo è libero si deve curare ancora una volta di più il controllo della tecnica e della mente. L’aspetto di controllo mentale è base essenziale per il miglioramento dell’attività psichica del karateka nella sua più alta espressione, controllare la mente equivale a controllare il corpo e pertanto la tecnica, solo con questi presupposti il combattimento libero può essere educativo e vissuto come Arte marziale altrimenti si corre senz’altro il rischio di ferire se non addirittura uccidere il proprio avversario come avviene nella Boxe o in altre discipline violente. |
01) Il Karate non ha come
scopo soltanto di educare il corpo, ma di permettere
di consacrarsi in qualunque momento, con un coraggio
vitale, al proprio Maestro, ai parenti, al bene pubblico.
E’ per questo che non mira al combattimento contro un
solo nemico. Anche se l’avversario è un ladro o un aggressore,
bisogna sforzarsi di parare e schivare. E’ importante
non ferire facilmente gli altri con calci e pugni; 02) Il Karate ha come scopo principale rendere il corpo robusto come l’acciaio e fare delle membra l’equivalente di una lancia o di un arpione. Esso coltiva naturalmente una forza di volontà marziale. Quindi, se lo si insegna ai bambini nell’età della scuola elementare, essi avranno occasione di applicare il Karate ed altre arti quando diventeranno più tardi dei soldati. Come militari, potranno essere utili alla società del futuro. Il Generale Wellington aveva detto a Napoleone I° “ La battaglia di oggi può essere vinta sul terreno di gioco della scuola del nostro paese”. Questa frase deve essere compresa come una massima importante; 03) E’ difficile progredire rapidamente nel karate. Conformemente alla massima: “Un bue cammina lentamente, ma supererà un giorno le mille leghe”, se ci si allena una o due ore con concentrazione ogni giorno si otterrà, nel giro di tre o quattro anni, un corpo superiore al normale. Così numerosi adepti raggiungeranno lo stato profondo del karate; 04) Nel karate ci si serve soprattutto delle mani e dei piedi. Bisogna allenarsi pienamente tutti i giorni al makiwara, abbassando le spalle, aprendo bene i polmoni, sprigionando la forza, calcando inoltre fortemente il suolo con i piedi, concentrando il Ki alla base del ventre. Quando si progredisce, bisogna esercitarsi cento duecento volte per ogni pugno al makiwara; 05) A proposito della postura nel karate, occorre mettersi appiombo a livello delle anche, abbassare le spalle decontraendole, stare in piedi appoggiando i piedi con forza, concentrando il Ki alla base del ventre. Occorre inoltre che il corpo si indurisca come se le parti in alto ed in basso del corpo si tirassero reciprocamente; 06) A proposito dei Kata di karate, bisogna allenarsi ripetendoli il più possibile. Ma è indispensabile conoscere il significato e l’applicazione di ogni tecnica. Bisogna sapere che vi sono numerosi insegnamenti verbali complementari ai Kata per le tecniche di attacco, di parata, di liberazione e di presa; 07) A proposito delle tecniche, occorre allenarvisi distinguendo quella che rafforzano il corpo e quelle che hanno un obiettivo strategico; 08) Durante l’allenamento del karate, bisogna avere la volontà di un guerriero, con lo sguardo forte, spalle abbassate, corpo indurito. “ Quando ci si allena alle parate e ai colpi, bisogna farlo sempre con tanta volontà come se si facesse fronte a dei veri nemici” allora si potranno acquisire delle capacità reali. Si deve fare bene attenzione; 09) Nel momento dell’allenamento al Karate, se ci si sforza troppo in rapporto alle proprie capacità fisiche, il viso e gli occhi si arrossano perché il ki risale. Bisogna fare attenzione, poiché ciò è nocivo alla salute; 10) Abitualmente la vita degli esperti di karate è lunga; questo dipende dal fatto che essi sviluppano i muscoli e le ossa e migliorano anche il sistema digestivo e la circolazione sanguigna. Per questo penso che se utilizziamo il karate come base di educazione fisica nel sistema scolastico fin dalla scuola elementare, potremo formare su vasta scala degli uomini capaci di far fronte a dieci avversari grazie all’arte che avranno acquisito. “ Se insegnamo il karate all’Istituto magistrale seguendo queste dieci istruzioni formeremo degli Istruttori che insegneranno in seguito nelle scuole delle diverse regioni. E, se essi insegneranno con rigore nelle scuole elementari regionali, penso che il, risultato sarà evidente di qui a una decina d’anni, non soltanto nella nostra provincia, ma in tutto il paese, e che saremo, così, utili alla società militare del nostro paese. Anko Itosu Ottobre
1908. |
Mantenere alto il proprio
livello significa, soprattutto, ripercorrere continuamente il
cammino intrapreso rivivendo sempre i vari momenti, i diversi
gradi, le necessarie esperienze progressivamente vissute. La
ricerca di un vertice sempre più alto non farà diminuire, in
questo modo, l'estensione della base di quella piramide con
cui si può configurare la vita e la solidità della base è premessa
di analoga forza della sommità: un punto estremo di cui si conosce
l'esistenza ma che non si sa quanto alto possa essere. Sono
queste le fondamenta ideologiche con cui affronto l'allenamento
pienamente convinto, come sono, che esso rappresenti la visualizzazione
di concetti interiori dai quali tutte le tecniche traggono un
valore infinitamente più alto.
Io spero che chi perseguirà
la via del karate non perda mai di visto mio pensiero: in caso
contrario farà solo dell'ottima ginnastica”.
Conclusioni:
:
La
vita di ognuno di noi, con il suo carico di esperienze, di azioni,
di riflessioni e di conoscenze si presenta come una mappa, un
reticolo ricco di vuote di pieni, segnato da relazioni di
continuità e discontinuità.
Nella mia storia il Karate
entra come scoperta, curiosità, si trasforma in obiettivi di
ricerca della forma, del benessere , fino a diventare progressivamente
una dimensione di collegamento fra forma, il benessere, la conoscenza
e la relazione con gli altri.
Ecco, in questo collegamento,
in questa relazione, sta forse la potenzialità che il Karate
ha in me contribuito a sviluppare l’agire, ma non solo il fare,
ma il saper agire e il saperlo trasmettere agli altri.